“Sono vivo per miracolo. Mai una chiamata da Pogacar” – .

«Tre mesi fa giacevo più morto che vivo in una stanza di ospedale spagnolo, immobile a letto per due settimane. Dopo aver imparato di nuovo a pedalare, ho ripreso ad allenarmi bene solo a fine aprile. Essere qui a Firenze è un miracolo, tutto ciò che mi arriva è un dono». Più emaciato, più acuto, laconico del solito, Jonas Vingegaard è ricomparso in pubblico dopo l’incidente al Giro dei Paesi Baschi solo ieri a Palazzo Vecchio. Ha vinto gli ultimi due Tour de France ma non ha pronostici per questo. «Esco dal momento più difficile della mia carriera – spiega il danese – felice di aver capito subito che dovevo lottare e non piangermi addosso. Mi sono preparato bene, ma nascondo ferite profonde che solo la strada saprà valutare».

Il suo Visma è rattoppato: manca il fortissimo scalatore Bacio di Seppmalaticcio, presente ma “nella forma peggiore dei miei sei Tour” il rapace Senza Van Aert. La squadra olandese ha scatenato una bufera spiegando che un furgone “pieno di tecnologia all’avanguardia seguirà la corsa per monitorare gli atleti e dare loro i migliori consigli tattici possibili”. L’analisi dei dati durante la corsa (frequenza cardiaca, potenza, glicemia) è severamente vietata dal regolamento, l’Unione Ciclistica Internazionale si è detta pronta a smantellare il pullman in cerca di diavolerie. Dietro la notizia c’è forse un assist pubblicitario a favore di un’agenzia di scommesse sponsorizzata: seduto nel furgone c’è un tizio che si limita a misurare i venti e calcolare i distacchi. Cosa c’è di nuovo?

Per non essere da meno del collega, Pogacar si è presentato alla conferenza stampa anche con una notizia non richiesta dall’ospedale: «Ho avuto il Covid». Quando, Tadej? «Dieci giorni fa». Sei stato male? «Un po’. Ma dopo un giorno di riposo e uno di rulli sono tornato in sella». Sospiro di sollievo. Dopo la devastante dimostrazione di forza del Giro, Pogi dovrebbe vincere 3-2 contro il rivale Vingegaard. «Stimo molto Jonas – spiega lo sloveno – e sono contento che sia qui ma non ci conosciamo praticamente: da quattro anni ci confrontiamo solo per tre settimane all’anno». Lui, Vingo, ha precisato di “non aver ricevuto messaggi da Tadej dopo l’incidente. Comunque, io non ho il suo numero, lui non ha il mio.” È urgente uno scambio di contatti.

La terza ruota, quella Primoz Roglic che con una vittoria farebbe tripletta con Giro e Vuelta, esprime come sempre concetti poco precisi («Il Tour è lungo, vince chi resiste meglio nelle tre settimane») ma mostra con orgoglio il logo gigante della Red Bull sulla nuova maglia Bora: l’ingresso del colosso delle bevande energetiche nel ciclismo è un passo avanti per la visibilità globale della disciplina.

Dopo una spettacolare serata di presentazione in una Piazza della Signoria purtroppo poco gremita (dimentichiamo le folle di Bruxelles e Copenaghen) i 176 eroi del Tour oggi riposano. Domani si inizia pedalando verso il Pantaniland di Rimini: la prima maglia gialla è in palio sulle rampe del passo del Barbotto, tanto caro ai Pirata.

 
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