“Le sue ceneri nel brodo.” Iniziò così la “Guerra del capitale” – .

“Le sue ceneri nel brodo.” Iniziò così la “Guerra del capitale” – .
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«L’esecuzione di Diabolik rappresentava una sorta di spartiacque” nell’equilibrio della malavita romana. Un delitto su cui, secondo gli inquirenti, «aleggia la pesante impronta della famiglia senese». Tanto che il 15 settembre 2019, un mese dopo l’assassinio, il boss della camorra Michele Siena (detto o matto), in un colloquio in carcere con la moglie Raffaella e il figlio Vincenzo, riferendosi alle ceneri di Fabrizio Piscitelli, dice in modo dispregiativo: «Eh, non posso darti un cucchiaino di polvere lo apro e te ne do un cucchiaino di polvere a ciascuno che lo metti nel brodo». Secondo quanto emerge dall’attività investigativa della Squadra mobile di Roma, coordinata dai pm della direzione distrettuale antimafia, c’è un prima e un dopo l’assassinio dell’ex capo ultrà degli Irriducibili della Lazio.

La prima all’insegna della “pax mafiosa”: poco spargimento di sangue e la divisione della città in zone di competenza per lo spaccio di droga. Il dopo è quello che si è chiaramente osservato in questi mesi, settimane, giorni: delitti, rapimenti, debitori torturati, agguati, tentati omicidi. Il palese assassinio di Diabolik, commesso il 7 agosto 2019 in pieno giorno e in un parco pubblico, “ha dato il via a un susseguirsi di tentativi di omicidio” tra il gruppo di narcotrafficanti guidato da Fabrizio Fabietti, di cui Piscitelli era “socio alla pari”, e quella rappresentata da Leandro Bennato, Giuseppe Molisso e Alessandro Capriotti. Questi ultimi furono inizialmente ritenuti i tre presunti mandanti dell’esecuzione “mafiosa” al Parco degli Acquedotti; realizzato, secondo l’accusa, dal killer argentino Raul Esteban Calderon, ora sotto processo per omicidio. Ma la Procura di Roma – non avendo raccolto elementi indiziari sufficienti – ha chiesto l’archiviazione delle loro posizioni.

Pistole con silenziatore, pronte per uccidere, nascoste nel capannone. “Famoso nel far west”. Enrico Bennato incriminato

IL PATTO ROTTO

“D’altra parte, prima della morte di Diabolik, c’erano forti legami d’affari nel settore della droga che univano quei contendenti, ma l’uccisione di quest’ultimo – si legge nelle carte depositate al processo Caderon – ha rappresentato la fine di una sorta di alleanza o di qualsiasi caso di pacifica convivenza tra i due gruppi. L’eliminazione fisica di uno dei leader si è trasformata in una guerra aperta “senza quartiere”». Una guerra interrotta per un po’ dagli arresti dell’operazione “Grande legaccio criminale” di Gico della Finanza, che ha disarticolato il gruppo di Fabietti e Piscitelli, e dall’operazione “Spongebob” di Mobile, che ha smantellato la frangia armata degli albanesi (tra cui “Titti ”, l’albanese che aveva sparato con un kalashnikov contro la casa di Capriotti, detto “er Fornaro”). Ma ora questa guerra, combattuta dai secondi coscritti lasciati a piede libero, ha ripreso vigore.

Le indagini “confermano che l’omicidio di Diabolik è un segmento clamoroso, nel senso che si riferisce a forme di criminalità organizzata ad altissima pericolosità sociale: una malavita permeata da mutevoli dinamiche criminali, fatta di alleanze discontinue, unioni dettate da interessi economici, per lo più per il narcotraffico, che però può mutare rapidamente, sfociando in conflitti; in uno scenario, dunque, attraversato da continui aggiustamenti e riposizionamenti per il predominio territoriale o per la delimitazione dei confini». Proprio quello che starebbe accadendo ora, con questa incontrollata escalation di violenza. “A Roma si spara quasi come a Bogotà adesso”, commentano preoccupati i magistrati.

L’ASPIRANTE PADRINO

Secondo gli inquirenti, Diabolik è stato ucciso proprio perché «aveva minato gli spazi di competenza che i senesi avevano tanto faticato a mantenere». La “brama di potere e il desiderio di dominare su tutti, fino a fare talvolta da paciere come un vero padrino”, hanno contribuito a firmare la sua condanna a morte”, “i sistemi brutali che usava per recuperare i crediti”, “la troppa molto bullismo» e «la sua quasi spasmodica avidità di denaro». Ha infatti preteso il 50% del debito dai creditori altrui, come aveva fatto con Capriotti, che doveva agli albanesi 300mila euro. Raffaele Purpo (detto “il mafioso”), al quale Piscitelli aveva fatto da testimone di nozze insieme a Gennaro Senese (fratello di Michele), lo aveva avvertito che si trattava di una “prepotenza”. Lasciamo perdere che solo li usava, tu stesso vai a pija i soldi che non sono tuoi (…) Perché Diabolik gli era pija la metà! Gliel’ho detto», spiega Purpo in un’intercettazione.

IL TERRITORIO DEL SENESE

E c’è chi, come il marito di Giorgia Piscitelli, arriva subito alle conclusioni dopo l’omicidio del suocero, avvenuto al Quadraro: «Ma se è successo nel territorio senese è perché anche i senesi sono d’accordo , perché se i senesi avessero acconsentito, avveniva subito il “patatrack”, cioè si mettevano in fila anche loro. Perché, no, e non puoi fare come vuoi! Che fai, uccidimi uno dei miei, quello che sta con me e io non mi rivolgo?! Come se non fosse successo niente… Quello invece era un segnale che è successo quello che è successo dentro il suo territorio». Anche questa intercettazione conferma che l’omicidio di Luigi Finizio, avvenuto lunedì nel feudo senese, se non fosse commesso con il “passo” del clan camorrista, potrebbe far accadere il “patatrack”. A maggior ragione se si pensa che “Gigio” era il cugino del cognato di Angelo Senese.

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