le acque più sporche d’Italia – .

le acque più sporche d’Italia – .
le acque più sporche d’Italia – .

Ogni secondo l’equivalente di un camion di plastica finisce nei mari di tutto il mondo. In un anno, oltre 12 milioni di tonnellate di bottiglie, sacchetti e oggetti di ogni genere raggiungono gli oceani e di cui, una volta al largo, inevitabilmente perdiamo traccia. Monitorarne la sorte sarebbe invece molto utile per organizzare interventi di mitigazione e pulizia nei mari, e un nuovo studio dell’ESA sembra aver trovato la soluzione: una strategia che utilizza supercomputer e algoritmi di ricerca all’avanguardia per identificare la plastica che galleggia sulla superficie del mare utilizzando immagini riprese dai satelliti.

Le acque più sporche del Mediterraneo sono italiane

Per essere visibile dallo spazio con i satelliti attualmente a disposizione, la plastica deve aggregarsi in formazioni galleggianti, note come andane, chiazze, strisce o fasce, che spesso assumono la forma di lunghi filamenti creati dalla convergenza delle correnti marine, e possono raggiungere anche decine di chilometri di lunghezza. La presenza di una striscia di rifiuti indica un elevato livello di inquinamento in un luogo e in un momento specifici. Grazie alla ricerca, pubblicata su Nature Communications e a cui ha partecipato anche l’Istituto di Scienze Marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Lerici, è stato dimostrato che l’abbondanza di queste chiazze è sufficiente per tracciare mappe di inquinamento e monitorare l’andamento della situazione nel tempo.

Lo studio ha utilizzato una serie di 300.000 immagini satellitari con una risoluzione spaziale di 10 metri, scattate ogni tre giorni per sei anni dai satelliti Sentinel-2 del programma Copernicus. E nonostante i sensori di questi satelliti non siano progettati per riconoscere i rifiuti, l’analisi delle immagini satellitari, effettuata con supercomputer e algoritmi avanzati, è riuscita a produrre la mappa più accurata mai realizzata dell’inquinamento da plastica nel Mar Mediterraneo. In questo modo, convalidando la tecnica, e consentendo di fare diverse scoperte sulle dinamiche che dominano l’arrivo dei rifiuti nelle acque marine. Ad esempio, dimostrando che gli accumuli nei cumuli costieri sono dovuti principalmente alle emissioni di rifiuti terrestri nei giorni immediatamente precedenti.

“Cercare aggregati di detriti a diversi metri di altezza sulla superficie del mare è come cercare un ago in un pagliaio”, spiega Stefano Aliani, direttore di ricerca e oceanografo del Cnr-Ismar. “Nonostante i satelliti non specializzati, siamo riusciti a identificare le aree più inquinate e i loro principali cambiamenti nel corso di settimane o anni. Ad esempio, abbiamo osservato che molti detriti entrano in mare durante le tempeste”.

Tra le possibilità offerte da questa nuova tecnica di monitoraggio c’è anche quella di verificare l’efficacia delle strategie messe in atto per limitare l’inquinamento marino. Per testarne l’efficacia è stata scelta la città di Roma, dove dal 2019 sono state installate apposite barriere cattura rifiuti che servono a ridurre la quantità di plastica trasportata in mare dal Tevere. Utilizzando i satelliti, lo studio ne ha confermato l’efficacia, calcolando che da quando le barriere sono entrate in funzione, i rifiuti rinvenuti nelle acque vicine alla città sono diminuiti del 38%.

“Questo strumento è pronto per essere utilizzato in diversi contesti: siamo convinti che ci insegnerà molto sul fenomeno dei rifiuti, inclusa l’identificazione delle fonti e delle vie verso l’oceano” afferma Giuseppe Suaria, ricercatore del Cnr-Ismar di Lerici. “Inoltre, la nostra capacità di rilevamento migliorerebbe enormemente se mettessimo in orbita una tecnologia di osservazione dedicata alla plastica. L’implementazione di un sensore ad alta risoluzione specificamente dedicato al rilevamento e all’identificazione di oggetti galleggianti di un metro di dimensione potrebbe essere utile anche in altre tematiche rilevanti come il monitoraggio delle fuoriuscite di petrolio, le perdite di carico dalle navi o le attività di ricerca e soccorso in mare”.

 
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