Il Made in Italy che vince. Da Lorenzetti a Santarelli, maestri venuti da lontano – .

Il Made in Italy che vince. Da Lorenzetti a Santarelli, maestri venuti da lontano – .
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In quei volti e in quei gesti, prima ancora che in tutte quelle vittorie, si riflette l’anima dell’Italia più vera. Quella che, partendo dalla provincia, ha saputo conquistare il mondo, quella che sa immergersi nella modernità della tecnologia sfruttandola con lo stesso gusto artigianale di quando all’inizio metteva pezzetti di nastro adesivo palloni che avevano visto troppi chilometri, insomma, imparare l’arte di arrangiarsi.

Le due finali di scudetto sotto rete vedono protagonisti quattro allenatori che hanno una cosa in comune: hanno costruito la loro grandezza con il lavoro quotidiano, senza doni di madre natura, e forse per questo hanno le spalle più larghe di tanti ex giganti del campo. Angelo Lorenzetti, quasi 60enne di Fano, ha lasciato un lavoro sicuro in banca per diventare allenatore. Sa coinvolgere le sue squadre con le parole come pochi altri, come il professor Keating ne L’attimo dei poeti morti e infatti ama la poesia, altra cosa che lo rende sospeso, quasi estraneo in tempi così cinici. Si emoziona spesso e non nasconde le lacrime per i suoi ragazzi, ma anche per i suoi avversari che si sono guadagnati il ​​suo rispetto. Ha vinto quattro scudetti in tre città diverse (Modena due volte, Piacenza, Trento) e ha tra le mani la corazzata che può regalargli un altro titolo, Perugia. Se lo chiedi a tanti campioni italiani di oggi e di ieri ti diranno che è il miglior allenatore che abbiano mai avuto.

Di fronte, al timone della rivelazione monzese c’è Massimo Eccheli, nato a Milano nel 1966, per molti versi un antipersonaggio. Anche lui non ha giocato ad alti livelli, ma è cresciuto inesorabilmente anno dopo anno come allenatore. Studia meticolosamente gli avversari e la sua squadra, non ha problemi a rivoluzionare al volo l’assetto della squadra (ha quasi vinto in una delle finali). Una volta in un’intervista spiegò che i giocatori devono sentirsi “come i raggi della ruota di una bicicletta”, ed è un’immagine che se ci pensi c’è tutto: l’impossibilità di stare fermi, il lavoro dei singoli che diventa un risultato collettivo, e anche il gusto artigianale di arrivare in alto come naturale conseguenza dello sforzo.

I due allenatori di Conegliano e Scandicci della finale femminile, impegnati questa sera, hanno fatto lo stesso apprendistato dei colleghi maschili: sia Massimo Barbolini che Daniele Santarelli hanno capito presto, per scelta o per infortunio, che era meglio dedicare stessi in panchina.

59 anni anche Barbolini, ha iniziato come vice di Velasco nella sua Panini modenese (tornerà in Nazionale tra poche settimane), è diventato primo allenatore a 25 e presto ha iniziato a vincere scudetti: cinque tra Matera e Perugia, gli ultimi 17 anni fa. Nel frattempo è stato l’allenatore dell’Italia, vincendo due Europei e due Mondiali. Ha appena condotto lo Scandicci dell’astro nascente Antropova alla finale scudetto e ha vinto la prima gara su Conegliano. Cioè il dominatore delle ultime stagioni, guidato dall’umbro Daniele Santarelli che ha solo 40 anni ed è un fenomeno capace di trasformare in oro tutto ciò che tocca. Con la squadra veneta ha vinto cinque scudetti negli ultimi sei anni, cinque Coppe Italia, la Champions League e due Mondiali per club, con un record di 76 partite consecutive vinte. Ha portato anche la Serbia sul tetto del mondo e la Turchia sul tetto d’Europa. Con le nipoti di Erdogan è lui il favorito alle prossime Olimpiadi.

dottor

 
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