dove la rivoluzione verde si è fermata – .

Chiunque abbia a cuore la transizione energetica dovrebbe fare ogni giorno un bagno salutare nel realismo. Se non lo fa, inganna se stesso e gli altri. Le buone intenzioni non bastano. Siamo tutti contrari al riscaldamento globale (così come siamo tutti favorevoli alla pace) ma la generosità dei sentimenti non riduce le emissioni di gas serra. Le ipocrisie forse addirittura le aumentano. Nonostante il massiccio impegno a favore delle fonti rinnovabili, non abbiamo mai consumato così tanti fossili come negli ultimi tempi.
La domanda globale di petrolio supera i 100 milioni di barili al giorno. L’offerta dei paesi produttori è limitata per mantenere alti i prezzi. In Italia il petrolio è tornato ad essere la principale fonte energetica anche nel 2023, superando il gas. Non male per un prodotto in declino. Per non parlare del carbone che sta vivendo un nuovo boom a livello globale.
All’ultimo vertice sulla protezione del clima (il Cop28 di Dubai lo scorso novembre) si è discusso e discusso, per notti interminabili, con l’obiettivo di includere nella dichiarazione finale la graduale eliminazione (phase out) della dipendenza dal petrolio greggio.

I secoli contati del petrolio

A distanza di qualche mese possiamo affermare, con cruda amarezza, che il petrolio “ha i secoli contati”, anche se immaginiamo che gli impegni di Dubai verranno riaffermati dal vertice del G7 in programma il 29 e 30 aprile a Venaria Reale con presidenza italiana. La COP29 si terrà a Baku, in Azerbaigian, ancora una volta uno dei maggiori paesi esportatori di petrolio. Ci chiediamo quindi se non stiamo scivolando, più o meno inconsciamente, dalla mitigazione, cioè dal contrasto, all’adattamento al riscaldamento climatico. Senza dirlo. O meglio dirlo a bassa voce. Questo è ciò che accade un po’ nelle discussioni e nei rapporti confidenziali dei grandi fondi di investimento internazionali.

I grandi nomi che girano

Anche Blackrock – che con il suo amministratore delegato Larry Fink ha avviato il grande ciclo etico degli investimenti sostenibili – suggerisce cautela nel considerare scenari credibili di decarbonizzazione avanzata. Ora parla di investimenti di transizione, che suonano meno decisivi e allarmanti di prima. Lo stesso atteggiamento è stato espresso nei giorni scorsi in una riunione della Merrill Lynch a Londra. Effetto della geopolitica, delle tensioni belliche in Medio Oriente, della guerra in Ucraina. E forse più delle prossime elezioni europee e americane.
Un rallentamento nella transizione verso l’energia verde è considerato probabile se non certo. Basti pensare al Green Deal europeo, politicamente orfano. Nessuna grande forza politica lo rivendica in campagna elettorale per paura di perdere consensi. C’è di peggio. Come ha scritto Vitaliano d’Angerio su Il Sole 24 Ore, nel New Hampshire i repubblicani vorrebbero addirittura sanzionare come reato i criteri di sostenibilità ESG (Environmental, social and governance). Altri due rappresentanti repubblicani al Congresso hanno indirizzato una lettera infuocata al direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia, il turco Fatih Birol, accusando l’istituzione di essere una “cheerleader della transizione”. Aumentano le possibilità che Donald Trump ritorni alla Casa Bianca. Non si sorprende quindi dell’atteggiamento di aspettativa del risparmio gestito internazionale, e di maggior distacco dai temi della sostenibilità, un tempo ostentato con granitica assertività.

Le alleanze verdi non fanno più proseliti

Sorprendono e inquietano anche alcune defezioni e la mancanza di stabilità delle alleanze nate in nome della svolta green, come la Net Zero Alliance, tra compagnie assicurative, e la Climate Action 100, tra grandi aziende. Nel suo piccolo, sempre nei giorni scorsi, la neoeletta presidente della Regione Sardegna, Alessandra Todde, ha annunciato una moratoria sugli impianti eolici. Laddove avete vinto il cosiddetto campo ampio, in cui le richieste ambientaliste dovrebbero essere prevalenti – e in un’isola che funziona interamente a carbone – la prima mossa amministrativa è stata contro la transizione.
Il prezzo della benzina, intanto, torna ai massimi storici. «Ed è proiettato – rileva Salvatore Carollo, analista energetico internazionale ed ex capo del trading di Eni – a raggiungere picchi mai visti nella storia moderna del petrolio. Le scorte di benzina commerciale sono ai livelli più bassi degli ultimi dieci anni ed è impensabile che possano essere ricostituite in tempo per l’estate”.
Si preannuncia una stagione torrida. Anche per i listini prezzi dei carburanti. L’analisi di Carollo è sinceramente impietosa. C’è molto petrolio greggio, ma pochi prodotti raffinati: «Nessuno di noi usa il petrolio. Potrebbe essere banale dirlo, ma mettiamo benzina e diesel nelle automobili e carburante per aerei negli aerei”. Ciò che sta accadendo è paradossale: «È come se avessimo una diga con un lago pieno d’acqua, ma senza capacità di trasporto per portarla in città. Eccesso di acqua a monte e siccità a valle”.

Il dilemma dei biocarburanti

Secondo i dati dell’Unem, l’Unione energetica per la mobilità, di cui Gianni Murano è presidente, in Italia ci sono 11 raffinerie, di cui 2 bioraffinerie con un’attività di trasformazione di 71 milioni di tonnellate al 2023, superiore ai consumi interni (57,4). Si investe poco, fatta eccezione per la manutenzione. Nonostante i margini restino molto alti. L’incertezza sui biocarburanti sta frenando i programmi di conversione industriale (e la sostituzione dei fossili con biomassa e rifiuti) che continuerebbero a ridurre le emissioni.
Il mercato italiano – che secondo il governo si candida a diventare anche l’hub energetico del Mediterraneo – è l’unico autosufficiente in Europa e attira l’interesse di grandi operatori come la svizzero-olandese Vitol che ha acquistato gli impianti sardi della Saras dei Moratti o la multinazionale Trafigura per ISAB a Priolo, in Sicilia. «Eppure – prosegue Carollo riferendosi soprattutto all’Eni – si sta riducendo di nascosto la capacità esistente, chiamando la chiusura un’altra cosa, cioè la trasformazione in bioraffinerie. Ciò ha già comportato la scomparsa di 15 milioni di tonnellate di capacità rispetto agli 1,5 milioni di tonnellate rimanenti, con una riduzione netta di 13,5 milioni di tonnellate perse per sempre”.

Non moltiplichiamo le emergenze

Anche lo stabilimento Eni Est di Sannazzaro (Pavia) sarà convertito in bioraffineria, come annunciato dall’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi. «Una perdita – stima Carollo – di dieci milioni di tonnellate nel cuore della Pianura Padana. Un vero disastro nazionale. Pagheremo cara la benzina raffinata da altri che ce la venderanno al prezzo più alto di mercato. Altro che hub energetico”.
Carollo è un petroliere e avrà sicuramente un po’ troppa nostalgia ma la sua analisi merita di essere discussa. Gli investimenti nel petrolio e nel gas non rientrano nei criteri ESG. Ma dubitiamo che la gestione patrimoniale sconsigli di investire in questi asset che – paradosso estremo – non sono mai stati così redditizi. Il susseguirsi di eventi straordinari, dalle pandemie alle guerre, ha costretto i paesi consumatori a sovvenzionare il consumo di gas e petrolio per evitare crisi sociali e imprenditoriali. Se non c’è sicurezza energetica e la disponibilità di prodotti a base fossile ancora necessari a prezzi accessibili – e quindi anche investimenti nella ricerca, nelle infrastrutture e nella raffinazione del vecchio mondo – si va dritti verso nuove emergenze. Quando esplodono, la transizione – indispensabile, indispensabile, vitale – si ferma all’improvviso. Anzi, si rischia addirittura di tornare indietro.

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23 aprile 2024 (modificato il 23 aprile 2024 | 08:07)

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Tags: Benzina prezzi da record Italia transizione non esiste verde rivoluzione stallo

 
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