Il rapper iraniano condannato a morte e solidarietà selettiva – Pierre Haski – .

Il rapper iraniano condannato a morte e solidarietà selettiva – Pierre Haski – .
Il rapper iraniano condannato a morte e solidarietà selettiva – Pierre Haski – .

Il suo nome è Toomaj Salehi, ma è conosciuto semplicemente come Toomaj. Ha 33 anni e dal 2021 trascorre più tempo dietro le sbarre che in libertà. Pochi giorni fa un tribunale iraniano lo ha condannato a morte, una sentenza sproporzionata per un musicista impegnato ma non violento.

Toomaj è uno dei volti della generazione che si è schierata dalla parte di Mahsa Jina Amini, la ragazza morta per mano della polizia religiosa a causa di un velo mal indossato. Oggi una campagna internazionale cerca di salvare il rapper dai suoi carnefici, chiedendone la liberazione.

Diverse personalità di spicco, tra cui l’artista di origine iraniana Marjane Satrapi e l’attrice Golshifteh Farahani, hanno scritto ieri a Emmanuel Macron per chiedergli di intervenire in difesa del musicista, ricordando al presidente francese che l’anno scorso aveva ricevuto un gruppo di donne iraniane che sostenevano la loro causa.

Ma Toomaj è finito in mezzo alle divisioni prodotte dal conflitto israelo-palestinese, che accentuano le differenze tra le vittime. Il nostro mondo, a quanto pare, sperimenta emozioni diverse a seconda dell’identità della vittima.

Chi si mobilita per Toomaj – il 28 aprile ci sono state manifestazioni in diversi paesi – critica il silenzio sul suo caso di chi protesta con veemenza contro i massacri di Gaza. Forse questo accade perché Teheran è in aperto conflitto con Israele, quindi per qualcuno sostenere un oppositore del regime di Teheran significherebbe stare dalla parte di chi bombarda Gaza.

In questo Medio Oriente attraversato da passioni e venti di follia c’è un’empatia selettiva che ha contaminato il resto del mondo.

L’attacco di Hamas contro Israele il 7 ottobre ha provocato più di mille morti, in maggioranza civili, mentre la risposta israeliana ha provocato decine di migliaia di vittime, sempre in maggioranza civili. Da allora c’è stata una certa tendenza a distinguere tra i morti. La solidarietà è diventata selettiva, come se i principi universali non potessero essere difesi e non si potessero piangere tutte le vittime.

Il destino di Toomaj dovrebbe ispirare la solidarietà di tutti. Il movimento “Donna, Vita, Libertà”, nato dopo la morte di Mahsa Amini, aveva attirato il sostegno e l’ammirazione di gran parte del mondo. La difesa del rapper iraniano, logicamente, dovrebbe essere un suo prolungamento. Ma i conflitti della regione hanno capovolto la situazione. Il regime iraniano cerca di cavalcare i movimenti di solidarietà con i palestinesi per rimodellare la propria immagine, approfittando del fatto che i campus occidentali sono concentrati su Gaza e ignorano altre cause.

Il desiderio di difendere i diritti umani dovrebbe spingerci a essere solidali con i palestinesi, che soffrono insopportabili punizioni collettive nella Striscia di Gaza; con gli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas (anche questo è un crimine di guerra); e con un rapper iraniano privato della libertà che rischia di essere giustiziato da un regime spietato. Purtroppo sembra che nel 2024 questo sia impossibile.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

 
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