27.04.2024 Lazio-Verona Serie A
di Giorgio BICOCCHI
Solo una volta Sarri aveva derogato al suo inflessibile integralismo: al termine dell’ultima partita Lazio-Genoa mettendo in campo contemporaneamente Immobile e Castellanos. Un esperimento estemporaneo, durato solo una frazione del match (finito anche male, come ricorderete…). Ebbene, a fine gara Sarri ha respinto quel tentativo. Non lo farebbe mai più.
Da allora, se un estraneo se ne andasse, una controparte permanente ne subentrerebbe. Idem in attacco: se esce Ciro, entra Taty. O viceversa. Stessa cosa in mezzo al campo: tre centrocampisti hanno iniziato e tre hanno concluso la partita. Non c’era spazio per eccezioni, artifici, prove.
Ecco perché quando Tudor ha schierato in campo contemporaneamente Taty, Luis Alberto, Pedro, Felipe, Zaccagni, Kamada e Guendouzi nella ripresa, abbiamo capito che un po’ di follia – in questo pallone troppo spesso ingabbiato da formazioni e rispetto per posizioni in campo – è maledettamente utile, a volte, per andare a fondo in partite complesse come quelle contro il Verona, portandoli dalla propria parte.
E forse è anche questo ciò che ha condannato Sarri al terzo anno sulla nostra panchina: non aver regalato imprevedibilità e un pizzico di follia alla sua Lazio. E questa routine – in allenamento e in partita – deve aver indebolito anche i giocatori. Perché poi il pallone – spesso – è pura follia. Come quando Tudor chiese a Felipe e al rientrante Zaccagni di correre a tutta fascia e a Kamada di riciclarsi da incursore, in attacco, e da centrocampista, nelle ritiri. Insomma, nasce la camaleontica Lazio di Tudor: Fascetti, a suo tempo, la definì un “casinò organizzato”. Questo è sicuramente un significato esagerato per la Lazio attuale ma i dati ci sono: cinque partite di campionato e quattro vittorie per 12 punti. È anche grazie a questa vena di follia e di disprezzo per schemi e posizioni definite a tavolo che la Lazio si è ritagliata un finale di stagione di pieno significato…
