Quale Europa – Città della Spezia – .

Quale Europa – Città della Spezia – .
Quale Europa – Città della Spezia – .

La campagna elettorale per le elezioni europee non scalda gli animi. Si parla più di politiche nazionali, spesso superficiali, che di politiche europee. Il crescente vento nazionalista porta a proposte di breve durata, proprio quando servirebbe il contrario: l’Italia, come le altre nazioni europee, non conterebbe nulla nel mondo se non ci fosse l’Europa. Non questa Europa, ma un’Europa con un’altra rotta. Questo dovrebbe essere discusso.
Alla Spezia ci provano l’Associazione Culturale Mediterraneo, il Circolo Pertini e Legambiente, con un ciclo di incontri che si concluderà domani con Fabrizio Barca, co-coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità, che presenterà il libro “Quale Europa ”. L’obiettivo è offrire al dibattito pubblico alcuni tratti dell’Unione Europea al servizio della giustizia sociale, ambientale e della pace: un contributo informativo e comparativo, un metro per giudicare – prima e dopo le elezioni – programmi, partiti, candidati ed eletti , una bussola per il monitoraggio civico delle azioni che l’Unione Europea porterà avanti nella prossima legislatura.
Giustizia sociale: dopo i miglioramenti del dopoguerra, i dati su povertà e disuguaglianze descrivono impietosamente un peggioramento costante ormai da trent’anni. La quota di ricchezza detenuta dall’1% più ricco degli individui è aumentata considerevolmente, mentre la quota di ricchezza del 50% più povero si è ridotta drasticamente. L’Italia, in particolare, è diventata molto più ingiusta. Così come sono aumentate le disparità tra i diversi Paesi europei. Se questa tendenza non verrà invertita, il sostegno popolare al progetto europeo diminuirà sempre più e aumenteranno le pressioni nazionalistiche ed euroscettiche. I temi non sono solo quelli del salario minimo, del reddito di cittadinanza, delle pensioni: centrale è anche il tema del welfare, e soprattutto della sanità. È grazie ai nostri sistemi sanitari universalistici che noi europei viviamo cinque anni in più che negli Stati Uniti, dove esiste la privatizzazione che incautamente stiamo adottando come modello.
Giustizia ambientale: la crisi climatica e i cambiamenti ambientali colpiscono maggiormente chi sta peggio e, al contrario, chi sta peggio rischia di essere più penalizzato dalle contromisure. Ciò favorisce chi intende cavalcare la paura del cambiamento anteponendo il “sociale” all’“ambientale”. Inoltre, la crisi ambientale sta portando alla distruzione della natura e ci interroga sull’insensatezza delle politiche che mercificano le risorse naturali. La transizione ecologica deve essere veloce ed equa, coinvolgendo e dando risposte chiare ai bisogni di chi vive nel risentimento e nella precarietà.
Pace: la terza guerra mondiale a pezzi è già iniziata, ma l’Europa non sa lavorare per la pace, né nella guerra in Ucraina né in quella a Gaza. Ma l’Europa della fondazione era soprattutto un’Europa di pace. La guerra ha aggravato l’ingiustizia sociale e ambientale, perché la spesa per il riarmo devia le risorse a favore dei più deboli; e ha esacerbato la crisi ambientale, spingendo verso il gas e il nucleare, ritardando l’abbandono dei combustibili fossili a favore delle energie rinnovabili. Dobbiamo lottare contro il modello del turismo mordi e fuggi e rivalutare finalmente industria e tecnologia, con investimenti pubblici europei. Ma l’Europa di oggi, non a caso presieduta da un ex ministro della Difesa tedesco, spera in un ritorno all’austerità – dopo il ripensamento dovuto alla pandemia – con la sola eccezione delle spese per il riarmo militare. Abbiamo bisogno di una politica industriale, non di un’Europa militarizzata.
Discutiamo della difesa comune di un’Europa integrata. Sono un pacifista: però, in una fase di transizione verso il disarmo, ne comprendo la necessità. Ma ogni difesa presuppone la definizione di una politica estera. Una difesa comune senza una politica estera europea è infatti – e inevitabilmente – al servizio della NATO e del potere politico americano che la guida.
Il piano è chiaro: una nuova guerra fredda, un confronto bipolare tra l’Occidente e la Russia e la Cina, la potenza emergente. Ma questa configurazione della politica mondiale, oltre a generare il rischio di una guerra catastrofica, è incompatibile con un altro progetto: un’Europa unita e indipendente, sempre rispettosa del diritto internazionale, chiunque lo violi. Come scrive Giangiacomo Migone:
“La costruzione di una difesa europea adeguata a questa realtà non avrebbe le dimensioni e i costi di una configurazione euro-atlantica, consentendo economie di scala derivanti dall’eliminazione delle duplicazioni imposte dalle regole Nato”.
Parliamo anche della nostra città, sede di industrie degli armamenti. E di un Arsenale dove la Nato – con il progetto Blue Bases – impone duplicazioni, e l’utilizzo delle aree a ovest per i moli di cui ha bisogno, senza alcuna restituzione del mare alla comunità.
Come afferma Emmanuel Todd, la guerra in Ucraina è una questione secondaria in una storia molto più ampia: quella della battaglia in corso tra una potenza egemone globale in declino, gli Stati Uniti e con loro i paesi occidentali, e una potenza egemonica globale in declino, gli Stati Uniti e con loro i paesi occidentali, e una potenza in ascesa, la Cina e con essa l’India. e altri paesi emergenti. Siamo entrati nel secolo asiatico. La guerra ucraina avrebbe dovuto ridimensionare la Russia, consolidando il blocco “atlantico” attorno agli Stati Uniti, necessario per sostenere la potenza americana contro la Cina, tagliando anche legami commerciali fondamentali per l’Europa: qualunque persona dotata di buon senso capisce che a noi interessa la Via Seta. Strategicamente, però, la guerra ha avvicinato la Russia alla Cina, che è il vero concorrente per l’egemonia.
Dobbiamo evitare che l’Europa commetta il tragico errore di contribuire alla nuova guerra fredda, che già oggi è molto calda. Come hanno scritto Piergiorgio Ardeni e Francesco Sylos Labini, “è però dubbio che la Cina voglia davvero assumere oggi il ruolo degli Usa. La Cina sta conquistando un’egemonia globale sul piano economico, che è molto più solido ed esteso di quello militare”. I dati lo confermano: la Cina spende in armi molto meno degli Usa, ma anche dell’Europa. La Cina spende in tecnologia, ricerca, sviluppo, istruzione. L’Europa sta commettendo un errore: non deve spingere per la guerra, deve fungere da ponte tra l’alleato americano e il mondo emergente. Questo è il nostro futuro.
Ecco perché le elezioni europee sono importanti. Dobbiamo capire, discutere, scegliere: la mia scelta – spero sia quella di molti – è per un’Europa della giustizia sociale e ambientale e della pace. È l’Europa che Altiero Spinelli tratteggia nel manifesto di Ventotene, molto citato e quasi mai letto.
Ci sono modi per costruire questa Europa. È giunto il momento di percorrerli. So bene che non esistono partiti europei capaci di fare questo. Ma è bene non rinunciare al voto: si può puntare su una “nuvola” di parlamentari progressisti e pacifisti, candidati della sinistra, della socialdemocrazia, dei verdi e, in Italia, del Movimento Cinque Stelle, che possono fare la differenza, producendo convergenze su un’ alternativa. E accompagnare questa pattuglia con la mobilitazione e la partecipazione civile dei cittadini.

Bruxelles, melting pot café restaurant (2011) (foto Giorgio Pagano)

Post scriptum
Dedico l’articolo di oggi a Franco Fedi, operaio di Santerenzi scomparso nei giorni scorsi. Amava il mare, da ragazzo è stato mitilicoltore, marinaio, poi falegname. Ho raccontato la sua storia in “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta a La Spezia e in provincia”: fu tra i protagonisti dell’occupazione della SNAM, nel 1969, per ottenere l’assunzione degli operai che, come lui, avevano costruito lo stabilimento. La lotta ha suscitato forte solidarietà da parte degli studenti, che hanno raggiunto Panigaglia con un corteo entrato nella leggenda. Tra gli operai specializzati Franco fu l’unico a non essere assunto. Ma, caparbio com’era, dopo qualche anno riesce a rientrare in SNAM. L’impianto era pericoloso, a lottare per la sicurezza sono stati innanzitutto gli operai e i tecnici. Già negli anni Sessanta Franco era segretario della sezione del PCI di San Terenzo, cittadina per il cui miglioramento si batté sempre. Rimase operaio e comunista fino alla fine. Con lui scompare uno dei rappresentanti di una generazione operaia che negli anni Sessanta raggiunse la dignità e si liberò dalla sudditanza. Quei lavoratori si sono trasformati da sudditi in cittadini consapevoli. È un’esperienza che non va “monumentalizzata”, ma nemmeno liquidata con poche parole. Anzi, va guardato con rispetto e ammirazione. Soprattutto deve farci riflettere. Perché ci racconta il grande problema irrisolto della politica in generale e di quella della sinistra in particolare: la rappresentanza del mondo del lavoro.

 
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