dati e differenze regionali – .

dati e differenze regionali – .
dati e differenze regionali – .

Ogni giorno il nostro Paese produce 5,8 miliardi di euro di prodotto interno lordo (PIL) che, convenzionalmente, si misura attraverso la somma dei beni e servizi finali generati in un dato periodo di tempo.

Si chiama interno perché si riferisce a quanto generato sia da aziende nazionali che da aziende estere presenti in una determinata area geografica. Questi 5,8 miliardi corrispondono a 99 euro al giorno per ogni cittadino italiano, compresi i neonati e gli ultracentenari.

Differenze regionali

Le differenze regionali sono molto evidenti: se in Trentino Alto Adige il Pil pro capite giornaliero è pari a 146 euro, in Lombardia è 131,8, in Valle d’Aosta 130,1, in Emilia Romagna 118,9 e in Veneto di 110,8. In Campania, invece, il Pil pro capite giornaliero è di 63,4 euro, in Sicilia 60,1 e in Calabria 57,9 (vedi Tab. 2).

Dal confronto con gli altri paesi dell’Unione Europea si nota un divario significativo, soprattutto rispetto ai paesi del Nord Europa. Se in Lussemburgo la ricchezza giornaliera per abitante è di 336 euro, in Irlanda è di 266, in Danimarca 179, nei Paesi Bassi 164, in Austria 149, in Svezia 145 e in Belgio 140. Tra i 27 Paesi del Con 99 euro siamo in 12° posto nella UE (vedi Tab. 3).

Non abbiamo più grandi imprese

Come leggere il risultato che emerge dal confronto europeo sopra riportato? Lo dice un’analisi della CGIA Mestre. Innanzitutto va sottolineato che i paesi con pochi abitanti, ma con una significativa presenza di grandi imprese e attività finanziarie, tendono ad avere livelli di ricchezza significativamente più alti rispetto ad altri. In secondo luogo, va osservato che l’Italia è un Paese che non conta più grandissime imprese e multinazionali, ma è caratterizzato da un sistema produttivo composto quasi esclusivamente da micro e PMI ad alta intensità di lavoro che, mediamente, registra livelli di produttività molto elevati , prevede salari più bassi rispetto alle aziende più grandi – influenzando quindi l’entità dei consumi – e ha livelli di investimento in ricerca/sviluppo inferiori rispetto a quelli delle grandi aziende produttive.

Fino all’inizio degli anni ’80, però, eravamo leader. Adesso lo siamo grazie alle PMI

Al netto dell’inflazione, negli ultimi 30 anni i salari medi degli italiani sono rimasti stagnanti, mentre in quasi tutta l’Ue sono aumentati. Tra le cause del risultato italiano vi sono l’asfittica crescita economica e il basso livello di produttività del lavoro che colpisce il nostro Paese dal 1990, soprattutto nel settore dei servizi. Una delle cause di questo risultato è da ricercarsi anche nel fatto che, a differenza dei nostri principali concorrenti europei, negli ultimi trent’anni la competitività del nostro Paese ha sofferto dell’assenza di grandi imprese. Queste ultime sono quasi scomparse, non certo per l’eccessivo numero di piccole realtà produttive, ma per l’incapacità dei grandi player, spesso di carattere pubblico, di reggere la sfida innescata dal cambiamento provocato dalla caduta del Muro di Berlino e “Tangentopoli”.

Fino all’inizio degli anni Ottanta, infatti, l’Italia era tra i leader europei – e in molti casi anche mondiali – nei settori della chimica, della plastica, della gomma, dell’acciaio, dell’alluminio, dell’informatica, dell’auto e della farmaceutica. Grazie al ruolo e al peso di molti enti economici pubblici (Iri, Eni ed Efim) e di grandi aziende pubbliche e private (Montecatini, Montedison, Enimont, Montefibre, Alfa Romeo, Fiat, Pirelli, Italsider, Polymer, Sava/Alumix, Olivetti, Angelini, ecc.), queste imprese garantivano occupazione, ricerca, sviluppo, innovazione e investimenti produttivi. Quasi 45 anni dopo, purtroppo, abbiamo perso terreno e leadership in quasi tutti i settori in cui eccellevamo. E questo è avvenuto non per un destino cinico e imbroglione, ma per alcuni eventi che hanno cambiato il corso della storia: la caduta del Muro di Berlino, ad esempio, ha riunificato l’Europa, ha riattivato i rapporti commerciali con i Paesi presenti dietro la “cortina di ferro” , spingendo fuori dal mercato molte delle nostre grandi aziende impiegate nei settori in cui eravamo leader.

Altrettanto dirompenti per il nostro Paese sono stati gli effetti provocati da “Tangentopoli” che hanno messo a nudo i limiti, in particolare, di molte imprese statali che fino ad allora erano rimaste attive grazie al mercato tutelato in cui operavano e al sostegno politico che avevano ricevuto da quasi tutti i partiti presenti nella cosiddetta “prima Repubblica”.

Nonostante ciò, negli ultimi 30 anni l’Italia è rimasta tra i Paesi economicamente più avanzati al mondo e questo è merito delle sue PMI che, tra l’altro, continuano a “dominare” i mercati internazionali.

 
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