Don Chisciotte che brucia, Seconda Porta. Un fuoco che arde, aspettando l’alba – .

Don Chisciotte che brucia, Seconda Porta. Un fuoco che arde, aspettando l’alba – .
Don Chisciotte che brucia, Seconda Porta. Un fuoco che arde, aspettando l’alba – .
Don Chisciotte da bruciare. Foto Silvia Lelli

L’anno scorso sembrava un incendio, terribile nella sua forza distruttiva. Bruciò i libri, quelli che offuscavano la mente di Don Chisciotte, secondo i benpensanti, il “coro dei ragionevoli”. Nella seconda “porta” del “Don Chisciotte da bruciare” la brillante rilettura del capolavoro di Cervantes da parte del Teatro delle Albenella scena a Palazzo Malagola fino al 7 luglio per il Ravenna Festival, si riparte di lì da quel fuoco, che però assume un significato completamente diverso. Nella prima parte dello spettacolo itinerante, condotto da due maghi con le “bacchette spuntate” Marco, Marco Martinelli Sorellina piccola, Ermanna Montanariripercorriamo le orme dei primi “anta”, in un dialogo straniante tra realtà e sogno, alla scoperta dei sogni dei ravennati nelle stanze di Palazzo Malagola.

Don Chisciotte in fiamme. Foto Nirmal

L’incendio, dice Hermanita, è pericoloso (“Si comincia con il rogo dei libri – dice -, si finisce con il rogo delle donne, degli uomini, dei bambini”): Scappa, scappa finché puoi.” Gli spettatori “erranti”, quindi, seguono il consiglio. Ci troviamo nella cornice lunare del vicino Palazzo di Teodoricodove i toni cambiano. Tutto è più buio. Don Chisciotte non sembra più se stesso. I l fuoco che animato sembra spento. Si rivolge in modo offensivo alla sua amata Dulcinea. Riproduce gli stereotipi del mondo. La realtà, con la sua crudezza, si impone. Ma c’è un braciere ancora acceso a lato della scena.

il mago Marcus nel Don Chisciotte da bruciare. Foto Silvia Lelli

Al centro è Marco a porre la domanda, e a rivolgerla ai viandanti: “Arriva sempre, prima o poi, il momento in cui quella domanda ci attraversa, ci trafigge, come una lama affilata, ci sospende per un attimo dal rovinoso e meccanico andare a testa bassa, come bruti – dice Marcus -: Cosa sto facendo qui? Cosa ci faccio in questa latrina di mondo, nato per caso in questo o quel posto, in un palazzo signorile o in una baracca di latta, con questa faccia e questo corpo, recitando questa o quella parte, ricco sfondato o miserabile, santo o assassino, Don Chisciotte o Don Giovanni?”. Quella domanda dura un attimo, “una folgorazione, la maschera ipocrita cade a terra, e non crediamo più che tutto questo sia solo il Caso a deciderlo, no, non ci basta, che tutto è inutile e vano, che la vita è solo un pacco spedito dall’ostetrica all’impresario delle pompe funebri, no, non ci basta, vogliamo saperlovogliamo sapere, vogliamo sapere, e alziamo gli occhi al cielo, e invochiamo una risposta: c’è qualcos’altro, c’è qualcos’altro? Toc toc, Universo, rispondi, c’è qualcos’altro?”

Le domande si susseguono, perché Marcus non ha risposte. (“Non sono un oracolo. Posso solo fare domande”): “Tu, adesso, qui, in questo istante, tremi, vuoi sapere perché sei stato convocato qui, in questa notte d’estate, per interpretare Sancho , Dulcinea e il nobile hidalgo della Mancia, le maschere create secoli fa da un mago, mentre era prigioniero in una prigione di Siviglia, e senza la cui fantasia noi, qui, non avremmo nemmeno potuto iniziare i nostri piccoli incantesimi. Quel mago, dalle profondità della sua cella infestata da topi e scorpioni velenosi, richiamò in vita il cavaliere allucinato.… Quello, anche picchiato, picchiato a sangue, deriso e deriso sui social mediacriticato nei salotti alla moda e ignorato dalle persone che contano, non smette mai di proclamare il suo amore per Dulcinea, per la Giustizia, per la Verità”.

Segue un monologo che a sua volta mette in discussione la storia, straziante, magistralmente interpretatadal “ragazza”. Il bambino “senza nome – precisa Hermanita -. Porta il nome di tutti loro. Viene dall’India, dal Nepal, chissenefrega. Dall’immensità sconfinata della terra. È uno straccio. Afferrato e poi gettato via. Nella desolazione di questo mondo.” La storia di una bambina rapita dal suo paese, venduta, sfruttata, “profanata” in mille modi diversi, e della sua speranza che risorge e poi affonda ogni volta, finchécon il suo corpo, raggiunge il fondo del Mediterraneo. Come tanti. Come tanti che non vengono nemmeno più menzionati nelle cronache.

È buio dentro Palazzo Teodorico, Don Chisciotte tace. Si sente solo lo scoppiettio del braciere acceso accanto alla scena. È Hermanita a sottolinearlo, dando appuntamento all’anno prossimo, terzo anno di questa “opera mondiale” messa in scena insieme da attori e cittadini di Ravenna:

“E se noi, qui, lasciassimo questo fuoco acceso stanotte? – propone -. Sancio, metti ancora un po’ di legna da ardere! Lascia che il fuoco bruci nel braciere. Possano gli altri trovarlo. E lo alimentano. Affinché il ricordo non svanisca. Della ragazza senza nome. Possano le sue parole restare tra queste rovine. E anche quelli che penseranno che “è poco, non è niente”. Custodendo una canzone nell’oscurità. Sussurratela con noi. Aspettando la luce dell’alba”.

 
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