«Water everywhere, so we escaped» Gazzetta di Modena – .

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MARANO. “Sono felice di fare questa intervista, ma solo per ricordarvi che bisogna rispettare la montagna e il mare anche quando si è in vacanza. Che bisogna stare attenti anche nei momenti di svago. Non vorrei che si sapesse che il mio, a Macugnaga durante l’alluvione, è stato un gesto eccezionale. Ero lì e ho fatto quello che andava fatto in un momento complicato”. L’oratore è Matteo Buldrini, 37 anni, vive da sempre a MaranoEx calciatore di alto livello, ha vestito le maglie di Bologna, Reggiana e Modena e – per dieci anni – del Castelfranco in Serie D. Ora, lasciati i campi di calcio, è un metalmeccanico di professione con una grande passione per la montagna e la corsa.

Non a caso, proprio questo sabato si trovava a Macugnaga in Val d’Ossola (Piemonte). Pronti per la prima del MEHT, la Monterosa Est Himalayan Trail, una gara di 85 chilometri su e giù per le salite con un dislivello di 5.800 metri. Un’impresa dura, ma non nuova per Buldrini che negli anni ha affinato sempre di più la sua confidenza con i sentieri. Anche con quelli decisamente duri come la Monterosa Est Himalayan Trail di Macugnaga. Si diceva dei tragici momenti dell’alluvione: torrenti allagati, villaggi pieni di fango, persone in fuga ed evacuate. Un’ondata di maltempo che ha interessato non solo il Piemonte, ma anche la vicina Valle d’Aosta.

Storia

Bene, sono più o meno le otto di sera di sabato quando il trentasettenne di Marano si ritrova “travolto” dalla pioggia, dai fulmini e soprattutto dal fango: «Aveva già iniziato a piovere la sera prima – racconta – ma il temporale, quello vero, mi ha sorpreso mentre correvo all’interno di un bosco. Ero tranquillo, in contatto con l’organizzazione della gara e seguito, sempre da loro, con il GPS. Il mio obiettivo, visto quello che stava succedendo, era ormai cambiato: non più concludere la gara tra i primi, ma superare il bosco e tornare sulla strada principale dove mi aspettavano degli operai. Tra l’altro, come è facile intuire, il MEHT era già stato sospeso. Così mentre attraverso questo bosco, con visibilità praticamente nulla, mi accorgo che il piccolo fiume accanto a me sta ormai superando gli argini e soprattutto noto che tra un albero e l’altro c’è una luce. È quella della “lampada frontale” di un altro concorrente, un ragazzo toscano che avevo già incontrato alla partenza. Lui urla, forse, ma io non sento niente in quel frastuono d’acqua. Allora decido di avvicinarmi: lo vedo in difficoltà, praticamente bloccato dallo straripamento del torrente Anza. È il torrente che entra nel paese. Mi immergo in un punto che fortunatamente non ha corrente e tra una roccia e qualche albero ancora in piedi cerco di capire se c’è la possibilità di uscire da quel tratto pericoloso. Ci parliamo, ci incoraggiamo e capiamo che l’unico modo per tornare indietro è prendere la “strada” – per così dire – che ci ha permesso di raggiungere quella zona a valle del bosco. Così facciamo». Insomma, un lieto fine: «Sì – sono ancora le parole di Matteo – devo dire che sono sempre rimasto in contatto con gli organizzatori, gli stessi che mi hanno seguito passo dopo passo anche grazie al GPS. Quando siamo arrivati ​​in valle ho capito cosa era successo e che anche il paese di Macugnaga era stato duramente colpito dall’acqua e dal fango».

 
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