La serie tv Tre Per Cento e la critica alla meritocrazia – .

La serie tv Tre Per Cento e la critica alla meritocrazia – .
La serie tv Tre Per Cento e la critica alla meritocrazia – .

Tre per cento è una serie TV di produzione brasiliana in quattro stagioni (2016-2020), disponibile su Netflix, che ha come tema centrale la meritocraziacioè quell’ideologia che secondo Nancy Fraser (Il vecchio muore e il nuovo non può nascere2019) ha sostituito l’uguaglianza nella narrativa liberal-progressista, ma che ritroviamo anche al centro del discorso retorico dei neoconservatori, dalla Thatcher a Orban fino allo stesso governo italiano attuale, che hanno sentito il bisogno di nominare l’uguaglianza merito il ministero dell’istruzione. Michael Sandel (La tirannia del merito2020) e prima di lui Nicholas Lemann (La grande prova. La storia segreta della meritocrazia americana1999), hanno spiegato bene come il sistema di test ha contribuito a creare a divario sociale sempre più diffuso negli Stati Uniti: troppe risorse per le famiglie comuni da investire nella preparazione di un test interamente incentrato sui risultati di esercizi puramente prestazionali. Gli esiti sono invariabilmente condizionati dai diversi contesti di provenienza dei soggetti.

Lo stesso sistema di selezione per l’accesso alle università è diffuso, ad esempio, in Corea del Sud, in un contesto in cui la logica del capitalismo finanziarizzato contemporaneo si manifesta con sempre meno contrappesi politici e sociali: una metafora suggestiva è stata Gioco dei calamari (2021) e riflessi illuminanti traspaiono anche nel film premio Oscar Parassiti (2019). Per quanto riguarda il Brasile, invece, un altro grande Paese in cui esiste un sistema simile a quello americano nell’istruzione superiore, sono state proprio le serie tv Tre per cento di svolgere lo stesso tipo di critica, ma in modo ancora più diretto, aggiungendo così, nel campo dei testi di narrativa, al romanzo di Kurt Vonnegut del 1952, Giocatore di pianoforte e il racconto sociologico di Michael Young del 1958, L’ascesa della meritocrazia. Nel primo di questi due testi si immagina un’azienda nelle mani di un’élite di ingegneri, selezionati tramite a sistema di merito che, distruggendo la classe media, consegna la maggioranza della popolazione a un destino di degrado e inattività a causa dello sviluppo tecnologico dell’automazione. Nella seconda l’autore, senza mai citare Vonnegut, descriveva una società divisa tra una classe di persone super dotate selezionate con test di intelligenza e gran parte della popolazione destinata a svolgere lavori manuali e di cura. Sia nei racconti di Vonnegut che in quelli di Young, c’è la storia di un movimento rivoluzionario che si rivolta contro l’ordine delle élite, proprio come in Tre per cento.

Lo scenario in cui si svolge la storia di questa serie TV è un microcosmo post-catastrofico. L’umanità sembra ridotta ad un’unica comunità, fortemente divisa, anche spazialmente, tra a Entroterra e un’isola, laal largo. Il novantasette per cento della popolazione vive nell’entroterra, con poca tecnologia a disposizione, con acqua scarsa e fredda e in condizioni di endemico disagio economico e psicologico. Tutt’intorno all’insediamento urbano è un deserto battuto dal sole: è una sorta di favela, abitata da fantasmi che somigliano a quelli che si radunano davvero oggi, ad esempio a San Paolo, nelle piazze del centro o nell’Avenida Paulista a pochi passi a due passi dal cuore finanziario della città.

L’offshore, invece, è un’isola oltre il mare, alla quale si può accedere tramite sofisticati sottomarini. Qui vive il tre per cento della popolazione, selezionata attraverso un test che tutti i soggetti devono sostenere al compimento dei vent’anni e per il quale non esiste alcun test di appello. Un test che decide se hai o non hai il merito. O vai in paradiso, o rimani all’inferno. Al largo, alcune specie animali e vegetali sono state ricreate in laboratorio, la gente mangia in modo sano e gustoso e beve del buon vino, il clima è salubre, la tecnologia è molto avanzata e quindi anche la possibilità di assistenza sanitaria. Il modello ricorda in qualche modo Elisio (2013) del regista sudafricano Neill Blomkamp, ​​in cui si immaginava una divisione sociale di questo tipo tra la terra e una stazione spaziale ricca di ogni privilegio. Ma rispetto a ElisioIn Tre per centoil problema della disuguaglianza viene affrontato insieme a quello della merito.

Un movimento terroristico – come si diceva – lotta contro il sistema: la “causa”. È significativo che venga definito spregiativamente, dall’off-shore, “populista” (come venivano definiti gli antimeritocratici nel libro di Young) e mosso da “invidia e risentimento”. Nel 3%, inoltre, il potere incarnato dall’offshore non è rappresentato in termini di cupo autoritarismo. Viene, però, esercitato diversamente da soggetti sorridenti e rilassati, che tendono ad evitare l’uso della violenza e abitano un ambiente ecologicamente sostenibile in cui vige assoluta uguaglianza tra generi ed etnie e le decisioni sono prese collegialmente da un consiglio democraticamente eletto. Diremmo un regno di gestione della diversità e della sussunzione delle pulsioni emancipazioniste staccate dalla loro sostanza sociale e dalla loro essenza universalistica.

Gli abitanti dell’hinterland sono invece condannati a vivere senza tecnologia e con cibo e aria insalubri, senza provocare alcuna crisi di coscienza nei cosiddetti superdotati offshore: i soggetti scartati non sono meritevoli e quindi non vanno compatiti, mentre i meritevoli devono legittimamente godere delle proprie prerogative distintive. Lo sguardo dei privilegiati sugli abitanti dell’entroterra è infatti segnato dal razzismo sociale: li vedono come esseri inferiori non per il loro sangue o per il colore della loro pelle, ma per la presunta insufficiente qualità della loro intelligenza. Per evitare ogni possibilità di rinascere il privilegio attraverso l’eredità, i giovani che accedono all’offshore vengono sterilizzati e ovviamente chi ha già procreato deve separarsi dai figli oltre che dai genitori, fratelli, fidanzati e amici.

Molto interessante anche la rappresentazione di come vengono svolte le prove. Le prove, infatti, richiedono abilità logiche, manuali, induttive, deduttive ma anche comportamentali. Non è difficile riconoscere quelle “competenze trasversali” oggi richieste dalle imprese e che, ad esempio, in Italia assediano da anni scuole e università, colonizzate da un apprendistato volto a rendere i singoli imprenditori di se stessi e procacciatori di profitto. In questa prospettiva dobbiamo essere in grado di “gestire lo stress” e di relazionarci con gli altri in modo competitivo o cooperativo a seconda della situazione. Ma la prova premia anche la spregiudicatezza: se cioè qualcuno, nei giochi competitivi, inganna gli altri violando le regole, è comunque considerato vincitore, come accade anche nei Gioco dei calamari. Un modello di prova, cioè, che esprime più fedelmente la realtà effettiva, in cui una rete di regole copre la lotta darwinistica per l’esistenza in cui spesso prevale la forza bruta e cieca rispetto alle leggi comuni.

Ma com’è possibile che gli abitanti dell’entroterra accettino questo stato di cose e che gli aderenti alla “causa” siano ancora una minoranza? Perché il “processo” è diventato una religione: credere nella possibilità di avere un’opportunità e di far parte del tre per cento, sostenuto dalla convinzione che se non ci riesci è segno di mancanza di merito. Non è un caso che nella serie tv sia presente un personaggio, Antonio, un predicatore, chiaramente ispirato al movimento religioso di vangelo della prosperità cioè una versione del cristianesimo evangelico, diffusa anche attraverso i televangelisti che sostengono la necessità di dimostrare la propria virtù con la ricchezza e l’ascesa sociale. Si tratta di un fenomeno religioso diffuso negli Stati Uniti ma anche in Brasile, dove ha contribuito a determinare la vittoria di Jair Bolsonaro alle elezioni del 2018.

Gli abitanti dell’entroterra sono quindi resi docili da questo miraggio di una vita migliore, di cui non conoscono la vera realtà, visto che dall’offshore non arrivano informazioni. I protagonisti della serie tv (Fernando, Marco, Michele, Rafael, Joanna, ai quali poi si uniranno altri amici e alleati) sviluppano, ciascuno a suo modo, una consapevolezza dell’ingiustizia dei rapporti sociali. Michele e Rafael sono affiliati alla “causa”, alla quale poi aderirà anche Joanna. Ma la “causa” mostra tutti i limiti della politica del Novecento: affida ogni speranza alla violenza e risponde a una logica in cui il fine rischia di essere fagocitato dai mezzi. Uccidere innocenti è giustificato – in questa logica – se serve a porre fine a un’ingiustizia secolare. I protagonisti entrano in continuo conflitto tra loro, quasi a rappresentare il destino delle opposizioni sociali contemporanee, frammentate e incapaci di organizzazione collettiva. Sempre attraverso percorsi personali, segnati dalla propria “differenza” individuale e postmoderna, sviluppano due tipi di alternative. Innanzitutto, su impulso di Michele, è nata la Conchiglia (la “concha”), cioè una sorta di spazio mutualistico in mezzo al deserto, dove frutta e verdura si producono a chilometro zero, lavorano in modo cooperativo e – in opposizione all’ideologia offshore – “tutti sono i benvenuti”. Il guscio fiorisce sulla base dell’idea che tutti “hanno valore”. È una sorta di utopia dell’esodo. Scegliamo di non combattere più al largo ma di creare un’alternativa che poi possa attrarre gli abitanti dell’entroterra con la forza dell’esempio. Ben presto, però, l’utopia si scontra con la realtà. Una tempesta di sabbia e altre avversità mettono a rischio la vita della conchiglia. Offshore si decide quindi di evitare di distruggere l’esperienza shell con un attacco militare, puntando invece su una strategia più soft, cioè alimentare il malcontento e istigare gli esclusi a invadere la comunità alternativa e richiedere l’intervento dell’élite dominante. Una chiara metafora delle pratiche imperialiste americane, che tendono ad evitare di risolvere i conflitti geopolitici a loro favore presentandosi come occupanti e mirano piuttosto a penetrare nelle aree di loro interesse attraverso servizi segreti, aiuti economici e propaganda, magari utilizzando “rivoluzioni arancioni”. Forse il riferimento è anche alle manifestazioni di piazza delle classi medie che anticiparono, in Brasile, l’offensiva giudiziaria Lava Jato che depose Djlma Roussef e incriminò Lula. Alla fine l’offshore riesce a distruggere l’involucro, ma gli “eroi” della narrazione si riorganizzano e rivalutano l’idea di opporsi alla fonte di ogni male dato che, come ha osservato Joanna, finché non viene distrutta la fonte dell’ingiustizia, non c’è alternativa. sarebbe possibile. Scelgono però una strada quanto più incruenta possibile, anche se non priva di tributo di sangue, vista anche l’involuzione autoritaria e militarista dell’offshore, spaventato dall’aggravarsi del conflitto. Riescono infatti a far esplodere un impulso elettromagnetico che porta via tutta l’energia dal mare aperto, bloccandone la tecnologia e rilasciando anche involontariamente radiazioni nucleari che lo rendono inabitabile. Una volta tornati tutti nell’entroterra, la comunità rischiò di cadere nella guerra civile, nella vendetta e sotto il giogo di André, divenuto il dittatore dell’Offshore. Alla fine, però, prevale la spinta cooperativa verso l’autogoverno assembleare, relegando il despota in minoranza, spingendolo al suicidio.

La soluzione finale sembra fare appello alla forza dell’aggregazione della maggioranza oppressa e del mutualismo, che potrebbe aver vinto – con metodi quanto più non violenti possibile – contro il potere e i soprusi. Ma questo è ovviamente un microcosmo, in cui la democrazia dal basso può funzionare, come nella Ginevra di Rousseau. Non si tratta certamente quindi di una ricetta esaustiva per le cucine del futuro del nostro mondo globale: ma non è questo quello che ci si può aspettare da una serie tv. Possiamo tuttavia sorprenderci per la sua capacità di analisi e per i valori antielitari che promuove in contrasto con il senso comune diffuso e per la speranza di liberazione che cerca di trasmettere, evitando gli effetti paralizzanti talvolta generati dalla distopia.

Salvatore Cingari

 
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