La Meloni si astiene su Von der Leyen, no a Costa e Kallas. Ma il pacchetto passa – .

La Meloni si astiene su Von der Leyen, no a Costa e Kallas. Ma il pacchetto passa – .
La Meloni si astiene su Von der Leyen, no a Costa e Kallas. Ma il pacchetto passa – .

Meloni al Consiglio europeo – Ansa

Al termine di una giornata lunga e nervosa, il pacchetto di candidature per le posizioni di vertice dell’Unione Europea passa nella notte ma con una distinzione italiana. Via libera quindi dal Consiglio Ue alla popolare tedesca Von der Leyen alla guida (per la seconda volta) della Commissione Ue, alla socialista Costa, portoghese, che guiderà le posizioni di vertice dei Ventisette e al liberale estone Kallas, indicato come Alto rappresentante per la politica estera.

Giorgia Meloni, però, presidente dei Conservatori europei (Ecr), prende le distanze da un accordo che vede protagonisti leader popolari, socialisti e liberali. Il primo ministro si astiene su Von der Leyen, mantenendosi così le mani libere per votarla, eventualmente, nella seduta del Parlamento europeo a Strasburgo il 18 luglio. E dice “no” sia a Costa che a Kallas, in quello che era – era una delle ipotesi del giorno prima – un voto disfatto sulle tre diverse posizioni. Il premier italiano supera Orban in radicalità: il leader ungherese infatti vota contro Von der Leyen, a favore Costa e si astiene su Kallas. L’altro leader conservatore presente tra i Ventisette, il ceco Fiala, dice invece “sì” al pacchetto.

Dopo il voto, Palazzo Chigi ha reso noto che “nell’ambito delle votazioni in Consiglio europeo sulle nomine dei nuovi leader, il governo italiano ha ribadito la propria contrarietà al metodo seguito nella scelta dai negoziatori Ppe, Socialisti democratici e Renew , esprimendo voto contrario ai candidati alla presidenza del Consiglio europeo, Antonio Costa, e all’alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Kaja Kallas. Per quanto riguarda la nomina di Ursula von der Leyen a presidente della Commissione europea, è stato deciso un voto di astensione nel rispetto delle diverse valutazioni tra i partiti della maggioranza di governo, e in attesa di conoscere le linee programmatiche e aprire il negoziato sul ruolo d’Italia”. Quando parla di valutazioni diverse nella maggioranza, la Meloni fa riferimento al fatto che Forza Italia fa parte del Ppe e quindi “esprime” Von der Leyen, mentre la Lega di Salvini fa parte della famiglia Identità e Democrazia, che non vuole che si ripeta della politica tedesca. La nota di Palazzo Chigi suggerisce che la vera partita dell’Italia adesso consiste nel posto di commissario europeo che verrà assegnato a Roma. Mentre il voto di Fdi e dei conservatori europei (ma non di tutti, il gruppo sembra essere in crisi interna) dipenderà dalle aperture programmatiche di Von der Leyen, che si avvia verso la ripetizione.

Poco dopo la nota di Palazzo Chigi, Meloni ha aggiunto sui social X: “La proposta formulata da Popolari, Socialisti e Liberali è sbagliata nel metodo e nel merito. Ho deciso di non sostenerlo per rispetto dei cittadini e delle indicazioni arrivate con le elezioni. Continuiamo a lavorare per dare finalmente all’Italia il peso che merita in Europa”.

Prima di rientrare a Roma il premier ha tenuto un punto stampa notturno, dedicato in gran parte al caso Nazionale Giovani. Meloni ha difeso le sue scelte in Consiglio Ue aggiungendo che “sarebbe vergognoso se qualcuno volesse farcela pagare, ma lo escludo”. “Si pensa – ha detto Meloni – che bisogna mettersi d’accordo per uscire dall’isolamento, io penso che si sia decisamente meno isolati quando si ha la capacità di esercitare la leadership. Credo che questo sia il ruolo dell’Italia, e non quello di essere d’accordo. Quindi sinceramente quando sono d’accordo lo dico, quando non sono d’accordo lo dico”. Quanto a Von der Leyen, il dibattito è ancora aperto ma “dipende dalle politiche”.

Quasi contemporaneamente, il cancelliere tedesco Scholz l’ha raffreddata, rallegrandosi del fatto che “la destra populista” sia “fuori dall’accordo”. Al contrario, Von der Leyen, parlando alla stampa, ha ribadito che per lei “è molto importante lavorare con l’Italia” e nei prossimi giorni parlerà “con le delegazioni nazionali al Parlamento europeo”.

​La giornata del premier tra la parte di Tajani, Salvini che parla di “colpo di stato” e Schlein che alza muri contro di lei

Alle 20.15, quando stava per iniziare la cena sui “top jobs”, le posizioni di vertice nell’Unione Europea, dallo staff di Giorgia Meloni è trapelata l’unica indiscrezione della giornata: “La nostra posizione di partenza è no o astensione” al pacchetto concordato da popolari, socialisti e liberali. È stato, infatti, il punto di partenza di una cena al vertice durata fino a tardi. C’era la possibilità che il Consiglio Ue esprimesse un consenso sul pacchetto senza ricorrere al voto, ma evidentemente il malcontento dei leader di destra, di fatto esclusi dai negoziati, ha portato, alla fine, a escludersi .

Il primo ministro ha trascorso la giornata seduta a un bivio. Alla sua sinistra si è ritrovata, forse tardivamente, con un Ppe generoso di complimenti, carezze e mani tese. A cercare di reindirizzare il corso degli eventi con diversi interventi è stato un prolifico Antonio Tajani, coadiuvato da Manfred Weber, che è intervenuto più volte nel corso della giornata per ribadire lo stesso concetto: “È stato un errore non aver parlato prima con l’Italia”. Tajani indica un percorso che poi si concretizza negli interventi dello stato maggiore popolare, compresi quelli, come Tusk, meno propensi a un dialogo serrato con l’area politica del premier italiano. “Il Parlamento europeo – spiega il vicepremier italiano – deve avere la certezza che Von der Leyen passerà a scrutinio segreto: nel 2019 Angela Merkel la chiese ai conservatori. Ho invitato tutti ad essere molto cauti e molto attenti”.
Parole da tradurre. Secondo Tajani, se prevalesse il veto dei socialisti verso i conservatori, ribadito anche da Elly Schlein ieri a Bruxelles (“abbiamo preso l’impegno di dire “no” a qualsiasi tipo di alleanza con il gruppo ECR guidato da Giorgia Meloni così come con l’Id di cui fanno parte Le Pen e Salvini, andrebbe piuttosto esteso ai Verdi”, ha detto la leader del Pd), non solo si rischierebbe di spingere il governo italiano verso l’isolamento, ma si esporrebbe VdL ai cecchini e si contribuirebbe al consolidamento della destra, oggi divisa, se così si può dire, tra falchi e colombe.
La Meloni tace ostinatamente e prudentemente. In serata, quando lo staff di Charles Michel scende in sala stampa, rassicura i giornalisti sull’approccio «molto collaborativo e costruttivo» della Meloni. La delegazione di Scholz parla anche di clima “meno caldo di quello di Bruxelles”. Ma evidentemente si trattava di impressioni destinate ad essere infrante dai fatti.
D’altro canto, i toni si sono alzati già mercoledì alle Camere, con il presidente del Consiglio duro nel rivendicare il ruolo dell’Italia, supportato anche dalle parole del Quirinale sul ruolo essenziale di Roma negli equilibri dell’Ue.
Giorgia Meloni non poteva certo permettersi un sì pieno e solare al pacchetto di nomine. Per due motivi. Uno interno e uno esterno. Quello interno ha nome e cognome: Matteo Salvini. La sua dichiarazione delle 19 arriva a Bruxelles come un monito al premier italiano. «Quello che sta succedendo in queste ore sa di colpo di Stato. Milioni di europei hanno votato e chiesto di cambiare l’Europa da tutti i punti di vista e invece cosa propongono? Le stesse facce: Ursula Von der Leyen alla Commissione, una socialista al Consiglio europeo, un indicato da Macron per la politica estera», attacca il vicepremier leghista.
Il fattore esterno invece ha nome e cognome Mateusz Morawiecki: il polacco ha minacciato di far uscire il Pis dal gruppo Ecr, per andare a costruire una squadra centroorientale con una caratterizzazione geografica. Se la Meloni si mette in gioco nell’ambito di un accordo “di sistema”, rischia di perdere i suoi alleati in Parlamento.

La scelta finale (un’astensione e due no) consente comunque al primo ministro di arrivare a Strasburgo a metà luglio senza dire sì o no all’amica Von der Leyen. È lì, a Strasburgo, che il primo ministro condurrà un nuovo negoziato. Per il governo italiano è in gioco la nomina a commissario con un portafoglio vero. Per il pezzo di Ecr che seguirà sono in gioco posizioni parlamentari che implicano un riconoscimento politico.

La moral suasion dei leader Ue dopo i colpi del primo ministro mercoledì

C’è stato il tentativo di coinvolgere fino all’ultimo Giorgia Meloni, per evitare la rottura con un grande Paese fondatore, la terza economia dell’Unione. Il Consiglio europeo si è aperto ieri con un tentativo, soprattutto da parte dei leader coinvolti nel pre-accordo di martedì, di arginare la furia del primo ministro italiano. Nessuno si è perso il durissimo discorso dell’altro ieri davanti alle Camere a Roma. Anche se in realtà la maggioranza qualificata rafforzata necessaria per confermare le nomine (20 Stati membri e il 72% della popolazione) era già assicurata anche senza l’Italia.

«Non è mai stata nostra intenzione escludere o offendere nessuno – ha spiegato il premier greco Kyriakos Mitsotakis, uno dei negoziatori del Partito popolare –, personalmente nutro grande rispetto per il premier Meloni. Sono certo che affronteremo questi problemi e preoccupazioni nelle discussioni del vertice. «Nessuno rispetta il Primo Ministro Meloni e l’Italia più di me – dice in modo ancora più diretto il primo ministro polacco Donald Tusk, l’altro popolare negoziatore. È un malinteso: a volte servono piattaforme politiche specifiche (cioè la “maggioranza Ursula” composta da Ppe, Pse e liberali di Renew, ndr) per facilitare il processo, la posizione comune dei tre grandi gruppi serve a facilitare il processo processi. La decisione spetta al Consiglio europeo. Non c’è Europa senza Italia, non c’è decisione senza Giorgia Meloni. Per me è ovvio”. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz, uno dei due negoziatori dei socialisti (insieme allo spagnolo Pedro Sánchez, assente per lutto familiare e rappresentato dal leader tedesco) attenua il senso del pre-accordo di martedì. «Qui nel Consiglio europeo sono 27 gli Stati membri che decidono – ha dichiarato -, il pre-accordo delle tre famiglie «è solo una posizione, ne discuteremo attentamente tra tutti». «Stiamo andando nella direzione giusta – ha dichiarato il popolare premier croato Andrej Plenkovic –, molti di noi sono in contatto con la Meloni». “Dobbiamo garantire – ha avvertito anche il premier olandese uscente Mark Rutte (negoziatore liberale) – che anche l’Italia si senta ben rappresentata nella nuova Commissione e non solo”. «Ci ​​sono – commenta più duramente il primo ministro belga Alexander De Croo, anche lui liberale – tre gruppi disposti a lavorare insieme. Ecco come funziona la democrazia. La democrazia non significa solo bloccare”.
Durante la serata l’atmosfera è apparsa relativamente distesa, anche se la questione degli appuntamenti è arrivata per ultima, durante la notte, durante la cena. In serata diversi diplomatici hanno chiarito che un’eventuale astensione della Meloni andrebbe più che bene, ma se dovesse arrivare un no «ci penseremo noi». Insomma, ieri sera il clima sembrava chiaro: si va avanti, con o senza la Meloni, anche se sarebbe meglio riuscire a coinvolgerla, e ieri sera cresceva l’ottimismo per un accordo senza voto formale. Ma non è stato così, alla fine si è votato. Del resto, a occuparsi dello sfogo è il solito primo ministro ungherese Viktor Orbán. «Gli elettori europei – ha affermato tramite X – sono stati ingannati. Il PPE ha formato una coalizione menzognera con la sinistra e i liberali. Non sosteniamo questo accordo vergognoso! Anche la Slovacchia ieri è rimasta contraria.
Per Von der Leyen la partita si sposta all’Europarlamento, dove dovrebbe essere confermata con un voto nell’aula di Strasburgo il 18 luglio. Resta l’incertezza sui numerosi, probabili cecchini. La Commissione stima che siano 40-50 i “cecchini” che, nella “maggioranza Ursula” dei Popolari, Socialisti e Liberali di Renew, potrebbero votare contro. E 399, quindi solo 38 voti di margine rispetto alla maggioranza assoluta di 361, sono davvero troppo pochi. Von der Leyen dovrà trovare voti esterni con accordi sottobanco. Ovviamente, i 24 eurodeputati di Fdi sarebbero un grande aiuto, l’alternativa sono i 53 voti dei Verdi, che più volte si sono offerti di entrare nella coalizione. Una buona parte dei Popolari (a partire da Forza Italia) dice però di no. Una strada molto stretta per la tedesca.

 
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