Sarà difficile che il governo riesca a rinnovare il taglio del cuneo fiscale – The Post – .

Sarà difficile che il governo riesca a rinnovare il taglio del cuneo fiscale – The Post – .
Descriptive text here

È una misura popolare perché ha aumentato gli stipendi, ma secondo la Banca d’Italia rifinanziarla o renderla strutturale è una pessima idea

Lunedì si sono svolte in Parlamento una serie di audizioni sul Documento di Economia e Finanza (DEF) presentato dal governo all’inizio di aprile, con il quale il governo indica a grandi linee quali saranno le tendenze economiche per i prossimi anni. Era un momento in cui le diverse istituzioni indipendenti, come la Banca d’Italia, l’Ufficio parlamentare di Bilancio, il CNEL e l’Istat, ma anche le associazioni datoriali e i sindacati, potevano dire la loro sul contenuto del DEF. Una domanda emersa nella maggior parte degli interventi riguarda cosa accadrà l’anno prossimo al cosiddetto taglio del cuneo fiscale, lo sconto sui contributi garantiti ai dipendenti fino a 35mila euro di reddito, che negli ultimi due anni ha contribuito ad aumentare gli stipendi compensare almeno in parte l’aumento del costo della vita.

Il governo ha sempre fatto capire che intende rinnovarlo anche per il prossimo anno, anche se non ha mai detto come finanzierà i circa 11 miliardi di euro che servirebbero. Secondo la maggior parte delle udienze, però, la misura ha un costo sproporzionato rispetto ai suoi potenziali effetti positivi sull’economia, e a seconda di come viene finanziata potrebbe addirittura causare danni. La decisione è quindi soprattutto politica, perché non rifinanziare il taglio del cuneo fiscale aumenterebbe le tasse per chi ha salari medio-bassi, riducendole di fatto. È una mossa che potrebbe costare molto al governo in termini di popolarità.

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti con il presidente del Consiglio Giorgia Meloni (Mauro Scrobogna/LaPresse)

Il tema è molto concreto e ha conseguenze molto pratiche sulle aziende e sui salari dei lavoratori (che in Italia sono storicamente bassi). In breve, il cuneo fiscale è la differenza tra quanto le aziende spendono per un dipendente e quanto viene effettivamente pagato in stipendio. È formato da tasse e contributi versati sia dall’azienda che dal lavoratore, e da anni si discute di ridurlo perché in Italia è molto alto: il 45,9 per cento del costo complessivo del lavoro, uno dei più alti tra quelli nei paesi europei. Ciò significa che se il costo totale del lavoro è di 100 euro, il dipendente italiano riceve solo 54,1 euro come retribuzione netta. Il resto – che corrisponde al cuneo fiscale – lo pagano lavoratore e datore di lavoro: l’azienda paga 24,3 euro e il lavoratore 21,6.

Il taglio del cuneo fiscale attualmente in vigore fino a fine anno prevede uno sconto sui contributi a carico del lavoratore del 7% per i redditi inferiori a 25mila euro e del 6% per quelli compresi tra 25 e 35mila: la misura produce effetti immediatamente visibili sulle buste paga dei dipendenti, il cui stipendio netto è aumentato di conseguenza. Sono stati invece ridotti i contributi versati da questi dipendenti agli enti previdenziali e assistenziali INPS e INAIL, la cui differenza è coperta dallo Stato.

La misura è stata originariamente introdotta dal governo di Mario Draghi nell’estate del 2022, ed è stata poi confermata e rafforzata dal governo di Giorgia Meloni per il 2023 e il 2024. È sempre stata definita una misura temporanea e straordinaria per compensare la riduzione degli acquisti di energia conseguente dall’inflazione. La sua natura temporanea ha permesso di finanziarlo in deficit, gravando sul debito pubblico. E questo perché, per legge, i tagli fiscali strutturali e permanenti devono sempre essere finanziati con riduzioni altrettanto strutturali e permanenti della spesa pubblica. Tale vincolo, tuttavia, non si applica nei casi di riduzioni temporanee.

– Leggi anche: Cosa sono le coperture di bilancio

Lunedì i sindacati e le principali associazioni datoriali (cioè i datori di lavoro) nelle loro audizioni hanno chiesto non solo certezza sul rinnovo del provvedimento per il prossimo anno, ma anche la possibilità che questo provvedimento diventi strutturale: i sindacati hanno interesse a mantenere salari più alti, mentre le associazioni dei datori di lavoro riducono il costo complessivo del lavoro.

Tuttavia, le istituzioni indipendenti si sono rivelate critiche. Secondo la Banca d’Italia, prorogare temporaneamente lo sgravio sarebbe dannoso per il bilancio pubblico: il governo potrebbe finanziarlo con più debito, in un momento in cui l’Italia è già tra i Paesi europei con il più alto rapporto debito pubblico-deficit/Pil (la differenza tra le entrate e le spese pubbliche totali) rispetto al PIL. Sarebbe quindi non solo dannoso, ma anche di difficile attuazione visto che quest’anno tornano in vigore le regole europee in materia di finanza pubblica, il cosiddetto Patto di Stabilità e Crescita che prevede una serie di vincoli per evitare che gli Stati europei si trovino troppo in difficoltà. molto indebitato: già senza fare nulla, l’Italia supera tutti i parametri su debito e deficit, quindi ha poco spazio per nuove misure che li aumentino.

Secondo la Banca d’Italia ci sarebbero problemi anche se la misura venisse resa strutturale, perché il governo dovrebbe trovare il modo di pagare in modo permanente quello che i lavoratori non pagherebbero più, per non gravare sui bilanci di Inps e Inail. I contributi finanziano le pensioni e le tante tutele di cui beneficiano tutti i lavoratori, come i congedi per malattia e parentali, i congedi di maternità e paternità, la disoccupazione, l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Lo Stato deve quindi trovare un’alternativa per continuare a fornire questi servizi, altrimenti c’è il rischio di doverli ridurre.

L’Istat ha poi sottolineato che, a fronte di un costo di diversi miliardi per lo Stato, gli effetti sull’economia del taglio del cuneo fiscale sarebbero nel complesso limitati: secondo le sue simulazioni, se fosse finanziato interamente a debito, si potrebbero avere ricadute positive sui consumi e infine sul prodotto interno lordo (PIL) di soli 0,2 punti percentuali; se fosse finanziato attraverso tagli alla spesa, allora gli effetti sul Pil sarebbero addirittura negativi.

Tuttavia, tagliare il cuneo incide direttamente e visibilmente sugli stipendi delle persone, e quindi ha un giusto ritorno sui consensi: non rifinanziarlo ridurrebbe gli stipendi e avrebbe quindi lo stesso effetto di un aumento delle tasse. Ecco perché il governo ha sempre fatto capire che troverà il modo per rinnovarlo, anche se non è chiaro come. Il DEF non fornisce risposte, perché a differenza degli anni precedenti è stato presentato in una forma un po’ anomala: contiene solo le previsioni sull’andamento dell’economia italiana e non comprende, cioè, l’effetto che le misure volute dal governo (approvate o rinnovato) può produrre crescita nell’economia.

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti nella conferenza stampa di presentazione del DEF ha affermato che confermare il taglio del cuneo fiscale anche nel 2025 è “la priorità numero uno” e che “quando a settembre verranno fatti la legge di bilancio e il programma strutturale, certamente si troveranno le forme”. Insomma ha detto che ci vedremo tra qualche mese. E lo ha confermato anche lunedì sera nel corso dell’audizione al DEF. Ha anche aggiunto, però, che nelle previsioni del governo, che escludono per il momento il rinnovo della misura, l’economia cresce anche per effetto dell’aumento generale dei salari dovuto alle trattative tra sindacati e imprese per il recupero degli acquisti persi potere in questi anni di inflazione, che non deve essere “affidato unicamente alla leva fiscale del governo, ma anche a una ragionevole dinamica negoziale tra le parti”.

– Leggi anche: Quanto ci ha impoverito l’inflazione?

Continua sul Post

 
For Latest Updates Follow us on Google News
 

PREV Auto elettrica Bluff, l’Italia ferma al palo – .
NEXT Come proteggersi dagli alti costi di ricarica: quali app… – .