La Cina cerca di salvare i mattoni con un cantiere da oltre 130 miliardi – .

La Cina cerca di salvare i mattoni con un cantiere da oltre 130 miliardi – .
La Cina cerca di salvare i mattoni con un cantiere da oltre 130 miliardi – .

Dopo essersi comportata come lo struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia, ignorando le conseguenze dei crolli di Evergrande e Country Garden, la Cina cerca di affrontare di petto la crisi che ha travolto il settore immobiliare. L’arma è un bazooka finanziario, del valore complessivo di 1.000 miliardi di yuan (oltre 130 miliardi di euro), che punta su due obiettivi: offrire alle aziende pubbliche prestiti a tasso agevolato (1,75%), della durata di un anno e rinnovabili quattro volte, per essere utilizzato per l’acquisto di case invendute; ammorbidire i requisiti per l’acquisto dell’abitazione principale, con l’acconto minimo ridotto al 15%.
Le misure messe in atto, dopo quelle con cui venerdì scorso sono state allentate le regole sui mutui e rimossi i tassi minimi ipotecari, confermano come le autorità di Pechino abbiano smesso di illudersi sulla capacità del mattone di autorigenerarsi. I numeri, invece, sono impietosi: non solo i prezzi delle case sono crollati del 25-30% rispetto al picco, ma nello sterminato territorio dell’ex Celeste Impero gli immobili invenduti occupano 3,6 miliardi di metri quadrati, cifre mostruose superiori dell’intera superficie della Valle d’Aosta.
Bruciato dall’esperienza di chi aveva acquistato una casa e poi si è ritrovato alle prese con un cantiere mai terminato, ancora timoroso sulla stabilità dell’economia nonostante il rombo del Pil nel primo trimestre (+5,3%), i cinesi non comprano più. Soprattutto, dal momento che il 96% delle famiglie possiede già una casa, nessuno investe più nel mattone. La campagna lanciata dalle autorità il mese scorso per incentivare la sostituzione dei vecchi appartamenti con quelli di nuova costruzione si sta infatti rivelando un fallimento, mentre resta da vedere se le nuove regole meno stringenti e le tariffe agevolate riusciranno a cambiare la situazione. Inoltre, in un sistema imprenditoriale opaco come quello cinese, la “moral suasion” (in realtà una vera e propria imposizione) esercitata sugli enti locali per acquistare immobili invenduti, per poi convertirli in alloggi a prezzi accessibili, rischia di allargare la piaga della corruzione.
Così, al netto della reazione alle misure adottate dal governo dell’indice immobiliare CSI 300 (+9% ieri, con guadagni del 36% dal 24 aprile, ma ancora del 68% sotto i record del 2018), la sensazione degli analisti ritengono che le direttive date dal presidente Xi Jinping siano insufficienti per sollevare il settore immobiliare dal baratro.

Shujin Chen, responsabile della ricerca finanziaria e immobiliare cinese presso Jefferies, azzarda una cifra: servono almeno 2mila miliardi di yuan (oltre 250 miliardi di euro), il doppio di quanto adesso sul tavolo.

 
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