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grande fiasco tra i giovani, ma servono a poco anche per gli altri lavoratori – .

grande fiasco tra i giovani, ma servono a poco anche per gli altri lavoratori – .
grande fiasco tra i giovani, ma servono a poco anche per gli altri lavoratori – .

La previdenza complementare in Italia non decolla e tra i giovani lavoratori è un flop confermato. A poco servirebbe spingere le sottoscrizioni ai fondi comuni di investimento con ulteriori incentivi fiscali perché il problema non sono gli sconti governativi, ma la scarsa disponibilità economica. Il lavoro precario e mal pagato in uno scenario di inflazione di ritorno non aiuta certo in questo senso.

In altre parole, se i giovani lavoratori non hanno abbastanza soldi, a fine mese resta loro ben poco da destinare alla previdenza complementare.

È vero che queste risorse provengono dal TFR, ma di fronte a lavori precari e sottopagati, come detto, ha poco senso preoccuparsi del futuro quando anche il presente è molto incerto. Insomma, i giovani, sapendo che un lavoro fisso non esiste più, preferiscono aggrapparsi al TFR per usarlo come ammortizzatore sociale al momento opportuno.

Pensioni integrative, i giovani restano fermi

Uno studio recente dell’Università di Cambridge evidenzia le reali difficoltà del settore dei fondi pensione. La saggezza di Roma che mette in discussione l’effettiva convenienza delle pensioni integrative in Italia. Secondo quanto emerso dagli studiosi, esse sono di scarsa utilità per i lavoratori che se le possono permettere e risultano invece troppo costose per chi ne avrebbe effettivamente bisogno.

Anche l’ultimo rapporto Ambrosetti fa eco allo studio universitario, evidenziando come non si possa sviluppare un mercato dei fondi pensione robusto senza il contributo dei giovani lavoratori. Purtroppo, soffrono di un forte vincolo di liquidità, oltre a un elevato livello di incertezza sul futuro causato dalla precarietà lavorativa. Nonostante abbiano magari conseguito titoli di studio importanti.

Pertanto, la pressione esercitata sul governo dai signori della finanza e dai banchieri per ridurre ulteriormente le tasse sul reddito pensionistico integrativo per aumentare l’adesione ai fondi sembra inutile. Nemmeno il consenso silenzioso ha prodotto il risultato desiderato.

Dopotutto, non ci sono soldi da destinare al secondo pilastro e tutti i rischi associati ai fondi pensione non sono da sottovalutare.

Le pensioni integrative servono a poco a chi se le può permettere

Al contrario, le pensioni integrative servono a poco a chi se le può permettere, come afferma il rapporto della Sapienza. O meglio, un lavoratore con un lavoro sicuro e ben pagato ha poca utilità a ricevere una pensione integrativa. Gli basterà quella dell’INPS, che, nonostante il sistema di calcolo contributivo, sarà comunque adeguata e sufficiente per vivere.

Secondo la Ragioneria dello Stato, tra 45 anni l’importo netto della pensione di un ventenne di oggi sarebbe circa due terzi dell’ultimo stipendio. Un tasso di sostituzione non molto diverso da quello erogato oggi dall’INPS con il sistema di calcolo misto delle rendite. L’unica differenza è che, a parità di importo, la pensione verrà erogata più tardi rispetto a oggi.

I dati confermano questa tesi. Gli iscritti nel 2023 sono aumentati solo del 3%, rispetto a previsioni molto più ottimistiche. E le cose non andranno meglio nel 2024 nonostante la buona posizione dei mercati finanziari globali che sono quelli che fanno salire o scendere i rendimenti dei fondi pensione.

Secondo i dati elaborati da BFF, nei primi tre mesi dell’anno i rendimenti dei fondi negoziabili sono scesi dello 0,6%, mentre quelli di quelli aperti hanno perso lo 0,8%. Il calo è stato causato principalmente dall’andamento negativo delle linee azionarie, che hanno registrato un deficit di circa il 2%. Il comparto monetario e quello obbligazionario hanno invece contenuto le perdite, chiudendo il mese con segno positivo.

 
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