La filosofia dei rifugi alpini spiegata dall’architetto delle Terre Alte – .

La filosofia dei rifugi alpini spiegata dall’architetto delle Terre Alte – .
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Barbara Martino, architetto della Valle Varaita, intervista il collega Jacques-Felix Faure, che oggi, alle 17.30, presso Villa Tornaforte-Aragno a Cuneo, sarà ospite del ciclo di incontri dedicati alla montagna e ideati dall’editore Nino Aragno e dal regista Fredo Valla. Tema: Rifugi alpini. Faure ha ideato, progettato e in parte realizzato la Nouvelle Cabane de l’Aigle, nel cuore del Parc des Écrins, nelle Hautes Alpes, a 50 chilometri da Briançon.

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Cosa ha di speciale il progetto Nouvelle Cabane de l’Aigle?

«Il vecchio ricovero, costruito nel 1910, era una struttura prefabbricata in legno, portata a spalla pezzo per pezzo. Da cento anni resiste agli assalti di Madre Natura e accoglie generazioni di alpinisti, tra cui i più grandi nomi dell’alpinismo mondiale. Nel 2002, vedendo che lo stato del Rifugio peggiorava, il Caf di Briançon bandì un concorso di architettura per costruire un nuovo rifugio, demolendo quello vecchio. C’è stata una mobilitazione del mondo alpinistico che ha permesso il dialogo e la mediazione, riorientando il progetto verso un’integrazione tra il nuovo e il vecchio rifugio. Abbiamo dovuto tenere conto di alcuni aspetti fondamentali: il valore paesaggistico con una pensilina a volume unico; il valore della memoria integrando il vecchio con il nuovo; il suo valore simbolico: il rifugio doveva rimanere un “rifugio tutto in uno”: un unico volume in cui mangiare e dormire. Da qui il progetto di un guscio di legno con 30 posti letto, una cucina e una stanza per i custodi, un locale tecnico e due bagni a secco. Il tutto in una superficie di soli 65 metri quadrati”.

Quali altri elementi chiave?

«Valorizzare ogni centimetro cubo di spazio, fare in modo che tutto respiri e garantire visione d’insieme, trasparenza e sguardo verso l’esterno. Bisognava preservare lo spazio simbolico del grande tavolo dove mangiamo tutti insieme, dei letti dove dormire con un senso di privacy. Quindi una riflessione sullo “sposare” il legno che nel corso di cento e più anni le mani degli alpinisti avevano “accarezzato” e “levigato”. Affrontano poi temi estremamente complessi, per esempio la forza del vento che a quelle altitudini può soffiare a 250 km orari, l’autonomia energetica ottenuta dal sole, il funzionamento delle due toilette a secco. Infine la questione cruciale di un progetto da realizzare in soli tre mesi e in condizioni particolarmente difficili. L’assemblaggio delle parti grezze in pianura è stata una delle chiavi del successo”.

Quei rifugi tra cielo e montagne, custodi di storia e avventure leggendarie

Fredo Valla

19 aprile 2024

Cosa significa progettare un rifugio?

«Significa accettare che la semplicità sia la tua guida; significa mettere il progetto al servizio del paesaggio e della montagna. Vuol dire mettere in primo piano la luce, il cielo e le stelle. Per il progetto della Cabane de l’Aigle, per la sua ubicazione, la sua storia, la sua aura, dovevamo dare una risposta che non era scontata. La difficoltà stava proprio nella semplicità: quasi nulla dal punto di vista architettonico, quasi tutto dal punto di vista emotivo. Uno spazio in cui ritrovarsi in relazione con gli altri… Quali altri luoghi ancora ci permettono questo? Come possiamo ancora “vivere insieme” in questo nostro mondo, condividendo un pasto con qualcuno che non conoscevamo la mattina? Abbiamo proposto un edificio in legno denso e compatto. Mancava però qualcosa a cui non avevamo pensato, ma che era davanti ai nostri occhi: cioè la piccola Cabane che avesse resistito all’assalto di tutte le tempeste. Era l’anima del rifugio; dovevamo accoglierlo, impegnandoci a trovargli una collocazione, a valorizzarlo, a integrarlo nel progetto”.

Hai insegnato nel Master «Montagna»: quali valori trasmetti ai tuoi studenti:

«Innanzitutto li invito a sognare, a stupirsi, ad essere instancabilmente curiosi. Dico loro: guarda, disegna, impara. Cerco di far capire che la tecnologia non deve farci dimenticare i valori del progetto. Incontro/semplicità – densità/convivialità – costrizione/libertà. Sottolineo l’importanza del lavoro di squadra, dell’intelligenza collettiva e dell’attingere a ciò che gli anziani ci hanno lasciato. Personalmente continuo a credere nell’intelligenza dell’occhio e della mano attraverso i bozzetti in situ, e nel dialogo con gli attori locali, nella sintesi del progetto dove si mostra chiaramente il connubio tra il presente e il nuovo. Come se ciascuno, vecchio e nuovo, rivelasse l’altro.

Recentemente avete costruito un edificio passivo in legno a Grenoble…

«Sì, con il mio team, Atelier 17C, crediamo che la qualità del progetto derivi dal materiale giusto al posto giusto. Ciò significa che l’architetto deve prevedere e padroneggiare i diversi settori costruttivi per adattare il progetto al territorio e al contesto. Oggi dobbiamo tenere conto della transizione energetica e delle questioni ambientali, e il legno ha dimostrato di poter essere un’ottima risposta, soprattutto nelle regioni ad alta sismicità. Ma pensiamo anche alla paglia e alla terra. Dobbiamo essere consapevoli della scarsità delle risorse e cercare di lavorare con materiali che dipendano il meno possibile dai combustibili fossili”. —

Tag: filosofia alpino rifugi spiegato architetto Alto Terre

 
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