Francesca Fagnani, dalle interviste ai vip al libro sulla malavita romana – .

Francesca Fagnani, dalle interviste ai vip al libro sulla malavita romana – .
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In tv ha fatto piangere Matteo Salvini e Fedez. Adesso Francesca Fagnani arriva in libreria con un’inchiesta sulla Mala romana: “Studio gli atti giudiziari con lo stesso metodo che uso per preparare le interviste a Belve”

Taccuino rosso alla mano ed espressioni facciali al posto dell’evidenziatore, per sottolineare manie, confessioni e fallimenti dell’interlocutore. Per il pubblico di Rai 2, e per chiunque apra i social anche solo una volta al giorno, Francesca Fagnani è questa: la giornalista a cui Bestie tutti raccontano cose mai dette o spiegano cose che si conoscono meglio – foto | video

PRIME SOLO DONNE – All’inizio gli intervistati erano solo donne, poi sono arrivati ​​anche gli uomini. E gli uomini, alla Fagnani, piangono spesso: è successo a Matteo Salvini nella prima puntata di questa nuova stagione, a Fedez nella seconda, ma in passato Rocco Siffredi, Massimo Giletti, Antonio Conte si erano già sciolti in lacrime. «Accade quando l’intervistato ti permette, e si permette, di andare in profondità. Non tutti ci riescono”.

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DA SANREMO ALLA PRIMA SERATA SULLA RAI DEL BELVE – La speleologia umana praticata da Fagnani è talmente apprezzata che nel giro di poche stagioni il programma è passato da Nove a Rai 2 e dalla seconda in prima serata. Con ascolti che hanno stupito, e un po’ spaventato, anche il giornalista romano che lo scorso anno ha co-condotto il Festival di Sanremo: «Per come sono, tendo ad avere paura di non essere all’altezza di ciò che ho a disposizione. accadendo. Di fronte ad un ascolto del 10% la tentazione era quella di chiamare la Rai e dire “Ok, è andata bene, fermiamoci qui”. L’unica reazione che ho è l’ansia che mi fa lavorare tre volte di più. Ho visto persone molto più importanti di me salire e scendere rapidamente e questo mi ricorda sempre che “successo”, in fondo, è un participio passato”.

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Il successo è anche una vendetta su qualcosa o qualcuno? «Di niente e di nessuno. Arriva dopo 20 anni di apprendistato, lo vivo con gioia e con i piedi ben saldi a terra.”

Tacco 12 e piedi per terra, Fagnani coltiva fin dall’inizio della sua carriera un profondo interesse per la criminalità organizzata. A quello romano dedicò il suo primo libro, Mala – Roma criminale, un’indagine che sembra il copione di una serie tv, con dialoghi estrapolati da intercettazioni e interrogatori, e personaggi che sembrano finti: “Invece non solo esistono ma hanno in mano la Capitale”. Uscirà il 30 aprile da Sem e qui il giornalista ne parla per la prima volta «La criminalità è il tema su cui lavoro da sempre. Il libro è una tappa importante di questo percorso: quando ho scritto “fine” non sono riuscita a chiudere il fascicolo per una settimana. Non potevo staccarmi. Ci ho lavorato per sei mesi, studiando un’intera biblioteca di documenti giudiziari”.

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Come hai iniziato? «Con Giovanni Minoli. La primissima cosa che ho fatto per lui, nel 2009, è stata 57 giorni a Palermo in cui ho raccontato i giorni tra la strage di Capaci e di Via D’Amelio e in cui ho ottenuto l’unica intervista mai rilasciata da Agnese, moglie del giudice Borsellino. Mi sono sempre mosso tra inchiesta e intervista, considerando l’intervista un genere nobile, spesso un po’ abbandonato a favore di interviste concordate o promozionali”.

In Mala racconta la malavita romana partendo dall’omicidio, il 19 luglio 2019, di Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik, leader degli Irriducibili, i tifosi della curva nord della Lazio, con gravi precedenti legati al traffico di droga. Perché ha deciso di partire da questo omicidio? «Ho seguito le indagini fin dal primo giorno, e ho deciso di fare di Piscitelli una sorta di filo conduttore nel racconto di quel mondo perché sedeva a tutti i tavoli importanti della criminalità romana. Era un bel modo per descrivere le grandi cricche che la compongono: la ‘Ndrangheta, gli albanesi, i Casamonica. C’è un mondo a Roma di cui non hai la percezione mentre vivi lì. Quando si svolse la cosiddetta inchiesta Mafia Capitale si parlò molto della commistione tra politica, affari e corruzione. Il mio è un altro pezzo della storia della città. È come se esistesse una Roma sotterranea dominata dai narcos, che ha il suo centro nelle periferie ma le cui propaggini raggiungono i Parioli, nella Roma nord. Emergono contesti che ricordano i tempi della banda della Magliana, con metodi messicani, tra sequestri, torture, sicari, molto sangue. Con enormi flussi di denaro attorno al traffico di droga e per i quali scoppiano violenze insospettate”.

Il che sembra affascinarla molto. «Mi occupo di questa cosa da molto tempo. Equipaggio al seguito, ho parlato della periferia romana e napoletana. Nel 2012 fui io a portare in televisione Casamonica, quando per Servizio pubblico Sono riuscito a intrufolarmi in un’irruzione della polizia: la Digos pensava che fossi dei Carabinieri, i Carabinieri pensavano che seguissi la Guardia di Finanza”.

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Nel libro pubblica molti dialoghi intercettati che sono registrati. Perché? «Mi è sembrato il modo giusto per descrivere i protagonisti: attraverso le loro stesse parole. Non c’era bisogno di mediazioni, sono dialoghi incredibili che svelano un mondo di doppi e tripli giochi, di persone che si definiscono “Corte Suprema” o “Isis” e donne che chiamano le armi “le mie bambine”.

Dicono: “Roma non vuole leader”. La vostra ricostruzione del delitto capitolino lo conferma? «A Roma ci sono infatti dei capi, figure criminali che governano la città da 40 anni. Come Michele Senese, al vertice di un cartello di narcotraffico nel quale sono cresciute figure molto importanti. O come Ciccio D’Agati, per decenni rappresentante di Cosa Nostra a Roma. Nel libro cerco di ricostruire l’organigramma di questo cartello, partendo dalla guerra di potere tra due gruppi criminali molto forti scoppiata dopo la morte di Piscitelli. Una volta morto, gli accordi che garantivano una pace apparente crollano. Roma è una città che sembra calma e sembra non cambiare mai. Ma nella sua criminalità le cose sono cambiate molto e velocemente. I criminali albanesi della capitale, nati come braccianti al servizio di altre cricche, in vent’anni si sono impadroniti di mezza Roma, sono tra i narcos più potenti d’Europa, trattano direttamente con i cartelli sudamericani, al pari dei ‘ Ndrangheta, e hanno codici molto simili ai loro. I Casamonica, anche se ormai indeboliti dalle indagini e dagli arresti, sono diventati oggetto di generale sottovalutazione”.

Perché Piscitelli è stato ucciso? «Dava fastidio perché si sentiva più forte e autonomo di quanto non fosse. Si è comportato come un re mentre il re in carica è senese. Sosteneva di instaurare rapporti e alleanze mafiose senza averne i titoli. Anche in quel mondo bisogna sapere come comportarsi. È morto da uomo libero, ma su di lui è stata condotta un’indagine che solo alla sua morte ha potuto rivelare la sua vera levatura”.

Dopo la sua morte un pezzo grosso di quella rete, Fabrizio Capogna detto lo Squalo, decise di collaborare con i magistrati. Perché il suo pentimento è importante? «Se ne pentì quando si trovò nel mezzo di una guerra tra due gruppi di narcos albanesi e rischiò la vita. Il suo pentimento è una svolta perché Capogna è venuto dal nulla, ha fatto la scalata e conosce tutte le dinamiche e l’organigramma”.

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Nel libro si parla anche di incontri con i boss, tra cui Ciccio D’Agata. Hai mai avuto paura? «Non con loro. Girando per le periferie, dove è molto facile rischiare di essere picchiati, ho imparato presto ad avere un approccio neutrale, curioso e soprattutto non giudicante. Come giornalista. Ed è così che mi comporto con gli ospiti di Bestie».

Il capitolo di Mala sul giorno che cambia il corso della vita di Piscitelli si intitolava L’Appuntamento, come la canzone di Ornella Vanoni che scelse come sigla di Belve. Qual è stato l’appuntamento che ha cambiato il corso della tua vita? «Quello con Michele Santoro, 15 anni fa. Venivo da Minoli, ma Santoro è stata la mia grande opportunità, la mia università. Primo servizio, ottobre 2010: documenta la pace tra Gianni Alemanno e Umberto Bossi, il “patto della pajata”. Poi mi ha mandato a seguire l’emergenza rifiuti a Napoli”.

Ma è lei quella di Belve o quella che a Mala incontra i boss mafiosi della periferia romana? «A parte il tacco, che è un abito di scena, non c’è differenza tra le due “me”. Il giornalismo segue flussi diversi che hanno in comune il metodo. Mi avvicino allo studio dei personaggi che intervisto con la stessa cura con cui studio gli atti di un processo”.

Lo ha appena fatto con Fedez. Lo abbiamo visto muoversi, liberarsi. Che impressione hai avuto da questo incontro? «È stata un’intervista lunghissima, un ritratto per ricostruire tutto il suo percorso, prima ancora di Chiara. Ho visto un Fedez libero, con grande autonomia di pensiero. Dà la sensazione di essere in una fase di recupero del suo sé originario, sembra di essere in un momento di libertà psicologica molto forte. E la libertà, quando la ritrovi, è sempre inebriante. Nelle interviste ci sono persone che ti permettono di toccarle nel profondo e altre che ti lasciano in superficie. Federico si è mostrato fino in fondo perché è capace di analizzarsi, di guardarsi dall’esterno con una certa obiettività. Non è per tutti.”

Ha pianto anche Matteo Salvini. E se se lo aspettasse? «Un po’ sì, ed erano lacrime vere. Succede spesso su quella domanda finale: “Se potesse riportare in vita qualcuno e dirgli qualcosa chi sarebbe e cosa gli direbbe?”. È una domanda che faccio sempre perché me la sono posta per prima”.

Hai perso tua madre nel 2015. Saresti incluso nella risposta a questa domanda finale? “Sempre. Lei e zia Lella, la tata che per prima l’ha cresciuta e per un po’ anche io. Vorrei chiedere scusa a zia Lella per certe stupidaggini crudeli che fanno i bambini. Vorrei poter dire a mia mamma che le voglio bene. Non gli ho detto abbastanza. E vorrei scusarmi per il tempo non dedicato; quando sei giovane non ci pensi.”

Ti dispiace se non sono qui per vederti raccogliere così tanti riconoscimenti? «Ha potuto vedere la mia soddisfazione professionale: quando nessuno mi conosceva già facevo quello che mi piaceva e per questo mi sentivo già di successo. Rispetto ad allora è stata aggiunta solo la visibilità. Mi piace, ma non ne sono dipendente: prima e dopo la stagione di Belve scompaio dalla tv”.

Il primo consiglio che cerchi quando devi prendere una decisione? “Di mio padre. Durante Sanremo l’ho chiamato anche durante la pubblicità. Il suo è lo sguardo di chi ti ama e ti dirà sempre la verità solo nel tuo interesse”.

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È la compagna di Enrico Mentana da 12 anni. Questo ti ha portato più benefici o ti ha creato più problemi? «Nessuna delle due cose. Piuttosto, mi stupisce che la domanda su di lui emerga in ogni intervista con me e mai una su di me nelle interviste con lui. È un’eredità culturale: alle giornaliste viene chiesto della loro vita privata, ma agli editori uomini no”.

Ti faresti mai intervistare da Fagnani? «Sì, penso che mi divertirei molto. E questo sarei sincero”.

Marianna Aprile

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Tag: Francesca Fagnani interviste vip libro romano malavita

 
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