«Quando è morto mio padre l’ho vissuto come un fallimento. Poi ho capito che dovevo vivere” – .

«Quando è morto mio padre l’ho vissuto come un fallimento. Poi ho capito che dovevo vivere” – .
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Nella sua vita Giovanni Caccamo pensava a tutto tranne che un giorno avrebbe parlato alle Nazioni Unite e nei campus delle università più prestigiose d’America, da Harvard a Berkeley che, aggiunge, “assomiglia un po’ al college di Harry Potter”. Succede perché, ormai da due anni, Caccamo unisce l’impegno della musica a quello sociale e civico, dando vita ad a progetto nato prima in Italia e poi esteso a livello internazionale. È chiamato Parola ai giovani, e il 5 aprile è arrivato alla sede dell’ONU a New York insieme a Jesse Paris Smith – figlia di Patti Smith -, Antonio Spadaro, Rebecca Foon e Alessia Zanelli. Lo scopo era semplice: presentare una performance durante la quale decine di artisti provenienti da tutto il mondo si sono esibiti davanti a oltre cinquemila bambini Giovani e futuro, un concorso di idee rivolto ai giovani per realizzare insieme un manifesto culturale sul cambiamento. Il progetto, realizzato con il supporto di Banca Ifis, Pulsee Luce e Gas e della stessa Alessia Zanelli, parte da una domanda: Cosa cambieresti della società in cui vivi e in che modo? Qual è la tua parola di cambiamento? Una domanda che lo stesso Giovanni Caccamo si è posto prima di avviare questo dialogo intergenerazionale.

Aveva messo in conto che la sua carriera di cantante si sarebbe evoluta in un ruolo istituzionale come quello che incarna ormai da due anni?
«No, anche se è una definizione che mi piace. Mi sento la rappresentante di classe di questo progetto, senza contare che tutto questo ha a che fare con qualcosa che fa parte anche del mio primo campo, ovvero la scrittura, che è il mio centro. In questo mi sono sentito nel mio habitat, cercando di instaurare con i ragazzi un dialogo capace di eliminare le barriere e non crearne di nuove. Creo ponti e penso che questo sia bellissimo”.

Marco Anelli

Dove pensi che andrà la tua generazione, quella degli Under 35 a cui ti rivolgi?
«Verso un mondo che ci dice che alla nostra età siamo ancora giovani, come se la nostra fosse l’età della non-responsabilità, come se godersi la vita non dovesse necessariamente corrispondere a perseguire le proprie ambizioni e i propri sogni per realizzare qualcosa che duri nel tempo . Dopo aver scoperto che Michael Jackson scriveva a 24 anni Romanzo gialloche Michelangelo scolpì La Pietà a 23 anni, che Steve Jobs fondò la Apple a 21, che James Watt inventò la macchina a vapore a 20 e che Walt Disney inventò Topolino a 27, ho pensato: cosa possiamo fare? ».

Cosa pensi di aver realizzato finora?
«Credo di aver donato agli altri molti riflessi della mia anima. L’ho fatto attraverso le mie canzoni, cercando di creare un po’ di gentilezza e un po’ di luce intorno a me. Ho provato ad accendere qualche candela in una stanza buia, condividendo con gioia anche le parti più dolorose della mia vita perché i momenti di sofferenza sono stati i più edificanti del mio viaggio. Penso che condividere la fragilità e il dolore ma anche la bellezza e le emozioni che ci commuovono sia molto prezioso: senza cuciture il taglio dell’abito non regge, e a volte condividerle può permettere a qualcun altro di pensare di non essere solo .”

Pensi di aver fatto pace con il tuo dolore?
“SÌ. Le due parole di cambiamento nella mia vita erano morte e sogno. Quando è mancato mio padre mi sono trovato di fronte al fallimento, perché in fondo la morte ci sembra così: un fallimento. Avevo 10 anni, morì il 13 maggio, il giorno della Madonna di Fatima, e ricordo che qualche settimana prima di morire alcune suore vennero a casa nostra e dissero a mia madre che la sofferenza di suo marito era un dono per la nostra famiglia . Mia madre li ha tirati fuori con la forza: questa frase è stata una pugnalata per tanti anni perché mi chiedevo come la sofferenza di un giovane padre potesse essere un dono. Poi ho letto un libro, Altro giro di giostra di Tiziano Terzani, in cui l’autore afferma che gli anni della sua malattia furono i più intensi e vivaci della sua vita. Era il tassello che mi mancava: la malattia lo ha costretto a fare solo quello che volevo fare davvero, iniziando a frequentare solo le persone che amava davvero e potando tutti i rami secchi che aveva portato con sé”.

A quale consapevolezza sei arrivato dopo aver letto quel libro?
«Che il regalo che mi ha lasciato mio padre è stato capire subito che non era necessario aspettare che si accendesse un timer accanto alla mia testa per iniziare a vivere davvero, ma farlo subito. Senza aspettare che la morte te lo ricordi.”

Cosa significa la morte per te?
«Per risponderti ricorro all’immagine dei diamanti e del ferro. La morte, ponendo un limite all’infinito numero di giorni che avremo a disposizione, li trasforma da giorni di ferro a giorni di diamante, aumentandone la qualità. L’amore, i sogni, le ambizioni, la meraviglia e la contemplazione esistono perché il nostro tempo è finito e perché sappiamo che solo percependo e godendo quell’attimo nella nostra anima saremo felici”.

 
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