Michael Moore in 5 film essenziali – .

Il primo film e il colpo di fulmine collettivo. Michael Moore, una carriera giornalistica “scomoda” iniziata tra le fila del quotidiano locale e alternativo Voce di selce, riparte da Flint, Michigan, sua città natale, per il suo debutto documentaristico. Al centro dell’inchiesta, la crisi della General Motors e la chiusura nel 1986 di una fabbrica di automobili (e il conseguente licenziamento di 30mila persone) a Flint, appunto, per decisione di Roger B. Smith, ex amministratore delegato della società statunitense , con il quale l’autore cerca in tutti i modi di dialogare. Nasce uno stile: arrabbiato ma ironico, molto parziale ma unito alla costante ricerca della verità. Miglior documentario di quell’anno secondo il National Board of Review, e incassò oltre 6 milioni a fronte di un budget inferiore ai 200mila dollari. È nata una star doc.

Il boom di pubblico mondiale arrivò nel 2002 grazie al film che rifletteva sull’uso delle armi negli Stati Uniti. Il titolo si riferisce al massacro del 1999 avvenuto alla Columbine High School di Littleton, in Colorado: due ragazzi armati di fucile entrarono nella loro scuola e uccisero 12 compagni di classe e un insegnante, prima di suicidarsi. Indimenticabile – e oggi direbbero i più giovani servilismo – l’intervista all’ex divo del cinema Charlton Heston, allora presidente della National Rifle Association of America, una delle lobby americane più potenti con interessi governativi molto forti (ancora oggi non del tutto messi in discussione). Un pugno nello stomaco, ma anche una delle analisi più lucide della società e della politica americana del nostro tempo. La consacrazione definitiva è l’Oscar 2003 per il miglior documentario.

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Altro giro, altro culto. Titolo preso in prestito da Ray Bradbury per il doc che – tra le tante cose – evidenzia soprattutto il ruolo dell’amministrazione Bush in relazione agli attentati dell’11 settembre 2001. Anche qui una scena (purtroppo) memorabile: George W. Bush viene informato il primo incidente aereo al World Trade Center mentre è in visita ad una scuola elementare in Florida, tradendo tutta la sua impreparazione e incapacità nel gestire una situazione più grande di lui (e del mondo intero). È il documentario con il maggior incasso della storia del cinema (222 milioni di dollari). La giuria di Cannes presieduta da Quentin Tarantino gli assegna la Palma d’Oro: Moore è un Autore. E, anche grazie a lui, il documentario diventa cinema a tutti gli effetti anche nel panorama mainstream. Punto.

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Dopo la questione delle armi, Michael Moore tocca – certamente non lentamente – un’altra delle questioni più spinose dell’America: la sanità. In un film che vuole evidenziare, una volta per tutte, come il sistema sanitario nazionale riservi le migliori cure solo alle classi più abbienti, lasciando indietro i più poveri, impossibilitati a curarsi (o anche solo sperare di farlo). Da qui parte un giro del mondo alla ricerca di modelli alternativi, dal Canada alla Francia. Non mancano certo ingenuità (secondo alcuni il regista è troppo “morbido” rispetto al sistema sanitario cubano, considerato uno dei migliori al mondo; ma le scene di Guantanamo sono paradossalmente illuminanti), e immancabilmente arrivano le critiche (anche se spesso ingiustificato) da parte dei medici connazionali. Mentre si muove, Michael fa arrabbiare tutti.

Dove invadere dopo
2015

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Dopo Capitalismo: una storia d’amoresulla crisi finanziaria del 2008, e prima Michael Moore a Trumpland – Nella terra di Trump (2016) e Fahrenheit 9/11 (2018), quasi un revival del doc del 2004 ma sempre aggiornato all’era di “the Donald”, Michael Moore firma uno dei suoi lavori recenti più sottovalutati. Simile a Malato nella pianta, Dove invadere dopo si tratta di un altro “Grand Tour” del regista, questa volta alla ricerca delle differenze nell’approccio alle questioni economiche, sociali e politiche tra gli Stati Uniti e altri paesi del mondo. Un viaggio che lo porta tra Francia, Finlandia, Germania, Islanda, Italia, Norvegia, Portogallo, Slovenia e Tunisia. Come sempre incazzato, per sempre indomito.

 
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