recensione del film di Daniele Luchetti – .

revisione della fiducia

Posso raccontarti un segreto? Quante volte ci è capitato, quando eravamo piccoli, di farne uno fiducia all’orecchio di una persona a noi cara, qualcosa che fino a quel momento era stato tenuto nascosto? Chiusi in una delle tante stanze della nostra mente, magari anche con una doppia serratura. Ha condiviso il “misfatto” con qualcun altro, e lo ha fatto per sentirsi più grande. Era tutto dettato dall’innocenza, non contaminato dalla paura che quel segreto potesse ritorcersi contro, perché non si era ancora stati influenzati dal mondo esterno. Tuttavia un segreto, quando sarai adultoa seconda di come lo vedi e della sua effettiva gravità, può influenzare un’intera esistenza.

Soprattutto se diventiamo vittime di una società che tutto permette tranne che metterci a nostro agio con noi stessi e con la nostra natura un po’ difettosa, tanto da poter essere sinceri con quello che siamo. E allora non resta che trasformarsi, cercando in tutti i modi di cancellare il vero sé, facendosi quel segreto che non dovrebbe mai trapelare. Semplicemente perché nel frattempo ci siamo costruiti un’immagine diversa, e vogliamo che rimanga intatta. E Fiduciail nuovo film di Daniele Lucchetti, inizia proprio qui. Scritto insieme a Francesco Piccolo, il lungometraggio del regista è il terzo adattamento di un romanzo di Domenico Starnone dopo La scuola e Lacci. Arriva nelle sale dal 24 aprile distribuito da Vision Distribution. Nel cast Elio Germano, Federica Rosellini, Vittoria Puccini E Pilar Fogliati.

La fiducia, la trama

Pietro Vella è un insegnante di lettere al liceo e ha molto successo. Tutti gli studenti lo rispettano e il suo approccio in classe è diverso da quello degli altri insegnanti. Applica la “pedagogia dell’affetto”, espressione che sarà anche il fulcro tematico di un saggio che, nel prossimo futuro, lo porterà ad avere un certo successo. Intanto, in una delle classi che frequenta, Pietro rimane molto estasiato da Teresa, una ragazza talentuosa con la quale, una volta finita la scuola, inizierà un rapporto piuttosto particolare. Finché una sera, dopo aver scoperto il suo tradimento con un’altra donna, la giovane propone uno scambio: raccontarsi un segreto che non hanno mai rivelato a nessun altro, così che questo li leghi per sempre. Dopo una prima esitazione, Pietro accetta. Ma una volta pronunciato, il volto di Teresa si irrigidisce: si affaccia al balcone e gli dice che ciò che gli ha confidato potrebbe distruggerlo. Il giorno dopo, Pietro scoprirà che Teresa lo ha lasciato, ma il timore che lei possa rivelare ciò che ha confessato lo tormenterà per il resto della sua vita e lei diventerà il suo peggior incubo.

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Un film di immagini

Il punto focale del nuovo film di Luchetti è senza ombra di dubbio Pietro Vella. Un personaggio ambiguo, la cui duplice natura verrà compresa più avanti nella scrittura, quando arriverà (abbastanza tardi nella storia) l’episodio scatenante che farà precipitare il protagonista nel vortice dell’angoscia. Se a livello di scrittura abbiamo la conferma del “doppio” solo successivamente, a livello di immagine abbiamo i primi segnali fin dai primi scatti. Uno dei migliori lavori di Fiducia si tratta infatti proprio dell’uso della luce, che rappresenta simbolicamente l’ambivalenza di Pietro. In più di una scena il maestro è interpretato da Elio Germano viene ripreso con il volto in penombra o parzialmente illuminato. Una soluzione espressiva quella ripristina completamente un uomo diviso a metà: da un lato fiducioso, concreto, dall’altro debole, terrorizzato dalle proprie verità.

Che ha le sue zone nere, in cui naviga in agonia, e che nessuno vede tranne Teresa, l’unica consapevole di chi è veramente, e quelle di luce – nella realtà apparente – dove appare calmo e risoluto, stimato e lodato. da tutti proprio come vogliono. Luchetti, grazie alla sceneggiatura realizzata con Francesco Piccolo e ad un lavoro certosino sul sottotesto, costruisce l’affresco di una persona, più che di un uomo, mosso dal timore di rivelare la propria identità morale, all’interno della quale confluiscono le sue mille sfumature diverse, che tuttavia vengono soffocati per apparire brillanti agli occhi di una società che, lo sappiamo ormai bene, impone ad ogni singolo individuo di aderire ad un modello universale in cui si è sempre performanti, pieni di successo, senza difetti. Perché solo così si può essere accettati. Solo così possiamo esistere nel mondo. E così anche il più piccolo, innocuo segreto, se può mettere in crisi quel paradigma, può costituire un elemento di disturbo.

Una riflessione sulla paura di essere se stessi

Pietro Vella, quindi, non può permettersi di essere se stesso. Non può permettersi di essere semplicemente una persona normale. Non può e, in fondo, non vuole neanche farlo. Mettersi a nudo, far cadere la maschera, sfilare gli abiti dell’impeccabilità è ormai impossibile. Ne è dominato. Eppure quel segreto confessato potrebbe fare proprio questo. Allora il regista, come un mortale Caronte, traghetta lo spettatore nell’abisso che è l’animo umano, in questo caso quello del protagonista, mostrandogli tutte le sue sfaccettature, fatte di angoscia, tormento, cieca paura del giudizio, al punto da lasciarlo sulla sponda opposta con tanti pensieri oscuri. In questo Luchetti compie un lavoro visivamente esemplare: nel raccontare una realtà fondamentalmente comune a molti, crea scorci immaginari nella narrazione della realtà, quasi come le visioni dello stesso Pietro, in cui emergono i suoi turbamenti più profondi e i desideri più peccaminosi. E in cui il suo vero stato d’animo si rivela, esso irrompe rapido e violento, generando una tensione emotiva di grande impatto, soprattutto perché rafforzata e sottolineata dalle musiche e dalle canzoni di Thom Yorke, che ben si sposano con il tono drammatico di la scena.

È chiaro, quindi, che Fiducia essere un cinema di riflessione e mal di pancia. Un film che ci porta a chiederci perché viviamo nelle aspettative degli altri e della società, ma anche in quelle che ci costruiamo noi stessi, condannandoci a una sorta di dannazione eterna. Tutti ci lasciamo, chi più chi meno, lasciarci paralizzare e intimidire dalla percezione che gli altri hanno di noi, che è sì mutevole e subordinata alle informazioni che ricevono, ma non per questo determinante al punto da costituire il nostro equilibrio vita. . Eppure se ci nascondiamo dietro la paura, se indossiamo sempre e solo la maschera della perfezione, neutralizzando il resto, non potremo definirci persone reali o vere. Ma solo burattini condizionati e manipolati da una vita che non ci appartiene.

 
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