L’attacco a Israele, la guerra come spettacolo e l’“obbligo” del potere – - – .

L’attacco a Israele, la guerra come spettacolo e l’“obbligo” del potere – - – .
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È stata la prima dimostrazione di forza che ha trasformato la guerra in uno scontro diretto tra Iran e Israele, con l’intervento cruciale dell’America. Ognuna delle tre leadership ha “dimostrato” qualcosa di proprio collegio elettorale. Ora gli sforzi di Joe Biden mirano a fermare la spirale delle ritorsioni, la parola d’ordine è de-escalation. Ha una logica che potrebbe convincere Netanyahu e gli ayatollah.

L’Iran ha dovuto rispondere all’uccisione dei suoi leader militari in una sede diplomatica in Siria. I media occidentali tendono a concentrarsi su quella parte della società civile iraniana che è contraria al regime islamista, in particolare le donne che si ribellano all’oppressione. Gli ayatollah devono rispondere a un’altra parte della società persiana, fondamentalista e fanatica, antisemita e aggressiva. Nel regime teocratico un’ala estremista preme e accusa coloro che considera moderati. Teheran ha voluto indicare a Israele una “linea rossa” da non oltrepassare. Lo ha fatto con una prova di forzauna dimostrazione della capacità distruttiva del suo vasto arsenale di missili e droni.

Mezzo successo. Da un lato, il leader supremo Khamenei e il suo esercito non volevano infliggere eccessivi danni umani agli israeliani. La precisione con cui l’intelligence statunitense ha previsto la data dell’attacco potrebbe essere stata favorita da fughe di notizie telecomandate. Teheran ha però subito due battute d’arresto: l’efficacia dello scudo difensivo israeliano e l’intervento anglo-americano hanno minimizzato i danni. Ora l’Iran non ha alcun interesse ad un’escalation che possa evidenziare ancora più chiaramente l’inferiorità delle sue tecnologie militari. Meglio tornare al riquadro precedente: le “guerre per procura” condotte attraverso Hamas, Hezbollah, Houthi, che da anni circondano sia Israele che l’Arabia Saudita con forze ostili.

Nel lungo termine, l’obiettivo strategico resta quello formulato dall’Ayatollah Khomeini dopo aver preso il potere nel 1979: distruggere Israele, rovesciare la monarchia saudita, conquistare la Mecca. Da un punto di vista razionale, l’appello di Biden alla de-escalation coincide con l’interesse iraniano; allo stesso tempo il collegio elettorale I fanatici del regime potrebbero rimanere delusi dai modesti risultati della pioggia di missili e droni. Poi c’è l’incognita della risposta israeliana.

Netanyahu è il primo destinatario degli appelli di Biden alla riduzione della tensione. Per una questione di diritto, a questo punto tocca a Israele reagire all’Iran. È legittimo il principio secondo cui Israele non deve lasciare impunito l’attacco missilistico lanciato direttamente dall’Iran contro il suo territorio. Il fatto è che la pioggia di droni e missili è stata in gran parte neutralizzatail bilancio dei danni è limitato, non sminuiscono la gravità dell’attacco. Biden cerca però di far valere il doppio aiuto militare fornito da Washington e Londra: prima l’intelligence, poi l’intercettazione e la distruzione di parte dei missili iraniani da parte delle forze anglo-americane.

Inoltre la richiesta di Biden di allentare la tensione parla al pubblico israeliano e annuncio altre componenti del governo. Per molti di loro le priorità restano il rilascio degli ostaggi e la distruzione di Hamas. L’Iran può aspettare. Le buone prove fornite dai sistemi di difesa antimissile sono rassicuranti. Tel Aviv può affermare di averlo dimostrato non teme un allargamento del conflitto ad un fronte iraniano (oltre a quelli a Gaza, e contro Hezbollah in Siria e Libano); ma non ha alcun interesse a perseguire questo allargamento. L’unica logica per continuare a colpire l’Iran potrebbe essere un’altra: lanciare avvertimenti contro le manovre dei Guardiani della Rivoluzione Islamica che in questa fase stanno inviando armi e munizioni ai palestinesi della Cisgiordania per incitarli alla rivolta armata.

Dei tre attori Biden è quello che ha il maggiore interesse a ridurre la tensione. Con l’intervento della marina americana e di altre risorse militari americane contro l’attacco iraniano, ha placato quella parte dell’opinione pubblica americana che vuole difendere Israele. Ma il presidente viene costretto a casa sua dalla componente filo-palestinese: è sempre più forte, si fa sentire in campagna elettorale, spinge affinché l’America riduca gli aiuti a Israele e si concentri sulla tragedia umanitaria di Gaza.

Sull’Iran Biden non si fa illusioni. Nel lungo termine, l’antagonismo iraniano che perseguita l’America dal 1979 dovrà essere risolto. Gli obiettivi di Teheran – eliminare Israele e sottomettere l’Arabia – richiedono l’espulsione degli Stati Uniti dal Medio Oriente. Per ora Biden deve solo guadagnare sei mesi e mezzo, quanti ne mancano al voto.

Tag: attacco Israele guerra spettacolo obbligo potere Corriere .it

 
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