Dopo la Brexit, l’addio all’Ue è scomparso dai programmi elettorali dei partiti europei – .

Dopo la Brexit, l’addio all’Ue è scomparso dai programmi elettorali dei partiti europei – .
Dopo la Brexit, l’addio all’Ue è scomparso dai programmi elettorali dei partiti europei – .

Alla fine, la Brexit ha prodotto un risultato positivo per l’UE. Forse non in termini economici, ma in termini politici. Da quando è nata, infatti, l’ipotesi (o la minaccia) di un altro Paese membro che esce dal club europeo (o dalla moneta unica) è diventata sempre meno attraente per gli elettori del blocco, al punto che sono ormai pochi i partiti che ancora includono questi obiettivi nei loro programmi.

L’attuale vicepremier e segretario federale della Lega Matteo Salvini indossava sul palco dei suoi comizi una maglietta con la scritta “Basta €uro”. Era il 2014, e lo slogan contro la moneta unica campeggiava insieme alla sagoma di Alberto da Giussano sul logo del Carroccio, che allora si chiamava ancora Lega Nord, in campagna elettorale (eloquentemente chiamata “Basta euro tour”). ) per eleggere l’ottava legislatura del Parlamento europeo.

In quegli anni anche Fratelli d’Italia sosteneva le stesse posizioni riguardo all’uscita dell’Italia dall’UE (o almeno dall’Eurozona), condividendo questa battaglia anche con l’originario Movimento 5 Stelle, che si presentava all’opinione pubblica come un anti-sistema e che a Strasburgo ha poi diviso gli stessi banchi dell’Ukip britannico di Nigel Farage, l’uomo che può essere considerato il “padre nobile” della Brexit.

Tuttavia, dopo che Londra ha effettivamente lasciato l’Unione in seguito al referendum del giugno 2016, i riferimenti a quella che in gergo giornalistico veniva chiamata “Italexit” sono stati cancellati dalla retorica ufficiale di tutti questi partiti. Il fatto che, a differenza delle principali forze politiche locali, sotto questo nome sia nata nel 2020 una realtà del tutto marginale ad opera di Gianluigi Paragone (anche lui recentemente dimessosi da ogni incarico nel partito) è la proverbiale eccezione che conferma la regola: lasciare il Il club Ventisette (non quello di Jim Morrison, Kurt Cobain e Amy Winehouse) non è più “sexy” in termini elettorali.

E non si tratta affatto di un’evoluzione esclusivamente italiana. Dopo la difficile uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, i discorsi su una rottura netta con le politiche del blocco, guidati principalmente da partiti populisti e di estrema destra, sono passati in secondo piano. Un’arma spuntata, insomma, o un cavallo di battaglia che non funziona più come una volta (o sembrava funzionare), superato dalla retorica anti-immigrazione. Inoltre, dall’ultimo sondaggio Eurobarometro è emerso che il 71% degli europei ritiene che l’appartenenza all’Unione abbia portato benefici al proprio Paese.

Uno dei motivi principali è probabilmente da ricercarsi nell’allontanarsi dei giorni più bui della drammatica crisi dell’euro del 2011-2015, quando si cominciò a parlare di “Grexit” in riferimento all’uscita (o addirittura all’espulsione) di Atene dall’eurozona ( era il 2012) per evitare il collasso della moneta unica. E in effetti, il successo di quella retorica populista raggiunse l’apice proprio intorno alle elezioni europee di dieci anni fa: le prime dopo la crisi del debito sovrano, negli anni in cui sembrava che l’intera politica continentale fosse nelle mani della Bce. e i suoi oscuri funzionari.

L’uso di questo neologismo si è poi moltiplicato, espresso in quasi tutti gli Stati membri: dal “Frexit” di Parigi al “Dexit” di Berlino, passando per il “Polexit” di Varsavia e, appunto, l’Italexit di Roma. Finché a un certo punto Londra prese effettivamente la via d’uscita e tutti videro il caos che ne risultò nell’economia britannica.

Pertanto, rileva l’AFP in un’analisi sull’argomento, molti partiti di estrema destra hanno attenuato i loro toni incendiari e hanno abbandonato la retorica radicale dell’uscita dall’UE. In Francia, né il Raduno nazionale di Marine Le Pen e Jordan Bardella né Riconquistare di Éric Zemmour si parla più di Frexit, questione rimasta appannaggio esclusivo di alcune frange estremiste ma con una base elettorale decisamente limitata. Nei Paesi Bassi, il PVV di Geert Wilders non ha più menzionato un “referendum vincolante sul Nexit” dopo la sua vittoria a sorpresa alle elezioni generali dello scorso novembre. Si sono attenuate anche le voci dei finlandesi (il partito della destra radicale che fa parte della coalizione di governo) riguardo al “Fixit” di Helsinki, che hanno sostenuto anche l’adesione del paese alla NATO.

Anche il PiS polacco di Jaroslaw Kaczynski, che ha governato a Varsavia per otto anni, si è fatto beffe di sé definendo “false narrazioni” le voci secondo cui i suoi simpatizzanti avrebbero chiesto la Polexit dopo la sconfitta alle urne dello scorso ottobre, da lui riferite agli europeisti Governa il primo ministro Donald Tusk. Anche l’FPÖ austriaco, il partito populista attualmente in testa ai sondaggi per le elezioni europee, ha progressivamente abbandonato l’idea di una “Öxit”. L’unico gruppo elettoralmente rilevante che parla ancora di Dexit è il tedesco AfD: propone l’idea di un referendum popolare sull’adesione all’Ue, ma non è affatto scontato che, anche se questo partito di estrema destra arrivasse al potere , organizzerebbe seriamente una consultazione popolare sul tema rischiando di essere sconfessata dai cittadini.

In altre parole, euroscetticismo in breve è stata ormai abbandonata da quasi tutti i suoi ex sostenitori, e oggi il successo politico della destra radicale europea non si misura più dal numero di paesi a rischio di lasciare l’Unione, ma dall’inasprimento delle politiche migratorie e dall’annacquamento delle politiche climatiche. ambizioni del Vecchio Continente.

La storia va avanti, insomma, e più passano gli anni, meno realistiche appaiono le sirene euroscettiche che si vantano di voler prendere a picconate un’Unione di cui gli Stati membri hanno semplicemente troppo interesse a restare una parte. Piuttosto che minacciare di disintegrarlo, le forze politiche che oggi si scontrano con gli alfieri dell’europeismo propongono di ripensare i meccanismi che regolano le deleghe della sovranità nazionale verso il centro: meno competenze a Bruxelles, più poteri nelle cancellerie, per un’Europa delle nazioni che si oppone idealmente all’obiettivo federalista degli Stati Uniti d’Europa.

 
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