Il Regno Unito si dirige al voto senza suspense, “Starmer ha già vinto” – Notizie – .

Il Regno Unito si dirige al voto senza suspense, “Starmer ha già vinto” – Notizie – .
Il Regno Unito si dirige al voto senza suspense, “Starmer ha già vinto” – Notizie – .

Un rush finale tutto sommato noioso, destinato a cambiare poco o niente. Inizia così la settimana in cui circa 50 milioni di elettori britannici saranno chiamati a rinnovare la Camera dei Comuni il 4 luglio e a formare un nuovo governo: una sfida senza suspense – a differenza di quanto sta accadendo in Francia oltremanica e a meno di un fallimento apocalittico di tutti gli istituti di sondaggio – con i conservatori avviati verso una sconfitta annunciata, dopo la scommessa kamikaze del voto anticipato del Primo Ministro Rishi Sunak; e il moderato Sir Labour Party Il mio amico Keir Starmer destinato a tornare al potere dopo 14 anni con una larga vittoria per default.

Tra le ultime scoperte, prima che i sondaggi non possano più essere aggiornati, Opinum conferma il Labour intorno al 40% e i Tories al 20%; mentre l’istituto Savanta ha fatto scendere il partito di Starmer al 38% (meno di quanto ottenuto dal radicale Jeremy Corbyn nel 2017), ma con un vantaggio minimo di 17 punti sul partito di Sunak, e quindi in grado di conquistare i seggi (grazie al tradizionale sistema maggioritario uninominale).

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Un quadro che rassicura il favorito Sir Keir, ex avvocato, ex procuratore della Corona a Londra e non certo un leader accattivante di un partito cauto fino alla vaghezza sui suoi programmi. Come testimoniano i sentimenti di città di tradizione operaia e socialista come Liverpool, da sempre la più laburista del Regno, dove l’ANSA oggi fatica a intercettare anche un solo ammiratore entusiasta di Starmer per strada: etichettato da alcuni passanti più concilianti come “il male minore”, da altri – sic et simpliciter – come “un Tory in cravatta rossa”.

Unica carta realistica da giocare, in ogni caso, per cambiare, anche se dopo quasi tre decenni di governi conservatori e vari tumulti tra Brexit, crisi, instabilità, scandali. Cambiamento abbastanza soft da andare bene anche per l’establishment, come confermano le sponsorizzazioni a catena di media tradizionalmente liberal-moderati come l’Economist, il Sunday Times di Rupert Murdoch o, da ultimo, il Financial Times, voce della City e del business: secondo un allineamento di preferenze e interessi che non si vedeva dai tempi del New Labour di Tony Blair.

Per Sunak, 44 anni, il primo Primo Ministro indiano non bianco nella storia del Regno Unito, si profila una tempesta perfetta e devastante. che rischia di sopraffare, oltre ai Tories e forse al loro ruolo storico, anche il suo seggio individuale da parlamentare: un incubo senza precedenti per un premier in carica. Per salvare il salvabile, Rishi ha provato a insistere su due cavalli di battaglia, la lotta all’immigrazione clandestina e la politica fiscale, accusando in particolare il rivale di nascondere una presunta intenzione di “aumentare le tasse” come la pioggia una volta a Downing Street. Ma la verità è che si considera sconfitto, implicitamente, aggrappandosi in queste ore a un appello quasi disperato agli elettori di “non arrendersi” a Starmer mani e piedi: come se ora sperasse solo in una maggioranza laburista non troppo ampia.

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Un obiettivo minimo verso il quale potrebbe arrivare una mano se non altro dal rallentamento della corsa a destra dei populisti di Reform UK di Nigel Farage, fermatisi intorno al 16% dopo la bufera legata alle dichiarazioni razziste di alcuni candidati.

Il leader laburista, da parte sua, si limita a martellare sull’offerta di un’alternativa non meglio precisata al “caos” conservatore degli ultimi anni, evocando slogan sufficientemente generici su stabilità, crescita, sicurezza nazionale o ricostruzione della “fiducia negli affari pubblici” dopo ondate di scandali come il Partygate dell’era Boris Johnson o l’imbarazzante caso delle scommesse sulla data delle elezioni. Mentre, incalzato dai risultati sismici del primo turno in Francia, afferma che i “progressisti” sono l’unica barriera alla “minaccia populista”, nell’isola come nell’Europa continentale. Salvo affrettarsi ad aggiungere che, per vincere, occorre dare – dall’economia alla linea dura sugli sbarchi di immigrati clandestini – “risposte alle preoccupazioni quotidiane della gente comune”. Umori e malumori compresi.

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