scugnizzo e fragile genio» – .

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Dopo aver scoperto che la madre di Leonardo era una schiava circassa liberata alla fine del 1452 per atto del notaio e amante Ser Piero da Vinci, storia raccontata ne Il sorriso di Caterina, l’italianista Carlo Vecce pubblicò una lunga biografia sul genio italiano, Leonardo, life (Giunti, 660 pagine, 22 euro) presentato ieri a Napoli alla fondazione Foqus. Anche questa volta l’autore si è affidato a documenti storici inediti o poco conosciuti, dalle dichiarazioni dei redditi ai contratti fino alle note degli ambasciatori. Ne emerge il ritratto di un uomo fragile, spesso insicuro.

Secondo la vostra ricostruzione, come trascorse l’infanzia di Leonardo Vecce?

«Fino a 10 anni come uno scugnizzo. Era selvaggio, ribelle, irrequieto. Abbandonato a se stesso, spesso scalzo e vestito con abiti modesti, viveva con il nonno, il padre del notaio, che era molto anziano, e la madre, più selvaggia di lui. Non è andato a scuola e tutto quello che ha imparato lo ha fatto da autodidatta, compreso scrivere come un mancino scorretto che si muove da destra a sinistra.

Che rapporto aveva con suo padre?

«A differenza di quanto si è creduto finora, il padre, che ha conoscenze influenti in ogni campo, ha cercato di aiutarlo in ogni modo: segretamente, quel figliastro gli dava più di un motivo di imbarazzo, se non di vergogna» .

Per esempio?

«Quasi sempre non portò a termine i lavori che gli venivano commissionati e, a partire dal 1476, all’età di 24 anni, fu processato più di una volta per sodomia, pratica diffusa all’epoca ma per la quale si poteva essere condannati a morte. Forse ha conosciuto anche il carcere, sicuramente è stato processato più di una volta. Non è mai stato condannato ma lo stigma del sodomita gli è rimasto impresso”.

Quindi all’età di 30 anni è scappato?

«È scappato da Firenze, dove era un fallito, incapace di rispettare scadenze e impegni, figlio bastardo di un ex schiavo. A Milano tentò di entrare alla corte di Ludovico Sforza ma non vi riuscì e visse di stenti. Gli ci sono voluti 5 anni per farsi apprezzare, e non per le sue capacità artistiche”.

Perché?

«Il duca era ossessionato dalla guerra e dalle armi, non gli interessavano i pittori. Quando Leonardo capì questo, cominciò a inviargli progetti per enormi bombarde, carri armati, artiglierie multiple, ponti mobili, fortezze volanti, macchine di difesa su mura, complessi sistemi di giunti in legno, sottomarini. Sono disegni bellissimi e irrealizzabili, Leonardo non aveva le doti di un ingegnere, ma bastarono per impressionare il duca e per farsi apprezzare come artista. Da lì ebbe inizio la sua fortuna”.

Rimase un genio fragile.

«Quello che emerge dai documenti è la figura di un uomo in continua lotta per affermarsi, sempre inquieto e insicuro, più di una volta non all’altezza delle aspettative, come per “L’Ultima Cena” dove l’intonaco comincia a sgretolarsi poco dopo la realizzazione. “

Cosa aveva di speciale il metodo di lavoro di Leonardo?

«A differenza di altri pittori, disegnava direttamente sulla tavola di legno come se fosse un foglio di carta e poi ritoccava, modificava, ricominciava da zero. Non ha finito i suoi lavori? È vero, ma solo perché era innamorato del processo creativo, che non voleva interrompere. Per questo motivo fece realizzare decine di copie di ogni opera. In questo era simile agli artisti d’avanguardia americani del XX secolo”.

Per esempio?

«Andy Warhol, che tra l’altro lavorò all’“Ultima Cena” di Leonardo. Entrambi giocano sulla riproducibilità dell’opera d’arte. Con Leonardo tutto ebbe inizio con la “Vergine delle Rocce” dipinta per una confraternita religiosa. Anche il Duca di Milano lo volle, uguale e identico, e così Da Vinci ne fece una sorta di fotocopia. Stesse richieste per quadri come la “Gioconda” e il “Salvator Mundi” e sempre da parte di committenti importanti, i re di Francia, i principi italiani. Tutti volevano il loro Leonardo e lui non dispiaceva a nessuno, ovviamente trascurando il fatto che erano copie”.

 
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