recensione del romanzo di Shelley Jackson – .

«Viviamo immersi nel tempo e per questo, quando visitiamo il regno dei morti, dobbiamo portare con noi il nostro tempo, altrimenti non vivremo letteralmente nulla e non potremo mai sapere che eravamo lì».

Ci sono libri che sono portatori di linguaggio, che prendono la forma della parola e la dissolvono in altre forme più piccole, suoni, immagini, fino a creare qualcosa di completamente diverso. Nuovo. Se all’interno di un romanzo, e questo è il caso di Liberazione di Shelley Jackson (Rina edizioni, 2024, traduzione di Valentina Maini), il linguaggio non si accontenta di essere solo una serie di frasi – più o meno logiche, costruite correttamente, che suonano bene, che vengono messe al servizio di descrizioni e personaggi – ma diventa un tessuto mobile che non si limita ad essere solo una parola ma più o meno tutto, per cui il romanzo non è solo un fatto che si dispiega sulla carta, dalla pagina x alla pagina y, ma è qualcos’altro che trabocca e diventa performance insieme a il racconto, chiede ai nostri occhi di andare a vedere cosa si nasconde tra la polvere e il tappeto, tra il davanzale narrativo e il panorama del racconto.

Liberazione è sicuramente un romanzo sperimentale, ma limitarlo al solo campo della sperimentazione gli renderebbe un disservizio. Forse dovremmo dire che si tratta di una sorta di opera d’arte non statica, di quelle che cambiano a seconda del momento in cui si va ad ammirarla, proprio come accade con le performance. Entri in un museo, magari trovi una serie di persone che riproducono azioni che – nel loro insieme – rappresentano l’idea dell’artista che le ha concepite. Quei movimenti non saranno mai gli stessi, ci sarà sempre qualcosa di diverso, e a volte la differenza nasce dall’occhio dello spettatore, altre volte dal momento, dalla luce che cambia all’interno dell’edificio, tutte queste variazioni discendono dalla specifica volontà dell’artista, Nell’opera di Shelley Jackson, artistico e letterario, questa complessità e variabilità è ricorrente ed è la sua bellezza. Non insegue la reazione stupita ma la provoca, non fa trucchi ma stabilisce le regole del gioco, non si limita a scrivere una bella storia ma fa sì che se ne sviluppino decine. Non si tratta di una trama ma di fili, milioni di fili, che poi tesseranno qualcosa sul telaio, un oggetto fatto di parole mobili, moduli letterari, personaggi che sono passato e futuro allo stesso tempo, che si incrociano – perché in fondo è non esiste – il confine tra la vita e la morte.

“Salvala? Dalla morte? Ma l’emergenza è la vita. La morte è il paradiso, un grande ramo ornato di lustrini verso cui migra il passero, humus per lo scarafaggio e terra per il lombrico, vergine nascondiglio di arpioni per la balena. Questo è ciò che insegno”.

Riddance è uscito nel 2018, per realizzarlo ci sono voluti dodici anni a Jackson e contiene tutte le ossessioni dell’autore. Nel corso della sua attività artistica e letteraria, Jackson ha sempre mostrato una certa avversione verso il campo di gioco rettangolare, il perimetro dettato dalla sua pagina. L’architettura della sua scrittura non è mai lineare, e tiene conto, come fanno i grandi architetti, della struttura e dello spazio che la circonda, degli interni ma anche della vista, di cosa faranno le persone e come e dove. si muoveranno. La scrittura sembra provenire da un altro mondo, figlia di un alfabeto di fantasmi, un regno dove le lettere danzavano da sole prima di disporsi; lettere che continueranno a danzare nella testa, nel cuore, sulla punta della lingua di ogni lettore.

“La casa era un dispositivo ricevente, in cui agli studenti veniva data l’opportunità di vibrare in armonia con i morti.”

Jackson ha scritto racconti e romanzi, libri per bambini, opere sperimentali. Tra le sue opere ricordiamo il Progetto pelle, una storia di cui ogni parola è stata tatuata sulla pelle di circa duemila volontari. Tutto è vero: se riesco a tatuarti pezzi di una storia addosso, allora posso farti entrare nelle pagine di un libro, posso farti partecipare, posso farti scegliere tra questa storia (e le altre) quale respiro o ferita da portarti via.

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Per gentile concessione: Rina Edizioni

Cosa sta succedendo a Riddance? Cosa non succede? La protagonista è Jane Grandison, ha 11 anni e soffre di una grave forma di balbuzie, la incontriamo seduta sul retro di un’auto, ha con sé una lettera che la invita a vivere e studiare presso l’Istituto Professionale Sybil Joines per portavoce di fantasmi e giovani con la bocca udente. Questo è l’inizio, questo è uno degli inizi. L’Istituto è stato fondato nel 1890 dalla preside Sybil Joines, e sembra essere un luogo magico e infestato, una sorta di tempio per bambini che soffrono di disturbi del linguaggio. La nascita della scuola si ispira all’infanzia triste, complicata e decisamente tragica di Sybil. E le sue idee vanno oltre il semplice sostegno ai bambini che accoglie. Le ragazze e i ragazzi hanno un dono, uguale al suo: hanno la capacità – grazie alla balbuzie – di incanalare voci e suoni spettrali in grado di comunicare dal regno dei morti, un territorio che la stessa Sybil conosce molto bene. Ad un certo punto qualcuno scompare e la scuola attira l’attenzione dei genitori e della polizia. Intanto qualcuno scrive lettere ai morti, agli scrittori morti, come Melville, Poe o Emily Brontë. Questi sono alcuni dei dipinti, ma non sono tutti.

«La voce gracchia, scompare, ritorna come suono puro, i cristalli di ghiaccio soffiano come neve ghiacciata, una manciata di sabbia turbina dentro un setaccio. Poi silenzio. Le mie dita che battono sui tasti fanno il rumore di ossa che si spezzano”.

Liberazione

Liberazione

Tutto questo, insieme a molto altro ancora, costituisce Il mosaico di Shelley Jackson, anche i capitoli sono costruiti in modo da poter essere letti in un ordine diverso da quello delle pagine. Pagine composte da (falsi) ritagli di giornale, fotografie inquietanti, esercizi di dizione, spartiti musicali, lettere ai morti, appunto, e perfino una speculativa mappa del necrocosmo.

Jackson con Liberazione lo mette in scena un universo horror che è anche una grande commedia, un manuale di comunicazione che muove continuamente dal possibile all’impossibile e ritorna, un progetto che utilizza le scienze – di quel periodo, la storia si svolge nel 1919 – per mettere il razionale al servizio dell’immaginario e dello spirituale; insomma, attraverso la nascita di una terza lingua, cosa che solo l’invenzione narrativa può fare. Comunicare con i morti, imparare a parlare, fare sogni o incubi, scrivere e poi leggere romanzi. Liberazione difficilmente sarà superato in complessità e bellezza dalle altre cose che leggeremo nel resto dell’anno.

 
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