“Il viaggiatore del giorno dei morti” di Georges Simenon: recensione libro – .

Il giovane Gilles Mauvoisin sbarca a La Rochelle con un soprabito lungo fino ai piedi e un buffo cappello da lontra in testa. Viene da lontano, da Trondheim, da una vita errante fatta di privazioni e alberghi di artisti, ha viaggiato in compagnia della morte e con la sua figura allampanata e pallida sembra volerla incarnare con un giorno di anticipo.

“Il viaggiatore del giorno dei morti” di Georges Simenon

Un romanzo in cui gli appassionati di Simenon ritroveranno due capisaldi ben oliati della narrativa del grande scrittore belga: l’imperscrutabile follia dell’amore, che scoppia calpestando convenienze e razionalità, e l’ostilità verso chi è diverso, sia esso diverso nell’animo o diverso origine. . Ostilità che diventa presto la reazione immunitaria di una comunità, desiderosa di preservare equilibri e interessi fossilizzati dal tempo e decisa a isolare ed espellere l’agente estraneo.

Gilles finisce così per incarnare la figura di un nuovo Don Chisciotte che vaga smarrito e solitario nelle umide nebbie salmastre di una Mancia atlantica, accompagnato dal suo folle amore per un’eterea e sfuggente Dulcinea, e teneramente accudito dalla figura di Jaja, una imponente icona popolare e cartina di tornasole della miseria spirituale della borghesia e della nobiltà, unica persona ad agire per bontà d’animo in una congerie di interessi anche riuniti in un sindacato.

Quasi una favola, in cui la pecora sarà costretta a diventare lupo per sopravvivere nella terra dei lupi e per scoprire che chi appartiene alla razza pecora e possiede la mitezza del lupo potrà tollerare solo la pelliccia e sopportare la sua solitudine.

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“Il viaggiatore del giorno dei morti” di Georges Simenon, Adelphi Edizioni. I libri di Riccardo