Pochi apocalittici e molti integrati – .

Ha ancora senso porsi il problema di un contrasto tra apocalittici e integrati nel 2024? Ha ancora senso parlare di una netta distinzione nella società tra coloro che sono fortemente critici nei confronti dei media e della cultura di massa che essi producono e coloro che sono a favore di questa cultura? Oggi, infatti, sembra che di apocalittici siano rimasti ben pochi. A ben vedere, però, anche il libro di Umberto Eco, uscito appena sessant’anni fa, sostanzialmente non parlava di questo argomento. Lo conteneva nel titolo e questo probabilmente contribuì al suo grande successo, che però è da attribuire anche a diversi altri fattori, che meritano di essere ricordati data l’elevata importanza raggiunta da questo libro nella cultura italiana negli ultimi decenni.

Eco ha parlato più volte che scritto Apocalittico e integratoil suo terzo saggio più tardi Lavoro apertodal 1962, ad es Diario minimo, del 1963, è stato mosso principalmente dall’obiettivo di sviluppare una riflessione sulla natura e gli effetti sociali delle comunicazioni di massa. Voleva infatti utilizzare questo saggio per vincere un concorso accademico in una delle università italiane. All’epoca la televisione, nata da poco, cominciava ad avere successo nella società e vennero create diverse cattedre universitarie sulle comunicazioni di massa. Eco portò quindi il suo dattiloscritto all’editore Valentino Bompiani, che accettò di pubblicarlo, ma solo con un titolo diverso e propose Apocalittico e integrato. Eco non era convinto della soluzione proposta da Bompiani, ma, essendo giovane e ancora poco conosciuto, dovette accettarla. Quindi scrisse rapidamente una nuova prefazione per giustificare il titolo, ma lasciò invariato il resto del libro. Non c’era tempo per apportare ulteriori modifiche.

L’idea del libro nasce a Eco dalla constatazione che i messaggi della cultura di massa prodotti dai media potevano essere considerati oggetti meritevoli di analisi critica esattamente al pari delle forme estetiche sviluppate dalla cultura alta. Quella cultura con cui aveva già avuto a che fare nel suo primo lavoro Lavoro aperto. Apocalittico e integrato tuttavia, quando uscì, inaugurò il filone degli studi sui media e sulla cultura di massa in Italia. All’estero, invece, i temi da lui trattati erano già all’ordine del giorno da tempo. Ad esempio, i filosofi della Scuola di Francoforte Max Horkheimer e Theodor Adorno, con il volume Dialettica dell’Illuminismo risalente agli anni Quaranta, aveva già pesantemente accusato l’industria culturale statunitense di produrre un effetto omogeneizzante sulla cultura e sulla società. E McLuhan, con il volume La sposa meccanica del 1951, aveva trattato i messaggi della cultura di massa esattamente alla stregua dei testi letterari e li aveva quindi sottoposti ad una rigorosa analisi critica. Allo stesso modo anche Roland Barthes, nel testo del 1957 Miti di oggi, aveva mostrato la possibilità di analizzare criticamente i messaggi dei media e dell’industria culturale. E anche Morin, nel 1962, nel volume tradotto in italiano nello stesso anno dal titolo L’industria culturaleaveva cercato di dimostrare la tesi secondo cui la cultura di massa si configura come un insieme eterogeneo di prodotti culturali dotati di valore significativo.

In Italia, però, nonostante questi studi, negli anni Sessanta la cultura di massa era ancora considerata un argomento di scarsa rilevanza rispetto alla cultura tradizionale, cioè alla filosofia, alla letteratura o al teatro. Eco invece pensava che andasse criticato, ma perché meritevole della massima attenzione. La sua idea era che fosse possibile analizzare i messaggi della cultura di massa utilizzando una nuova prospettiva basata sulla possibilità di “guardare indietro” e ricercare non i fenomeni mediatici del momento, ma gli schemi invarianti su cui si fondavano. Riportando cioè lo sguardo indietro era possibile osservare meglio l’oggetto da analizzare, ma anche evidenziare come i contenuti dei media contenessero fenomeni che andavano presi seriamente in considerazione perché, in definitiva, funzionavano allo stesso modo dei tradizionali cultura. Eco ricorse quindi ai concetti del linguista Roman Jakobson e cominciò per la prima volta a ragionare in una prospettiva semiotica.

Per dimostrare l’efficacia del suo metodo, Eco ha provato ad applicarlo a diversi casi concreti, ricercando forme espressive invarianti che ricorrono all’interno di messaggi diversi. Il più importante tra i casi analizzati è stato probabilmente il fumetto di Superman. Attraverso uno studio comparativo tra diverse storie, Eco ha dimostrato che questo fumetto offriva continuamente al lettore ciò che desiderava: trovare qualcosa che già conosceva, ma che continuava a cercare perché gli procurava un grande piacere. Il lettore si divertiva infatti a confrontarsi con le continue variazioni di una struttura narrativa rimasta costante nel tempo e che proponeva sostanzialmente un modello culturale ripetitivo e conservatore.

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Eco dentro Apocalittico e integrato, oltre ad un innovativo metodo di analisi dei prodotti della cultura di massa, propone anche diversi concetti teorici, uno dei più rilevanti dei quali è stato sviluppato nelle pagine finali del libro: la questione della quantità di potere a disposizione dei soggetti coinvolti nei processi di comunicazione. Secondo Eco, infatti, tutti, a partire dagli antichi greci, per comunicare meglio, cercano di utilizzare tecniche retoriche in modo da ottenere un elevato livello di persuasione da parte dell’interlocutore. Tuttavia, può esserci una vera condizione di democrazia solo quando esiste una situazione di uguaglianza tra i soggetti che si confrontano: come accade in un tribunale o in un parlamento, ciascuno deve essere libero di persuadere l’altro. Tuttavia, nelle società contemporanee il rapporto di potere è ineguale, perché esiste un potere economico che ha la proprietà sia dei mezzi di produzione che di quelli di comunicazione. E ciò che accade quindi è che «sarà sempre il potere a persuadere me, non io a persuadere il potere» (p. 378). Da qui la convinzione di Eco che sia sempre necessario esercitare un’azione critica nei confronti degli strumenti di comunicazione e che quindi le persone debbano essere dotate di strumenti culturali affinché possano esercitare questa azione. Inoltre, Eco era profondamente convinto che vivere in una società industriale di massa dovesse comportare l’accettazione di un processo di commercializzazione della cultura, ma che, allo stesso tempo, fosse anche possibile provare a utilizzare i media per diffondere i linguaggi e i valori di tipo culturale.

Non a caso, molti anni dopo Apocalittico e integrato e in piena era digitale Eco sostenne la stessa posizione, pur applicandola al mondo del web. Questo, infatti, permette alle persone di partecipare e di interagire, ma, dal punto di vista del potere a disposizione, bisogna considerare che al suo interno operano aziende colossi con notevole potere e quindi la stessa situazione di disparità che esisteva in Italia. negli anni ’60 rispetto alla televisione è presente. Per questo Eco ha più volte sottolineato negli ultimi anni della sua esistenza la necessità di sviluppare interventi mirati ad un processo di educazione delle persone anche rispetto al Web e ai social media. Che dovrebbe permettere loro di imparare a selezionare tra l’enorme quantità di materiali espressivi che incontrano ogni giorno nel mondo digitale.

 
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