Bottega del Rinascimento | Luca Molinari – .

Il Rinascimento italiano è stata una delle fasi artistiche più vitali, sorprendenti, radicali e innovative della storia italiana e mondiale, eppure è spesso vista come una cartolina congelata, fissata nella sua prospettiva storiografica. Questa condizione riguarda soprattutto l’architettura e le tante opere che hanno sedimentato lungo la penisola un universo inquieto e produttivo di corti ducali, sedi pontificie, vitalità ecclesiastica e intraprendenza patrizia che hanno dato forma ad un atlante di opere costruite e immaginate che non ha eguali per una qualità diffusa. Credo che sia dovuto ad una certa tendenza della cultura accademica ottocentesca che si è riverberata per tutto il Novecento a guardare a quel periodo schiacciandolo nella sua prospettiva neoclassica attraverso la definizione di canoni linguistici e formali fissati nei trattati, che erano al la base della formazione di generazioni di architetti e ingegneri. Una condizione progressivamente corrosa da un’ampia stagione di studi e ricerche che trova nell’opera di Eugenio Battisti dedicata all’Antirinascimento uno dei momenti critici più interessanti per rileggere la complessità e le contraddizioni di un periodo storico così compresso.

Tutto inizia da un libro, il Di Architettura di Marco Vitruvio Pollione, l’unico testo di origine romana giunto intatto come manoscritto nel XV secolo, ma senza alcuna immagine di accompagnamento.

La scrittura è considerata la pietra angolare su cui costruire una nuova teoria del progetto umanistico, ma l’immaginario restava ancora da inventare.

Il manoscritto giunge senza alcuna illustrazione in un unico esemplare che venne commentato alla corte di Carlo Magno. Per tutto il Medioevo Di Architettura rimase una curiosità per pochi studiosi, senza alcun effetto sull’architettura dell’epoca, finché l’umanista fiorentino Poggio Bracciolini ne trovò una copia nella biblioteca di Cassino nel 1414. L’uomo giusto al momento giusto, perché la diffusione di Il libro di Vitruvio ebbe un effetto dirompente sulla cultura dell’epoca, al punto da diventare il riferimento unico per tutti gli architetti a partire dall’Umanesimo fino almeno alla fine dell’Ottocento. Non potremmo immaginare Leon Battista Alberti, Palladio e i trattati classicisti senza questo libro, mentre le tre categorie da lui indicate: “Utilitas”, ovvero funzionalità, “Firmitas”, solidità, e “Venustas”, bellezza, erano le solide basi su cui si fondava l’Occidente. la cultura architettonica ha costruito i suoi fondamenti teorici.

Su questo nodo problematico poggiano altri due elementi decisivi: la prospettiva sperimentata e teorizzata da Brunelleschi e Piero della Francesca e l’importanza delle fabbriche romane sopravvissute in Italia.

Piero della Francesca, Pala del Montefeltro ©Pinacoteca di Brera, Milano.

Agli inizi del Cinquecento apparvero le prime edizioni di Vitruvio con illustrazioni di architettura che erano frutto di pura invenzione dedotta dalle parole dell’architetto romano, che divennero la base teorica per dare forma a un mondo nuovo. Ogni edizione prodotta, sia manoscritta che a stampa, a partire dall’opera di Fra Giocondo, presenta immagini che mutano, a dimostrazione che il testo generava immaginari diversi e complementari a seconda dello sguardo e delle esperienze del suo autore.

Il Rinascimento è un incredibile cantiere di pura invenzione e costruzione di quei vocabolari di forme, geometrie e linguaggi che ci accompagneranno fino alle avanguardie del Movimento Moderno. Cambiare prospettiva ci offre la possibilità di ritornare alla nostra Storia come dimensione viva, che ha ancora il potere di sedurci e di insegnarci.

Il libro Rinascimento adattivo recentemente scritto da Pietro Valle per Libria e accompagnato dal ricco patrimonio di immagini originali di Giuseppe Dell’Arche, va esattamente in questa direzione, quella di rileggere uno dei momenti più radicali della nostra storia con una prospettiva sorprendente e fortemente contemporanea.

Basilica Palladiana.

Valle mette subito le mani avanti, dichiarando di essere un progettista e non uno storico dell’architettura, per evitare critiche inutili e rafforzare il diritto alle scelte, sempre supportato da un buon corpus di studi e letture. Il libro è coraggioso perché affronta di petto uno dei momenti più densi e complessi dell’architettura occidentale, ma è il titolo a colpire, che affianca alla parola “Rinascimento” un termine inaspettato come “adattivo”.

Quando pensiamo a quel momento storico emergono opere che si impongono per forza e dimensione all’interno delle città e dei paesaggi italiani. Basti pensare alla costruzione della cupola di Santa Maria del Fiore da parte del Brunelleschi, o alla costruzione di San Pietro a Roma che consumò i progetti di Bramante, Raffaello, dei Sangallo per poi arrivare alla versione definitiva di Michelangelo, in Santa Maria della Consolazione ai piedi di Todi, a Palazzo Farnese nel cuore di Roma o alla Rotonda di Palladio alle porte di Vicenza.

Rispetto a questo immaginario “classico” che evidentemente manca nel volume, Pietro Valle ricava una prospettiva complementare, ovvero quella della necessità per gli architetti rinascimentali di confrontarsi con contesti, luoghi e geografie esistenti per costruire opere che avessero la forza di adattarsi alle esigenze esistenti e affermano chiaramente un diverso postulato teorico e linguistico.

Si passa così dall’idea del solo monumento, eccezionale nella sua natura di diversità rispetto al contesto esistente, a una pratica progettuale che, invece, è chiamata a fare i conti con i vincoli dei luoghi, i limiti economici, gli incidenti politici e le esigenze del designer di confrontarsi con contesti complessi e stratificati.

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Come spiega Valle “questo accidentismo del Rinascimento, i suoi tentativi falliti, l’incompiutezza di molti edifici, mostrano il suo aspetto relazionale ampliato nella dialettica tra generalità e adattamento. La lettura caso per caso non è intrapresa per promuovere un empirismo anticlassico dell’architettura quattro-cinquecentesca, ma, piuttosto, per dimostrare la diffusione dialogica del modello nella sua ibridazione con altre realtà, nelle sue declinazioni molto diverse”.

Il libro, organizzato in nove famiglie tematiche quali “addizione”, “adattamento”, “sito/paesaggio”, “mega/infrastruttura”, “ricostruzione”, “deformazione”, “assemblaggio”, “processo” e “interrotto” rilegge alcuni dei capolavori assoluti del Rinascimento in una prospettiva contemporanea perché ha la capacità di rinnovare il nostro punto di vista su queste opere e di rileggerle secondo parametri che vanno oltre la questione puramente linguistica.

Ancora una volta l’autore afferma che “la scelta è parziale e tale da costringere ad una lettura problematica dei casi studio proposti. Ciascuno di essi, infatti, solleva interrogativi anziché dare risposte definitive.

Forse questa continua messa in discussione del ruolo dell’architettura è forse l’eredità più interessante del Quattro e Cinquecento, che si riverbera nella nostra contemporaneità, secondo una necessità pervasiva, non solo economicoriadattare l’esistente”.

Nella costruzione del libro attraverso le sezioni tematiche e nella lettura dei testi che accompagnano le opere, emerge chiaramente la formazione di progettista di Pietro Valle, un progettista che interroga l’architettura come spazio attraverso le sue piante, sezioni e volumi che dialogano con la geografia del luogo e il suo paesaggio di linee e materiali. Questo approccio non esclude una lettura colta e consapevole delle opere selezionate ma prende consapevolmente le distanze dalla biografia intellettuale e artistica degli autori per concentrarsi con coerenza sull’artefatto e sul suo rapporto con la realtà.

Così la Basilica di Palladio a Vicenza o il Tempio Malatestiano di Leon Battista Alberti a Rimini nascono dal muscolare confronto con preesistenti edifici medievali, l’addizione erculea di Ferrara reinterpreta il vuoto della Pianura Padana e lo ristabilisce pensando alla città romana per creare la città nova dei D’Este, mentre la Villa Imperiale di Pesaro nasce in dialogo con i suoi giardini e costruisce un nuovo paesaggio sulle colline marchigiane.

Rimini, Tempio Malatestiano.

L’Ospedale Cà Granda del Filarete a Milano e gli Uffizi del Vasari a Firenze sono visti come complesse e moderne megastrutture costruite nel cuore della città medievale, mentre la Basilica della Santa Casa a Loreto o il Palazzo Ducale a Urbino sono reinterpretati come corpi densi che definiscono micromondi quasi labirintici in cui città e palazzo si fondono. La Basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma, progettata dall’anziano Michelangelo, fu fondata utilizzando le possenti murature e le geometrie delle Terme di Diocleziano, mentre l’antica abbazia di San Benedetto Po in Polirone fu circondata da un nuovo corpo “moderno” che ne definisce il fianco e la facciata pubblica opera di Giulio Romano, architetto dei Gonzaga e fine sperimentatore di spazi e di figure.

Ciò che entusiasma dei progetti individuati da Pietro Valle è la capacità degli autori selezionati di inventare e di utilizzare il corpus dei linguaggi e dei soggetti classici come un corpo vivo, magmatico, instabile da interrogare continuamente in ogni progetto. In questa fase storica i linguaggi non sono ancora codificati e ogni soluzione d’angolo, facciata con geometria irregolare o rapporto con il paesaggio circostante diventa occasione per sperimentare e spingere al limite le soluzioni spaziali e linguistiche, quasi a verificarne la forza e la compattezza di una visione nuova rispetto alla realtà.

Il libro rappresenta un bellissimo viaggio che vale la pena intraprendere, accompagnato da schede che uniscono interpretazioni personali e una lettura scientifica ben documentata e, soprattutto, illustrato dall’eccellente lavoro fotografico di Giuseppe Dell’Arche che dà forma alle intuizioni di Valle grazie ad un lavoro unitario e coerente per tutte le opere selezionate.

Avremmo preferito un saggio introduttivo più denso e meno didascalico, vista l’originale intuizione dell’autore, e questo è l’unico vero limite di un libro che rilegge il Rinascimento italiano, permettendoci di guardare a questo momento storico come un magnifico laboratorio di libertà e inquietudine. invenzione.

 
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