Tra i Mille di Garibaldi. Le imprese dei fratelli Bronzetti – Umberto Bardini – .

Tra i Mille di Garibaldi. Le imprese dei fratelli Bronzetti – Umberto Bardini – .
Tra i Mille di Garibaldi. Le imprese dei fratelli Bronzetti – Umberto Bardini – .

Pilade e Oreste, due giovani lombardi, di 28 e 25 anni nell’autunno del 1860: purtroppo l’Italia non ricorda, non riconosce, non festeggia. In effetti il ​​saggio storico del professore sembra un libro d’altri tempi. Umberto BardiniRicercatore mantovano di storia militare e ottocentesca, Tra i Mille di Garibaldi. Le imprese dei fratelli Bronzetti (Udine, agosto 2023, collana “Storia militare del Risorgimento”, 112 pagine).

Le Edizioni Gaspari hanno il grande merito di averlo proposto recentemente, con illustrazioni in bianco e nero in due inserti e cartine a colori realizzate da Arianna Bardini.

Significativamente, il saggista e studioso del Risorgimento Marco Scardigli cita nella prefazione un fumetto di Sergio Toppi sul “Corriere dei Piccoli” del 5 ottobre 1969, I 300 di Castelmorroneda un racconto di Mino Milani.

Quanti bambini si emozionarono davanti al coraggio del Garibaldi di Bronzetti, che resistette per ore davanti a 5.000 Borbone. Quanto pathos in quelle immagini, inoltre, prive di emozioni la storia è secca, osserva Scardigli, che ne ritrova molte nell’opera di Bardini: lotte, gesti eroici, accanto a delusioni, sofferenze, perdite e rinunce.

Tanti eroi del Risorgimento italiano, nel senso più alto del termine”e i Bronzetti sono tra questi”, mantovano da famiglia originaria del trentino asburgico. Insieme a Narciso, nato nel 1821, si distinsero particolarmente Pilade (1832) e Oreste (1835), volontari garibaldini e ufficiali dell’esercito meridionale in camicie rosse nel 1860.

Gli italiani di oggi li hanno dimenticati e da una parte del Sud nasce un giornalismo revisionista del Risorgimento, nostalgico dei Borboni e antisabaudo, che li disprezza come “avventurieri”.

Il peggio è che coloro che demoliscono – su basi non storiche, ma solo propagandistiche, comunque – la statura morale e militare degli autentici patrioti sono gli stessi che trasfigurano i briganti antiunitari, che al massimo potremmo considerare ribelli, insorti, come eroi romantici. Una falsificazione, difficilmente nobilitabile, anche come guerriglieri, banditi assassini, eredi del brigantaggio endemico da secoli nel Mezzogiorno, irriducibile anche sotto i Borboni.

Per collocarli nel ruolo etico-epico di “predoni” era, allora e non adesso, qualcuno che non solo combatteva insieme a loro, ma si illudeva che credessero in una causa comune, dovendosi presto pentire del suo errore, prima di essere fucilato a Tagliacozzo, l’8 dicembre 1861 Josè Borjes, spagnolo Generale carlista, era stato inviato in Calabria dagli ambienti borbonici per assumere la direzione militare dei moti, delle insurrezioni e delle azioni di guerriglia, che i lealisti e il clero reazionario fomentavano contro le neonate autorità italiane. Combatté tra le bande di Carmine Crocco, ma capì che non poteva organizzare una vera e propria guerra civile per il trono e l’altare, alla guida di masse di uomini armati, organizzate e disciplinate, con l’obiettivo di conquistare definitivamente grandi centri e territori. Ha osservato che “i contadini armati potevano solo condurre la guerriglia e tormentare le proprietà dei proprietari terrieri” (fonte: Enciclopedia Treccani). Fallita la presa del Potere, tentò di entrare nello Stato Pontificio dalla Marsica, ma fu circondato dalle truppe italiane.

Prima del brigantaggio postunitario, la differenza tra le incerte motivazioni dei soldati borbonici e quelle nobili dei volontari garibaldini, per lo più repubblicani, risaltò proprio nella battaglia del Volturno, nodo cruciale dell’unificazione italiana durante il Risorgimento. Il 2 ottobre 1860 il coraggio, gli ideali patriottici e la dedizione alla causa prevalsero sulla forza di molti. Raddoppia contro la metà quella giornata del casertano. E lassù, a Castel Morrone, le Termopili d’Italia, i trecento di Pilade Bronzetti si distinsero, opponendosi a truppe napoletane venti volte superiori.

Con l’avanzata delle colonne borboniche da Gaeta verso Caserta, oltre 40mila uomini del Regno delle Due Sicilie si scontrarono contro poco più di 20mila garibaldini.

E in cima a Castel Morrone, 292 bersaglieri lombardi, al comando del maggiore Bronzetti, affrontarono l’assalto di 5mila avversari.

Quel giorno pochi contrastarono l’offensiva di molti e vinsero, grazie alle cinque ore di ritardo imposte lassù, al castello a 492 metri, sull’aggiramento nemico verso Maddaloni e la strada per Napoli. Una volta esaurite le munizioni, i Longobardi lanciarono pietre contro i nemici, prima di alzare bandiera bianca. Era già stato scoperto quando Pilade cadde, colpito dalla baionetta e ancora combattendo furiosamente.

Se al Sud il revisionismo neoborbonico ha visibilità più che credito, si scontra con la storia, oltre che con la storiografia (leggi Galli Della Loggia).

L’esercito di Francesco II era dalla parte della ragione? Stava difendendo un Regno fiorente e avanzato?

Quale occasione migliore, quindi, di uno scontro con il vantaggio delle armi e degli uomini armati, per dimostrare la superiorità morale, motivazionale, militare rispetto a “avventurieri” di Garibaldi, se questi fossero così inferiori, anche eticamente?

Tutto negato quel giorno a Caserta Vecchia, ai Ponti della Valle, a Castel Morrone, ovunque i garibaldini resistettero o si ritirarono nelle posizioni che ancora mantenevano.

Dopo un secolo e mezzo, le opinioni possono anche tentare di ribaltare la verità e la storia, ma mai cambiare la realtà dei fatti del 1860: i giovani repubblicani sconfissero un esercito di professionisti due volte più forte e lo costrinsero a rinchiudersi a Gaeta, ancor prima l’arrivo dei piemontesi, ancora in marcia in Abruzzo.

La conclusione di Scardigli da storico: il merito del libro è quello di restituire grandezza a chi ha pagato il prezzo più alto per l’amore per l’Italia e per un obiettivo unitario.

Sigillo di una storia straordinaria fatta di ideali, sacrifici, generosità e, soprattutto, coerenza”.

 
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