De Magistris e la Beccaccia, il terremoto di Tangentopoli dalla latitudine di Napoli – .

De Magistris e la Beccaccia, il terremoto di Tangentopoli dalla latitudine di Napoli – .
De Magistris e la Beccaccia, il terremoto di Tangentopoli dalla latitudine di Napoli – .

Ha il rigore di un libro di storia, il ritmo di un romanzo e il coraggio di una vera inchiesta giornalistica, l’ultimo lavoro di Goffredo Buccini, firma del Corriere della Sera, cronista di tutti questi anni, e oggi narratore rigoroso di una connessa e agghiacciante sequenza di eventi che, nell’arco di trent’anni, hanno reso la giustizia più politica della politica e la politica più giustizialista della giustizia, all’interno di un’Italia attonita, la cui Il cortocircuito finale – da Tangentopoli in poi – diventa, non a caso, il susseguirsi dei populismi senza cultura degli ultimi anni.

“La Repubblica sotto processo; storia giudiziaria della politica italiana 1994-2023”: questo il titolo del volume dell’editorialista e inviato del Corriere, nato a Roma ma con radici partenopee (e primi passi nel giornalismo), presentato sabato a Salerno Letteratura. Lo ha pubblicato Laterza, tre anni dopo “Il tempo delle mani pulite 1992-1994”, che invece i due anni di Tangentopoli, da Mario Chiesa a Silvio Berlusconi. E questo secondo volume riprende il filo proprio da dove lo aveva lasciato, completando un discorso coraggioso e franco, che mette insieme i fatti, non lesina opinioni ma documenta con precisione chirurgica – e venti pagine di note – il profilo di un Paese dove la separazione dei poteri è tale solo perché essi non si parlano ma duellano continuamente, si sfidano, si minacciano, si scontrano, dando vita tutt’altro che ad un equilibrio, ma ad un’isteria permanente.

La storia

UN Repubblica sull’orlo della crisi di nervi. Sotto processo, appunto. Il libro di Buccini (384 pagine, 22 euro) segue un ordine strettamente cronologico, e riesce così nell’intento di mettere in fila le vicende giudiziarie e politiche degli ultimi 30 anni, lasciando il lettore esterrefatto. Sapevamo tutto ma non l’avevamo mai visto così. Fanno impressione, le cose raccontate in modo così sequenziale, una dopo l’altra: si intravedono le distorsioni da tutte le parti, il suono stridulo di una democrazia in profonda crisi. Bettino Craxi sfugge all’arresto, dall’esilio africano resiste agli attacchi via fax. Mentre l’Italiaorfano dei partiti che l’avevano governato a partire dal dopoguerra, si affida Silvio Berlusconi, che ne crea uno nel giro di poche settimane. Ha vinto le elezioni del 1994. La sua entrata in campo (“L’Italia è il Paese che amo”) è accompagnata dall’arresto del fratello Paolo, come a dire che la storia continua. Ma la nuova maggioranza – c’è An, c’è la Lega – non si scontra. «Siamo ancora nella fase in cui il futuro premier – scrive Buccini – pensa di poter governare l’uscita da Mani Pulite, dividendo il pool Borrelli in una fazione di sinistra da annientare e una di destra da inglobare. Egli attribuisce al primo Colombo e D’Ambrosio. Al secondo Di Pietro e Davigo. I calcoli, come vedremo, si riveleranno errati”. Il simbolo sarà lo stesso Di Pietro che, rinunciata alla toga, diventerà poi addirittura un leader politico.

Il caso Napoli

Nel libro di Buccini c’è un lungo riferimento a Luigi De Magistrisex pm di Catanzaro. «Un altro magistrato finito nel mirino della casta e poi del CSM e perfino dell’ANM», nota il giornalista nel suo libro, citando la definizione che gli ha dato Marco Travaglio, per indicare una sorta di nuovo eroe. Spogliato di alcune indagini, trasferito, De Magistris diventa il Di Pietro degli anni Duemila. Un simbolo, un volto mediatico, infine, chiaramente, un politico. Eurodeputato e poi, per dieci anni, sindaco di Napoli. Una parabola che, però, non fu seguita da un altro celebre magistrato napoletano, al quale Buccini dedica ampio spazio: Henry John Woodcock. «Sceglierà sempre la toga – scrive il cronista del Corriere – indossata con la tenace convinzione di avere ragione ma con un seguito di polemiche non meno clamoroso». Nel frattempo, gli anni di Berlusconi furono costellati di battaglie legali (da Previti a Dell’Utri, dalle Olgettine alla nipote di Mubarak, dalle leggi ad personam a Severino, dall’espulsione dal Senato al ritorno alla Camera), ma anche la sinistra che, dall’incomprensione di Mani pulite di Amendola al sostegno incondizionato alle indagini giudiziarie, ha chiuso un occhio sulle distorsioni , finendo lui stesso come vittima. Quindi, prima D’Alema, poi la parabola di Renzi (con le code degli ultimi tempi), e poi a Roma, capitale della mafiae in questo contesto, un protagonista non secondario, un giornalismo che si dice giudiziario ma dimentica completamente i processi (dove le parti sono in equilibrio) e si limita a riferire sulle inchieste (dove le parti non esistono ma c’è solo l’accusa) , con un’attrazione fatale verso i pm e una totale insofferenza verso la verità giudiziaria, quella delle sentenze, fino al finale divertente, paradossale, grottesco (ma sarà la fine?) del caso Palamara, con il vero cortocircuito della magistratura Quale, quasi 30 anni dopo Tangentopoli, fa una piega clamorosa, illumina involontariamente tutte le sue ombre, e con la condanna anche di Piercamillo Davigo, traccia in modo quasi elementare il ritratto di un Paese che ha smarrito il filo e, forse per questo, punta un po’ sul populismo e lui semplicemente non ne vuole più sapere.

Per fortuna, un libro così documentato, rigoroso come un manuale di storia e meticoloso come un fatto di cronaca, con il coraggio di prendere posizione elencando i fatti, ci ricorda cosa è successo all’Italia negli ultimi 30 anni, e cosa può succedere di nuovo.

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La mattina

 
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