«Sono 40 anni che non li vedo arrivare!» – .

Pubblichiamo un estratto del libro curato da Manfredi Maretti, che celebra i 40 anni della Madonnina del Pescatore, il ristorante da sempre gestito da Moreno Cedroni e Mariella OrganiBuona lettura.

Quarant’anni fa iniziava un viaggio che ha segnato per sempre il mio modo di vedere il mondo. Per la prima volta mi sono imbattuto in un’immagine di rara bellezza che mi torna spesso in mente. È l’immagine del Capo di Buona Speranza, lì dove due masse d’acqua, l’Oceano Atlantico e l’Oceano Indiano, si fondono pur restando distinte allo stesso tempo. Un’immagine così nitida, così immensa, da ispirare in me il desiderio di ricreare nella mia cucina una simile fusione tra due forze altrettanto incisive. Ho individuato queste due forze nella creatività e nella tradizione, gli elementi portanti, fonte di ispirazione, creazione ed energia della mia cucina. È proprio lì che, contemporaneamente, è iniziato anche il mio secondo viaggio; un viaggio che fa della tradizione la sua base e della creatività il suo motore trainante. Questo viaggio porta il nome della Madonnina del Pescatore.

Questo è il messaggio che scrivo da anni sulla prima pagina del menù. Oggi, a 40 anni dall’inizio di quel viaggio, ricerca e sviluppo sono i miei due Oceani, le forze motrici che accendono e colorano le mie ispirazioni. Così, il viaggio della Madonnina si è intrecciato con quello di The Tunnel, laboratorio di ricerca e sviluppo che mira a convogliare il meglio della tecnologia applicata alla cucina, al servizio del nutrimento e del gusto. Naturalmente le “scoperte” fatte nel tunnel non devono stravolgere il menù della Madonnina, ma devono fornire ulteriori note da utilizzare.

In quarant’anni i miei occhi sono rimasti, da un lato, gli stessi, occhi che sanno ancora sorprendersi della bellezza che questo mondo ci offre; dall’altro, sono occhi che negli anni hanno colto nuove sfumature, apprezzato la vastità e la varietà di questo nostro mondo, la ricchezza che risiede in questo, nella diversità. Sono quindi, ora, occhi che hanno acquisito la ferma consapevolezza che la forza di un concetto sta nella sua universalità e si diventa universali solo interrogandosi, chiedendo, osservando, imparando dall’altro.

Di conseguenza è cambiato il mio approccio alla cucina, la scomposizione e la composizione di un ingrediente nel piatto, la comprensione degli elementi, la ricerca di equilibri e nuovi equilibri. Ogni viaggio che ho potuto fare in questi anni ha cambiato me e la mia cucina, arricchendo il mio bagaglio e ampliando i miei orizzonti. Solo viaggiando ho potuto cogliere in prima persona i frutti di culture diverse, toccare con mano le peculiarità di altri Paesi, conoscerli fino ad amarli; solo così, facendoli miei, ho potuto ricreare nella mia cucina percorsi che raccontano di tradizioni e contaminazioni, storie di vita, sapori e colori. La sperimentazione sul campo, l’incontro con nuovi sapori, l’intreccio di tante culture sono stati linfa vitale per la mia cucina, che ha avuto così modo di evolversi, cambiare, assestarsi su nuovi equilibri.

Per me il piatto più sconvolgente ed emozionante del mondo è infatti quello in cui tutti e quattro gli elementi del gusto sono presenti ed equilibrati allo stesso tempo, tanto da emozionare le papille gustative; un piatto in cui la tradizione è riuscita a guidare la sperimentazione verso qualcosa di nuovo e unico, in cui la ricerca ha raggiunto il suo apice e la sostenibilità è sempre un elemento chiave.

Immagini come quelle del Capo di Buona Speranza e più in generale la memoria e i luoghi della memoria hanno definito il mio DNA, costituiscono il mio essere, segnano i miei passi. Personalmente vivo la vita come un viaggio, come quello che faccio spesso in autostrada da Nord a Sud, con lo sguardo a destra, verso l’entroterra: il paesaggio ha forme discrete come il carattere della sua gente, ma nasconde cibi preziosi e tesori del vino. È il paesaggio delle Marche, terra di lavoratori instancabili e dal cuore leggero, sostenitori di grandi opere.

Rigatoni all’arrabbiata con acciughe fresche e melanzane

L’apice di questo viaggio, la mia Stella Polare: Senigallia. Città di mare dalla bellezza eclettica, Senigallia è la città dove sono nato. Era il 9 luglio 1964, stavo per nascere in mare perché mia madre pescava ancora i cannelli. Ricordi dolcemente sfocati e altri nitidi e nitidi mi vengono in mente quando penso alla mia città, come le dune di sabbia e i canneti che rendevano il lungomare di una bellezza incontenibile.

Senigallia mi ha visto crescere e io l’ho vista crescere, strada dopo strada, alluvione dopo alluvione. E nonostante sia cambiata così tanto, è ancora un posto che offre bellezza, come la bellezza delle fotografie di Mario Giacomelli, sempre viva.

Quando ho aperto il ristorante, nel 1984, sono andato nella sua tipografia per acquistare blocchetti per ricevute, e ancora non apprezzavo la sua arte. A lui poi ho dedicato “The Black Figure Waits for the White”, un piatto che porta il titolo del suo libro 28 e simboleggia la grande stima che nutro per lui.

Dalla rotonda al molo, da Piazza delle Erbe alla Rocca Roveresca, al Palazzo del Duca, Senigallia offre una vasta serie di cartoline per tutto il mondo. Senigallia e il suo mare, quel mare dove il destino ha voluto che venissi alla luce; questo mare, che mi accompagna da allora, non mi abbandona nemmeno per un istante, è presente in tutto quello che faccio: dall’Istituto Nautico che ho frequentato, al ristorante che ho aperto a 20 anni e che ha segnato la mia storia, permettendomi di progettare nuovi scenari nella cucina di mare.

Festeggiare 40 anni di attività merita un profondo ringraziamento, in primis a mia moglie Mariella con la quale festeggiamo 30 anni di matrimonio, a nostra figlia Matilde alla quale ho sicuramente privato alcune attenzioni, posso dire che Clandestino e Anikó sono suoi fratelli. Inoltre, un sentito ringraziamento a tutti i nostri collaboratori e ai nostri clienti che ci hanno permesso di arrivare fin qui!

 
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