così è morta mia madre”, la lettera indirizzata al sindaco di Cosenza – .

Riceviamo e pubblichiamo una lettera di una signora indirizzata al sindaco di Cosenza, Franz Caruso

Chi vuole distruggere la sanità pubblica?
Illustrissimo sindaco di Cosenza Franz Caruso,
Mi chiamo Giorgia Leo, ho 52 anni, sono cosentina e sono perdutamente innamorata della città che mi ha vista nascere e che dopo la laurea, con gli occhi pieni di lacrime, ho dovuto dire addio per andare a vivere la provincia di Milano. A Cosenza ho lasciato famiglia, amici, ricordi, profumi e tradizioni di cui sono orgoglioso! Sono arrivato qui al nord con la speranza, un giorno, di ritornare giù ma… questa è un’altra storia! Un mese fa, esattamente il 15 marzo, mi trovavo, ahimè, nella mia amata Cosenza, sopraffatta dal dolore, incredula e con un senso di impotenza e vergogna, per le modalità con cui ho perso la mia amata mamma. Sì, avete letto bene, vergogna, che può vivere solo chi vive in prima persona la terribile esperienza del vostro pronto soccorso e di alcuni reparti del vostro ospedale dell’Annunziata di Cosenza. Un sentimento misto di vergogna, incredulità, rabbia, sgomento e impotenza come quello che ho provato vivendo, insieme a mio papà, la tragica e dolorosa storia vissuta dalla mia povera mamma. La sua salute non era brillante: insufficienza renale cronica, terapia antidepressiva per circa 19 anni a causa della morte di mio fratello e camminava con il deambulatore dopo la rottura del femore ma… parlava e camminava! Nell’ultimo anno è stata sempre più silenziosa ma aggrappata alla sua vita e, con tutto l’amore che poteva, al suo amato Mimmo (mio papà). Pensa, illustre sindaco di Cosenza Franz Caruso, non molto tempo fa ti hanno tolto anche l’indennità di accompagnamento che ti spettava di diritto! “Non ne hai più diritto” hanno detto i medici dell’INPS di Cosenza durante una visita di controllo perché alla domanda diretta “come ti chiami?” e “quando sei nato?” mia madre aveva risposto con orgoglio dicendo il suo nome, cognome e data di nascita. Dopo pochi minuti non ricordava più cosa avesse mangiato ma la sua lunga memoria le aveva giocato questo strano “scherzo”. Mio padre cercò di spiegare che la moglie non era autosufficiente ma fu presto zittito così: “La signora risponderà da sola”. E lui, educato e rispettoso di tutti come sempre, aveva rinviato. Vergogna! Il nefrologo che l’ha seguita, dopo aver esaminato gli ultimi esami, le ha consigliato il ricovero in ospedale! Qui inizia la storia che voglio raccontarvi, una storia tragica! Entrò al pronto soccorso e fu subito privata di tutti i farmaci (antidepressivi, cardioaspirina, diuretici e altri…) che mio padre aveva minuziosamente preparato con tanto di elenco e tempi di somministrazione (elenco mai consultato). È quasi impossibile restare al pronto soccorso con la persona amata confusa, costretta a letto e lasciata su una barella. Mia madre costretta a non potersi alzare per sette, sette lunghi giorni interminabili!! Per restare al suo fianco era necessario supplicare, chiedere con insistenza, riuscendo molto spesso a parlare solo con la guardia e spesso rimanendo a lungo senza avere notizie del suo stato di salute, preoccupati più che mai (mio padre, le mie zie e, lontano, io che non sapevo darmi pace!). In uno dei tentativi disperati, mio ​​padre riuscì ad entrare e trovò mia madre in una pozza di sangue. In un movimento di disperazione le era “scivolata via” l’ago della cannula posizionato sul dorso della mano e NESSUNO se n’era accorto! C’era una situazione drammatica in quel pronto soccorso. E poi, come spiegare ai medici di nazionalità cubana l’aiuto a questa donna che continua a urlare disperatamente per il dolore all’addome??! Come si fa?!! Le grida di aiuto non bastano a smuovere le coscienze? E le ore passavano, giorno e notte ed io, aggrappata al telefono, cercavo di capire perché nessuno “tirasse via” mia madre da quel maledetto pronto soccorso!! Maledetto pronto soccorso! Quanta gente, quanti poveri anziani sono rimasti lì in attesa di un posto e nel frattempo?! A 80 anni non puoi restare lì per sette lunghi, interminabili giorni con queste dinamiche, è praticamente una condanna a morte! Un pronto soccorso italiano costretto ad essere gestito da medici cubani (che ringraziamo) con i quali è anche difficile comunicare! Se non fosse tutto maledettamente vero sarebbe ridicolo! Trovò poi posto nel reparto di nefrologia dove fu trasferita ma ormai le sue condizioni erano molto compromesse. Lì trovò un primario dal cuore d’oro, medici umani e professionali, oltre a numerose infermiere e alcuni OSS. Ebbene però una crisi respiratoria e per salvarla mia madre è stata dializzata. Hanno posizionato un catetere venoso centrale (CVC). Sa, Sindaco, che purtroppo nel medio e lungo periodo possono sorgere problemi dovuti alla permanenza del catetere stesso (es. infezioni)? “Al fine di ridurre drasticamente il rischio di infezioni, la gestione dei CVC avviene solitamente nel centro dialisi da parte di personale altamente specializzato, sulla base di protocolli interni sviluppati sulle raccomandazioni delle linee guida nazionali e internazionali”. Questa è la teoria!! Ti dirò solo che il cerotto che copriva il CVC di mia mamma veniva quasi sempre staccato con il CVC esposto! Più che un ambiente sterile, più che linee guida. Praticamente una “porta aperta” per virus e batteri e un rischio di infezioni altissimo! Ma finché restava in quel reparto, tutto sommato, mia madre reggeva. “Il suo cuore ha una fibra forte” mi hanno detto! Molti professionisti disponibili e gentili. Molti ma non tutti. C’è sempre un’eccezione alla regola! Personalmente ho sentito e visto un OSS calvo e con gli occhiali che, all’inizio del turno, ridendo con un suo collega e indicando mia madre, ha detto in dialetto cosentino “ancora ca è chi lo sa? Pensa che non ha trovato cchiù”. Un pugno nello stomaco, ecco cosa ho sentito! Malizia pura da parte di un’assistente sociale sanitaria che avrebbe dovuto essere lì per aiutare le persone e invece, senza fare nulla, rideva e prendeva in giro loro, lei. Questo pover’uomo parla da solo, forse un giorno sarà lui a chiedere aiuto! Mia madre è stata dimessa dopo diversi giorni con indicazione di dialisi due volte a settimana, il lunedì e il venerdì. Dopo le prime tre sedute di dialisi mia madre tornò a casa addormentata come se fosse stata sedata. Pensavamo fosse un ictus, ma la cosa più assurda è che nessuno del reparto dialisi dell’Annunziata chiamò mio padre per discuterne, per cercare di spiegargli cosa stava accadendo. Iniziò a deglutire con difficoltà e sempre più “si allontanava da noi” e gli occhi erano quasi sempre socchiusi, quasi in un lento abbandono alla vita. Il venerdì successivo in ambulanza è tornata in ospedale per un’altra dialisi programmata. Quel giorno arrivò la chiamata. Mia madre si era sentita male e non era riuscita a finire la dialisi. Dissero a mio padre “o portatela a casa o ricoveratela in ospedale”. Mio padre, sconvolto, mi ha chiamato e mi ha detto che non sapeva cosa fare. Eravamo entrambi terrorizzati ma, con immenso dolore, abbiamo deciso che portarla in ospedale fosse l’unica opzione possibile per provare a salvarla, disperatamente consapevoli che purtroppo saremmo dovuti tornare in quel maledetto pronto soccorso!! Ho iniziato a viaggiare su e giù per l’Italia. Ho trovato la mia dolce mamma in uno stato di semi-coscienza. Le ho detto “mamma, mi senti? Sono qui con te. Apritele gli occhi”. Lei mi ha semplicemente guardato, con uno sguardo spento e stanco e con un leggero cenno del capo ha annuito e poi ha chiesto i suoi occhi. Nessuno si occupava di cambiare i pannolini, anziani dimenticati, gente che urlava, gente che chiedeva aiuto e mia madre lì, abbandonata a se stessa. Quando qualche anima pia, impietosita dalle nostre suppliche, ce lo concedeva, per qualche minuto, noi eravamo lì con lei al suo fianco a consolarla con le nostre carezze piene d’amore. Dopo una giornata al pronto soccorso ci informarono che sarebbe stata trasferita in un reparto di cui volutamente non feci il nome ma che definii “giro di Dante”. A parte un medico che con professionalità, determinazione e fermezza ha cercato di recuperare quello che in un reparto del genere avrebbe dovuto già essere lì di default per salvare vite umane. A parte lei che era l’unica che mi dava spiegazioni e cercava di aiutare mia madre. A parte un’infermiera che, oltre alla sua professionalità, ha dimostrato una gentilezza ed un’attenzione infinita verso pazienti e familiari che quasi non si adattavano a quell’ambiente malsano, tutto il resto era vergognosamente disumano. Ho visto e sentito cose di cui vergognarmi. Le persone immunocompromesse come mia madre spesso si toccavano senza guanti con unghie fatte “splendide”, capelli sciolti “ma sì… proviamo a fare un prelievo di sangue” su braccia nere a causa di lividi per non avere un solo centimetro di pelle utile per identificare una vena! I pannolini (forniti da noi!!) si cambiano quando c’è tempo, e il tempo… passa… e io e mio padre ovviamente cambiamo i pannolini! Immaginate, abbiamo aiutato anche la signora del letto accanto a cambiarle i pannolini, mentre loro erano sempre pochi e troppo occupati! Ritorno a Milano molto preoccupato e dopo due giorni scendo, la mamma è peggiorata. Arrivo il 14 marzo alle ore 8 a Lamezia. Il tempo di abbracciare forte mio papà che mi viene a prendere all’aeroporto ed entro in ospedale insieme a mia mamma. Quella mattina ci furono due morti in quel reparto! Mia mamma non risponde più agli stimoli. Dormiva di un sonno profondo. Ha una brutta infezione, la chiamano setticemia. Ma nessuno ti spiega se non implori, se non insisti, se non chiedi educatamente continuamente sperando di avere informazioni sulle condizioni cliniche del tuo familiare. Quasi sempre infastidito, troppo occupato per spiegare. “Signora, la situazione è questa, non vede”? Sì, ho visto la situazione, l’ho osservata come un’incompetente, aspettando che un medico mi spiegasse a parole ciò che il suo cuore non voleva accettare. Ho aspettato e pregato. La sera del 14, alle 23,50 la mamma respirava affannosamente. Suono il campanello d’allarme per chiedere aiuto mentre, con il mio saturimetro, vedo che la situazione sta peggiorando. E non arriva nessuno. Alle 00.05, dopo 15 minuti, non arriva ancora nessuno. Esco dalla stanza per cercare qualcuno e… sorpresa! Infermiera sul divano che si rilassa al cellulare mentre la luce nella stanza 4 continua a lampeggiare. Disperata e dolorante continuavo a ripetermi “Devi stare calma”! L’infermiera si avvicina e si scusa “Il campanello non ha suonato”, “non poteva suonare, non si sentiva” ma nel corridoio continuava a lampeggiare il numero quattro. Giustificazioni inutili che di certo non aiutano mia madre. Chiedo di aumentare la quantità di ossigeno per aiutarla a respirare meglio e continuo a pregare. Tutto ciò però non bastò. Alle 4 del mattino mi rendo conto che la mia mamma è volata in cielo e non sono riuscita a fermarla? Illustrissimo sindaco, so che non è compito suo gestire la vergognosa situazione dell’ospedale dell’Annunziata ma spero che, insieme a me, anche lei possa farsi portavoce e denunciare, con tutte le sue forze, la vergognosa situazione che si respira in l’ospedale dell’Annunziata. ‘Annunziata nella sua città! Dobbiamo lottare e, con educazione e fermezza, combattere il sistema sbagliato che c’è dietro tutto questo. Dobbiamo lavorare duro affinché le persone non abbiano più paura di entrare in quell’ospedale ma si affidino invece alle cure dei medici con la speranza e la serenità di essere aiutate. Quella mattina del 15 marzo, insieme a mia madre, è morta con la stessa dinamica un’altra persona anziana. Quattro morti in una settimana sono inaccettabili! Mia madre sperava di guarire e di tornare a casa. A dicembre ha compiuto 80 anni e ha festeggiato con noi. E dopo pochi mesi perse la vita a causa della setticemia. A volte veniva gestita ma anche derisa e dimenticata. E questo non deve accadere! Non deve succedere di nuovo!
Un mese senza di te, non mi sembra vero… Almeno questo ti dovevo! Ti amo mamma, vivrai per sempre nel mio cuore e nei miei ricordi

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