Serata Cremona – Bandera “el ghèra”. Storie di emarginati di fine anni Quaranta tra piazza Duomo e il mercato – .

Bandera”El Ghera”. Non so da dove provenga questo vecchio detto cremonese, ormai in disuso da anni, né il significato originario in esso contenuto. Presumo che indicasse un tempo remoto ormai trascorso oppure qualcosa che esisteva e ora non esiste più.

In quegli anni, dal 1947 a poco dopo, per conoscenza diretta, c’era qualcuno chiamato Bandera. Mentre camminava, trascinava i piedi invece di zoppicare; di giorno lo trovavi malconcio seduto sui gradini che danno sulla piazza oppure, entrato nel colonnato, sotto il portico della Bertazzola del Duomo. Indossava un cappello che forse, in un’epoca passata, era abbondantemente piumato. Probabilmente è per questo che lo hanno chiamato “bersàaglièer”, specialità della fanteria dell’esercito italiano nella quale, forse, aveva prestato servizio militare. Le piume erano state potate e in parte portate via dai venti ma il soprannome resisteva alle intemperie che passavano. Sotto quel colonnato Bandera trascorreva le sue giornate e, nella stagione mite, anche le sue notti. Quando si furono induriti bussò alla porta delAlbergo Broggi e Simoni in via Cadore angolo via Flores, il dormitorio pubblico dell’Ente Comunale di Assistenza che ospitava i derelitti sociali e coloro che non avevano casa. In alternativa non disdegnava distendersi sulle grate di ferro poste a protezione delle caditoie disposte a livello del suolo che, di tanto in tanto, si alternavano alle grandi e rettangolari colonne che sorreggono il palazzo comunale. Sotto il pavimento del semicortile, nel seminterrato della sede comunale, si trovava un albergo diurno con docce e bagni e altri servizi legati alla cura della persona, come non di rado si trovava nelle stazioni ferroviarie delle grandi città. Quando l’orario diurno fu chiuso, parte dei servizi erogati, ma non le docce e i bagni che furono spostati in un edificio appositamente costruito in Viale Trento Trieste angolo Via Cantarane, furono spostati sul lato opposto del portico comunale dove si trovano ancora oggi. . Molto gettonato il “giorno” sotterraneo, i diffusi bagni domestici arrivarono anni dopo. Vi si accedeva scendendo una scala dopo aver superato un piccolo ingresso circolare, sbarrato di notte da una robusta porta. Le stanze erano anguste. Vapori, odori ed aria eccessivamente calda, certamente non maleodorante, venivano evacuati verso l’alto attraverso dei pozzetti che fungevano anche da sfoghi. Su quelle grate di ferro che li proteggevano, Bandera e altri diseredati si sdraiavano per scaldarsi durante le notti invernali. Utilizzare i servizi dell’albergo Broggi e Simoni significava adeguarsi a certe regole comportamentali che spesso i potenziali ospiti non gradivano, preferendo rivedere liberamente le stelle, avvolti dai profumi caldi, ma non certo fragranti, di quei soffioni alla disciplina di clausura. Bandera viveva di ciò che gli offrivano i commercianti di Largo Boccaccino e della confluenza di Via Solferino e rendeva loro piccoli servizi. Consumava il pasto di mezzogiorno, forse anche qualcosa per la sera, presso le “cucine benefiche” della Società di San Vincenzo De Paoli, situate in un’ala del palazzo vescovile, quella che circonda un tratto di via Platina di fronte all’ingresso della via Bonomelli, già Prato del Vescovo.

L’oste dell’osteria “ai tre RE” di via J. Torriani, uomo imponente, elegante nel portamento ed elegante nel vestire, sempre con le maniche della camicia abbottonate ai polsi e un panciotto dello stesso tessuto dei pantaloni, chiese un piccolo aiuto per i lavori in cantina. Nelle vie vicine potreste incontrare il Bersagliere che trainava un carretto, intento ad effettuare piccole consegne e mini trasporti per conto dei negozianti della zona. Infatti la tabaccaia, che era la sorella della signora Giuseppina, moglie del fornaio per cui lavoravo, andava a prendere sale e tabacco presso la sede dei Monopoli di Stato all’angolo tra via Bel Fuso e vicolo San Marco. La tabaccaia li avrebbe rivenduti nel suo negozio di Largo Boccaccino, oltre via del Cigno. “EL Bersagliere” non ha mancato di dare una mano nell’allestimento dei banchi espositivi dei fruttivendoli al mercato ortofrutticolo all’ingrosso, che si è svolto in piazza San Angelo, nello spazio compreso tra il retro del Palazzo dell’Arte e la chiesa, chiusa al culto, di San Vitale. Nel suo locale, di fronte a via A. Melone, negli anni futuri, amico mio Sghia commerciava in riso e farina. Sul lato opposto, all’interno di una breve rientranza della strada Bel Cavezzo, nome che si distingueva dagli altri delle vie di quel quartiere per riferirsi ad uno strumento di lavoro non filato, sbarrato all’estremità da un portone carrabile che conduceva all’istituto di suur tudèsche, aveva bottega un falegname: credo che si chiamasse Zambelli. Molti dei fruttivendoli che esponevano la loro merce in Piazza San Angelo provenivano da Croce Santo Spirito e Catselvetro Piacentino. Mentre pedalavano trainavano un furgone, attaccato al retro della bicicletta, carico di verdure fresche raccolte poche ore prima della partenza. Esistevano anche dei veri e propri grossisti: ricordiamo i Persegaan e di Faustinèel. Questi ultimi erano proprietari di una filanda in via Cadore ora trasformata in civili appartamenti; Della fabbrica rimane una breve ciminiera, forse mutilata nella parte superiore. Sulle bancarelle del mercato di Sant’Angelo è apparsa anche la frutta, quella che non si coltivava nelle nostre zone. Nell’effettuare le consegne Bandera, gioviale, salutava coloro che incontrava con frasi ironiche, innescando con loro un breve dialogo scherzoso, che veniva sempre ricambiato. Cantava spesso una canzone del bersagliere che sembrava evocare i tempi dell’epopea (si fa per dire) sul fiume Cernaia. Chissà da chi l’ha imparato visto che lui non era presente a quella battaglia e in quel momento.

Si racconta che proprio per una canzone, nell’inverno 1944/45, dovette subire un “avvertimento” da parte di una pattuglia di soldati fascisti irritati dai versi di una sua canzone che sembrava essere un invito ai soldati della Wehrmacht , che passavano di lì in quel momento, per lasciare l’Italia. “Torna al tuo paese/che è così bello/torna alla tua fattoria/torna a cantare” ripeteva il ritornello che non era altro che la preghiera di un amante alla sua amata scomparsa. Per questo Bandera ricevette da lui un avvertimento e, forse, anche un’iscrizione nel “Repertorio dei sovversivi”.

Con Bandera, seduto sulla scalinata che dal portico della cattedrale scende alla piazza, ho trascorso un paio d’ore in un tardo pomeriggio. Con una ciambella stantia e secca, non più adatta alla vendita ma che conservava ancora un po’ dell’originaria bontà di quando il calore residuo del forno evaporava fragrante e fumante, per allontanarmi il ragazzino, il padrone mi mandò al quadrato per sbriciolare il dolce per dare da mangiare ai piccioni ma, soprattutto, per far divertire il bambino. Siamo nel 1947/’48, la guerra era appena finita, c’era ancora la tessera annonaria per il pane in quota, anche se già si profilava un doppio mercato tollerato per sostituire, o dargli una parvenza di legalità, quello che fino a poco tempo fa era stato la “borsa nera”. Dare il dolce ai piccioni mi sembrava un insulto a quelli come me e la storia di quel signore che scese da cavallo per raccogliere da terra una briciola di pane, me la raccontò mille volte perché potessi ben comprenderla e Ricordo a memoria futura che nulla del cibo era sprecato, mi rotolava in testa. Bandera si è subito seduto accanto a me, forse mi ha chiesto un pezzo di quella bontà. A poco a poco, mentre il bambino sbriciolava lentamente una piccola parte a beneficio degli uccellini, io e Bandera finimmo il dolce, lasciando ciò che era rimasto agli uccellini. La gravità della Terra attirava verso se stessa. Ritornando al negozio, ci venne incontro il padre della bambina, ansioso di sapere come se la cavava con i piccioni e se a loro era piaciuto: “ha mangiato tutto con Bandera” gridò rabbiosamente il ragazzino, indicandomi con l’indice accusatorio, iniziando il suo solito interminabile piagnucolio senza lacrime. Lamentoso come sempre, cercò consolazione tra le braccia affettuose di suo padre che lo compensò lanciandomi uno sguardo feroce.

Dopo qualche settimana ho cambiato lavoro, allontanandomi dalla piazza. Di Bandera, compagno co-protagonista di quel picnic pomeridiano, cantore di guerre lontane dai più distratti, ormai dagli avvenimenti appena trascorsi, non sapevo più nulla.

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