La nave della ONG bloccata per 7 anni non era un “taxi del mare” – .

“Il fatto non esiste.” Tradotto, i famigerati “taxi del mare” non c’erano. La sentenza del gup di Trapani Samuele Corso ha così chiuso il dibattimento sul caso Iuventa, senza nemmeno aprire la fase dibattimentale. I membri dell’equipaggio della nave della ONG Jugend Rettet sono stati accusati insieme ad altre persone di MSF e Save the Children di aver favorito l’immigrazione clandestina. Ma la lunghissima e travagliata fase dedicata all’udienza preliminare (costata allo Stato circa 3 milioni di euro) non ha portato ad alcun rinvio a giudizio per i 10 imputati. Inoltre, è stata la stessa Procura di Trapani, constatata l’assenza di prove sostanziali e la scarsa attendibilità dei testimoni stessi, a chiedere di non procedere oltre. Anche il Viminale, che si era costituito parte civile, si è ritirato dal processo, rimettendosi alla decisione del giudice.

L’indagine, avviata nel 2016, è durata 4 anni: si basava sul racconto di alcuni addetti alla sicurezza a bordo della nave Save the Children, che avevano rivelato agli uomini dei servizi segreti come, in almeno tre occasioni, le ONG si fossero accordate con esseri umani trafficanti, simulando situazioni di emergenza inesistenti e addirittura restituendo le imbarcazioni ai trafficanti. Le indagini sono state poi estese a MSF e Jugend Rettet. In quel periodo il governo Gentiloni varò il “codice di condotta” per le ONG coinvolte nel salvataggio in mare. L’organizzazione tedesca ha bollato il documento come una vera minaccia per chi opera nel Mediterraneo e si è rifiutata di firmarlo. La Iuventa venne sequestrata nell’agosto del 2017, ed è rimasta in quelle condizioni fino ad oggi. Ora, corrosa dalla salsedine e addirittura vandalizzata, è una carcassa inutilizzabile. Alcuni giornali dell’epoca titolavano addirittura in prima pagina “Patto tra ONG e trafficanti”. Ora i giudici hanno stabilito che l’accusa era talmente infondata che non c’era nemmeno bisogno di andare a processo. Ma il danno resta.

«Un’odissea durata sette anni. Dopo due anni di oltre 40 udienze preliminari, questo caso si conferma il procedimento più lungo, costoso e più grande contro le ONG di ricerca e salvataggio, un esempio emblematico dei grandi sforzi compiuti dalle autorità per criminalizzare l’immigrazione” spiegano da Jugend Rettet. Pur “accogliendo favorevolmente” la sentenza del gup di Trapani, l’equipaggio della Iuventa esprime “grande disappunto per il danno irreparabile arrecato dalle indagini e dal processo”. Non c’è però tempo per crogiolarsi nell’amarezza, i volontari pensano già a tornare in mare “per riprendere al più presto le missioni di salvataggio”.

L’avvocato Alessandro Gamberini, legale della Ong tedesca, osserva che “questo processo è una delle origini del male, della diffamazione delle Ong, spesso accusate di essere complici dei trafficanti”. Invece «la formula di assoluzione dice che non c’era nulla, mancava la condotta materiale. I fatti non sono stati provati e non erano dimostrabili come abbiamo sostenuto con le richieste di archiviazione della Procura”.

Sollievo e senso di vendetta anche da parte delle altre due Ong. «È un momento importante per tutto il mondo dell’aiuto umanitario, perché viene restituita giustizia alle attività di soccorso e ai tanti operatori impegnati a salvare vite umane» ha commentato Rafaela Milano, portavoce di Save The Children. «Questa frase – ha proseguito – restituisce il senso di un lavoro colpito da accuse ignobili e segna un passaggio fondamentale perché ci dice che il salvataggio in mare non può essere messo in secondo piano. Speriamo solo che si apra una nuova fase per tutta l’Europa”.

Medici Senza Frontiere si toglie un sassolino dalla scarpa: «Dopo sette anni di false accuse, slogan diffamatori e una palese campagna di criminalizzazione delle organizzazioni coinvolte nel salvataggio in mare, cade la maxi-indagine avviata dalla Procura di Trapani nell’autunno 2016, il prima della triste epoca della propaganda che trasformava i soccorritori in “taxi del mare” e “amici dei trafficanti”. MSF definisce l’indagine come “un mastodontico sistema accusatorio basato su accuse, intercettazioni telefoniche, false testimonianze e un’interpretazione deliberatamente distorta dei meccanismi di salvataggio per presentarli come atti criminali”. La sentenza pone un punto fermo da cui ripartire. «Ora bisogna lavorare affinché aiutare la vita sia universalmente visto come un valore da difendere» ha sottolineato Serena Chiodo, attivista di Amnesty International.

 
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