‘Privatizzazione del Casinò di Venezia, una strada suggerita e resa impraticabile’ – .

‘Privatizzazione del Casinò di Venezia, una strada suggerita e resa impraticabile’ – .
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La Regione Valle d’Aosta riflette sulla migliore gestione possibile per il Saint Vincent Resort & Casino al termine del periodo di convenzione, che scade alla fine del 2024. E lo fa sulla base dello studio che l’anno scorso aveva commissionato alla sua finanziaria regionale Finaosta, che a sua volta aveva poi affidato l’incarico a Ernst&Young. La stessa società di consulenza che, facciamo un passo indietro di circa dieci anni, aveva effettuato uno studio per conto diIl Comune di Venezia, la cui amministrazione comunale, allora guidata dal sindaco Giorgio Orsoni, stava cercando di capire come risollevare le sorti del casinò comunale.

Lo studio valdostano è pronto ed è già stato presentato al consiglio regionale guidato da Renzo Testolin, governatore che in Consiglio Valle, rispondendo ad una domanda dei consiglieri del Rassemblement Valdotain, è stato lungi dall’anticipare quali saranno le conclusioni dello studio stesso , sottolineando che il primo esame “sarà fatto dal Consiglio” e solo dopo si potrà essere più esaustivi e avviare un dibattito, anche politico, che si preannuncia lungo. Ma certo, se ascoltavamo la stampa valdostana che aveva fornito ampie anticipazioni dello studio (e proprio queste anticipazioni avevano portato i consiglieri dell’opposizione a interrogare il governo regionale sulla loro veridicità nonché sull’opportunità di leggere nei notizie di giornale che dovrebbero essere apprese per vie più istituzionali), sembra possibile concludere che l’indicazione data è quella di procedere sulla strada della privatizzazione del management, già percorsa in passato in Valle d’Aosta.

In attesa della conferma in Valle d’Aosta, questo è più che certo Ernst&Young aveva consigliato all’amministrazione Orsoni, nel 2012, di provare a privatizzare il Casinò, tentativo che due anni dopo, dopo due gare infruttuose, venne definitivamente dichiarato fallito. Per indire le gare, l’amministrazione comunale aveva anche provveduto a scorporare la “vecchia” società di gestione, creando il cosiddetto Casinò immobiliare comunale di Venezia Spa, direttamente controllato dal Comune, e quello “di gioco”, il Casino di Venezia gioco Spa, controllata direttamente da Cmv e nella quale erano confluiti tutti i dipendenti: proprio quest’ultima aveva tentato, per due volte, di trovare un privato che la gestisse.
Poi, come detto, il tentativo gestionale era decaduto, erano subentrate altre vicende estranee al Casinò e la nuova amministrazione guidata da Luigi Brugnaro (che è al secondo mandato) aveva ereditato le due società, che continuarono entrambe ad esistere fino al 2023, quando si è perfezionata la fusione inversa tra Cdv Gioco Spa e Cmv Spa, che ha quindi cessato di esistere, portando in “dote” alla sua vecchia controllata un piccolo credito d’imposta maturato nei confronti dell’Agenzia delle Entrate.

Un contesto storico e geografico diverso, quello veneto rispetto a quello valdostano. Potrebbe però essere interessante sentire, dalla voce del suo primo promotore, quali siano state le ragioni che avevano spinto il Comune di Venezia a voler privatizzare il proprio Casinò.

Giurista e politico, Giorgio Orsoni è stato sindaco di Venezia dal 2010 al 2014 per il Partito Democratico e, dichiarando l’intenzione di tenersi lontano da ogni polemica postuma e dal dibattito che si appresta ad aprirsi in Valle d’Aosta, descrive cosa accadde in laguna ormai dieci anni fa.
“La situazione allora era completamente diversa da quella odierna. All’epoca in cui entrai in carica nel mio consiglio, il casinò municipale era quasi in stato di bancarotta. Avrei dovuto portare i libri in tribunale ma non l’ho fatto per beneficenza verso il mio Paese. Quindi, abbiamo cercato di fare il possibile per salvarlo. È quello che ci ha suggerito il noto consigliere Ernst & Young, che aveva visto nel processo di privatizzazione della direzione un modo per salvare la situazione”, dice.
Orsoni precisa inoltre che il Casinò Municipale di Venezia “non è stata una cattiva azienda ma quanto previsto nell’ambito di un lavoro di razionalizzazione dell’azionariato pubblico. Ernst&Young ci aveva detto che la privatizzazione dei giochi del Casinò di Venezia era la soluzione migliore e infatti avevamo ricevuto dei feedback. Poi però il processo non è andato avanti”.

Quali sono i motivi principali per cui l’obiettivo non è stato raggiunto?

“Innanzitutto abbiamo riscontrato una fortissima opposizione da parte dei sindacati, che all’epoca godevano di situazioni molto privilegiate e questo era uno dei problemi maggiori. Tuttavia avevo incontrato opposizione anche all’interno della mia stessa maggioranza. Poi c’è stato anche il Viminale che non ha visto di buon occhio la vicenda. Una delle sue maggiori preoccupazioni era la possibile mancanza di efficacia dei controlli, anche nei confronti del manager. Considerato il clima difficile, l’unico investitore che si era fatto avanti alla fine ha pensato che fosse meglio ritirarsi. Erano tempi in cui i bilanci dei Comuni erano fortemente penalizzati dal Patto di stabilità: oggi la situazione è lontana anni luce e sarebbe molto difficile fare un paragone con allora”.

Al di là dei paragoni che si possono fare tra allora e oggi, tra la situazione veneta e quella valdostana, va sottolineato che all’estero la gestione privata è quasi la norma…

“Il suggerimento di Erns&Young è arrivato perché la linea della mia amministrazione comunale era quella di allontanarsi da un sistema di partecipazione pubblica. Generalmente. Il Casinò era un aspetto. Ci tengo però a precisare che non volevamo “sbarazzarci” del Casinò. Sarebbe rimasto comunque di proprietà del Comune, ma con gestione privata”.

Un’operazione mirata ad avere dei vantaggi: “Vantaggi che erano evidenti. Innanzitutto la privatizzazione da un lato avrebbe dato liquidità alle casse comunali, dall’altro avrebbe reso possibile una gestione più economica e razionale del Casinò. Così come sanno fare i privati”.
Nel dibattito sul gioco d’azzardo degli ultimi anni l’attenzione si è spesso concentrata sul tema della legalità e del Gap, ritenendo talvolta che i casinò, rispetto ad altre location, siano luoghi più controllati e sicuri, anche grazie alla loro proprietà pubblica. La gestione privata avrebbe messo a repentaglio questa funzione? “All’epoca uno dei motivi della crisi dei casinò, e di quello di Venezia nello specifico, era rappresentato dall’espansione delle slot e dei punti gioco che lo Stato aveva voluto favorire in modo assolutamente folle. Decisamente diversa la gestione del gioco da parte dei casinò che, di fatto, rappresentano un freno alla dipendenza dal gioco. Non so dirvi se con un privato le cose andrebbero diversamente, ma naturalmente tutto dipende dal rapporto con la proprietà”.

Secondo lei, qual è teoricamente il momento “buono” per privatizzare un’azienda? Quando va bene o quando va male?

“Non sono né un esperto d’impresa né un economista ma credo che dobbiamo valutare caso per caso la situazione contingente e gli obiettivi che vogliamo perseguire. All’epoca il Casinò non andava bene e cercavamo di trovare un modello che lo facesse andare meglio. Allora ogni considerazione è legittima. D’altronde la nuova gestione del Casinò di Venezia, quella che venne dopo, è stata possibile anche perché le due società erano state scorporate”, conclude Orsoni.

Tag: Orsoni Privatizzazioni Venezia Casinò percorso suggerito percorso impraticabile

 
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