La mostra di Jannis Kounellis al Museo Novecento Firenze – .

Non tendi mai a pensarci Jannis Kounellis come un pittore. Eppure, l’artista nato al Pireo, in Grecia, nel 1936 e morto a Roma nel 2017, parlava di sé e si definiva in questo senso. “Negli anni ’60 mi chiamavano artista perché non sapevano come chiamare un mucchio di carbone. Ma io sono un pittore e rivendico la mia iniziazione alla pittura. Poiché la pittura è costruzione di immagini, non indica una maniera e nemmeno una tecnica”, scritto e un’interessante mostra al Museo Novecento Firenze con la direzione artistica di Sergio Risaliti e la curatela di Dieter Schwarzun curatore indipendente di Zurigo, mette nero su bianco questa posizione, esponendo un corpus di un centinaio di disegni realizzati tra il 1973 e il 1990.

La mostra all’Aia curata da Rudi Fuchs

Proprio all’inizio degli anni ’90 il curatore di Eindhoven Rudi Fuchs ha esposto al Gemeentemuseum Den Haag dell’Aia, di cui è stato direttore fino al 1993, la serie che ora è a Firenze, prendendone il titolo, La stanza vede. La mostra che, come spiega Schwarz nel suo testo, si è svolta contemporaneamente ad una personale dedicata al maestro ad Amsterdam per poi viaggiare in Inghilterra e successivamente a Barcellona, ​​con l’obiettivo di offrire uno sguardo diverso sull’opera del pozzo -noto artista dell’Arte Povera, la sua qualità tecnica, la capacità di fissare le idee con inchiostro, matita e carboncino su carta, con un gesto rapido e abile. Ma al di là di ciò, le opere, scelte dallo stesso Kounellis, offrono un identikit più ampio della pratica dell’artista, complementare alle sue opere più note.

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L’inedito Kounellis nei disegni di Firenze

La carta viene trattata come un materiale da plasmare. Il fascino per l’arte classica, per la grande storia dell’arte italiana e per il Rinascimento, di cui Firenze fu culla, che si interseca con le origini greche dell’artista, emergono nella limpidezza del foglio bianco, nei volti appena sbozzati dei le maschere che galleggiano lì. “Molte lenzuola»spiega Risaliti, “sono caratterizzate da vere e proprie prime prove progettuali: al centro del foglio Kounellis delinea rapidamente la sagoma di una lastra su cui appendere cappotti, strumenti musicali, oppure, in una rigorosa costellazione di mensole, ciottoli anneriti, sacchi di iuta riempiti di carbone , legno tinto nero. In alcuni casi il rapido intreccio dei segni lascia emergere oggetti o tracce minime, ombre, impronte oscure, boccioli di future creazioni”.

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Jannis Kounellis, La stanza vede, veduta dell’installazione, Museo Novecento Firenze, Courtesy Museo Novecento e L’artista, foto Era Bialkowska Okno Studio

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Jannis Kounellis, La stanza vede, veduta dell’installazione, Museo Novecento Firenze, Courtesy Museo Novecento e L’artista, foto Era Bialkowska Okno Studio

Jannis Kounellis, La stanza vede, veduta dell'installazione, Museo Novecento Firenze, Courtesy Museo Novecento e L'artista, foto Era Bialkowska Okno Studio 3/3

Jannis Kounellis, La stanza vede, veduta dell’installazione, Museo Novecento Firenze, Courtesy Museo Novecento e L’artista, foto Era Bialkowska Okno Studio

Architettura, teatro e spazio nell’arte di Kounellis

Ma quella che Risaliti definisce giustamente un’arte “oracolare” non è un’arte di rappresentazione, ma di presentazione. Non contano quindi i soggetti, i volti, le lunette, le macchie di colore biomorfe, i volumi quasi surrealisti che sembrano addirittura emergere dai sogni, quanto piuttosto la gestione dello spazio nella sua interezza. E i disegni chiariscono anche quella tensione verso il teatro, già ribadita dalla drammaticità delle sue installazioni, che caratterizza la pratica del maestro, non a caso studente di scenografia negli anni Sessanta, insieme ad artisti come Pino Pascali sotto la guida di un insegnante come Toti Scialoja. Ed è qui che alcuni tavoli si presentano come quinte scenografiche, come quadri che aprono tende o finestre che ricordano Giotto. Con fughe verso l’esterno che si protendono verso l’infinito, Kounellis si dimostra un abile architetto della pittura. D’altronde, per dirla con le sue stesse parole, riportate in mostra, rivendicando la libertà intellettuale dell’artista”ogni pittore ha le proprie visioni e i propri mezzi di costruzione dell’immagine ed è ridicolo il luogo comune che associa la parola pittore all’arte tradizionale e la parola artista ad un ruolo anarchico, modernista e sperimentale. Jackson Pollock è stato un pittore che ha reinventato epicamente lo spazio americano”.

Santa Nastro

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