Cremona Sera – Declassificati i documenti Usa, così funzionò la censura americana sui giornali cremonesi dopo l’aprile 1945. Richieste di “si prega di stampare”

Ancora una puntata sugli straordinari documenti sulla storia di Cremona provenienti dagli archivi declassificati del Comando americano in Italia nel 1945. Questa volta parliamo di come funzionava la censura sui giornali. Tutti quelli che scrivevano dovevano essere registrati. E ogni giornale doveva essere autorizzato alla stampa. Anche l’Eco del Popolo la regia di Emilio Zanoni aveva bisogno della “stampa”. La ricerca è di Marco Bragazzi.

“Cosa posso fare se il nostro giornale ti è stato confiscato due volte!Franco Simonini se la prende con il collega editoriale Silvio Magnozzi; È una vita difficile quella del film interpretato da Alberto Sordi alias Magnozzi, una vita difficile quella dei giornalisti ai tempi del Governo Alleato, “Una vita difficile” è il titolo del film diretto da Dino Risi.

Nella tarda primavera del 1945 a Cremona riprendeva a respirare una stampa che non era soltanto legata al ventennio precedente; i giornali cominciano di nuovo a comparire bene nelle edicole e nelle case ma, nonostante gli anni di apnea forzata, il Governo alleato in città comincia subito a frapporre ostacoli all’informazione. Il rinato libero accesso alle pubblicazioni non era poi così libero, la stampa locale era, secondo il Governo alleato, uno dei punti fermi su cui non erano ammesse deviazioni; decisero gli Alleati e scrissero i giornalisti, non era consentito un cambiamento fuori dalle regole, l’invasività dei militari sulla carta stampata era chiara ed evidente. Un giornale per essere pubblicato doveva passare sotto le forche caudine, il diritto all’informazione si basava, soprattutto per la stampa locale, sulla schedatura di ogni singolo lavoratore legato ad un periodico. Dal direttore, passando per i tipografi, ai fotografi fino alle segretarie, vigevano regole ferree, in pratica tutti coloro che scrivevano o lavoravano in una redazione dovevano essere registrati, secondo la logica di poter identificare immediatamente eventuali persone. responsabile di articoli, o immagini, non conformi ai dettami voluti dal Governo. Esclusi, per ragioni di età, i cosiddetti “biondini”, ragazzini che, per pochi soldi, correvano in redazione o in giro per la città con fazzoletti in mano per iniziare un articolo o informare il tipografo. Il filtro iniziale, a partire dal maggio 1945, di ogni nuova avventura nel mondo dell’editoria era rappresentato da una richiesta, che non prevedeva eccezioni, legata alla pubblicazione di un giornale.

Anche Emilio Zanoni, futuro sindaco di Cremona, ha dovuto presentare il regolare modulo, con allegate le schede di ciascun dipendente, per poter tornare a proporre in edicola il settimanale “Eco del Popolo”, l’organo di stampa del Partito Socialista Italiano. Ma per tutti i periodici, legati o meno a un partito, valeva questa regola: il foglio di presentazione doveva contenere anche l’indirizzo di casa di tutti i responsabili, perché i giornalisti dovevano essere a disposizione in caso di problemi con i loro articoli. A scanso di equivoci, come se la sola archiviazione non bastasse e pur avendo chiarito ogni singolo dettaglio, sulla richiesta editoriale dovevano figurare anche i chilogrammi di carta destinati alla stampa del periodico. Il metodo cartaceo era molto semplice, e come tutte le cose semplici si è rivelato estremamente efficace, per sfruttare al meglio una forma di controllo; ogni copia stampata aveva una grammatura specifica, quindi il peso totale di una tiratura era facilmente calcolabile, se il consumo di carta aumentava troppo c’erano due possibilità, o era stato prodotto un periodico senza autorizzazione oppure la carta era stata venduta al mercato nero. In ogni caso il giornale sarebbe venuto a conoscenza del processo di sospensione delle pubblicazioni; incendi, allagamenti o problemi alle macchine da stampa non erano, molto astutamente, previsti dato che le richieste di carta da stampa dovevano ancora passare per gli uffici governativi. L’esigenza primaria dei burocrati era chiara, era avere una visione chiara dei contenuti e delle persone che li avevano creati, un modo diretto per gestire l’informazione e, secondo la loro logica, l’opinione pubblica. In una sorta di paranoica, e forse sopravvalutata, potenza degli strumenti di comunicazione che gli Alleati avevano trasferito il concetto di propaganda bellica anche a guerra finita, le autorizzazioni legate alla stampa locale dovevano essere autorizzate sia dal Comando Generale di Roma che da quello locale di Cremona perché Ovviamente i soldati di stanza a Cremona avevano una visione dei cremonesi molto più chiara anche di quella di alcuni ufficiali di Roma. La città di Cremona, nel maggio del 1945, si stava riappropriando dei suoi spazi, sia dal punto di vista edilizio che sociale, una pluralità di offerte informative era la base per ritrovare quel respiro che per decenni le era stato negato, un respiro che però era ancora gestito da una prospettiva più riduttiva che aperta. Silvio Magnozzi e i suoi articoli avevano sperimentato in prima persona quello che il Governo alleato aveva definito Proclamation No. 3, in pratica una legge, se così possiamo chiamarla, che dava agli Alleati il ​​diritto di intervenire su qualsiasi periodico bloccandone la pubblicazione. diffusione o, addirittura, messa in stampa, con conseguenze che potrebbero andare dalla sospensione editoriale all’arresto del direttore e dei suoi collaboratori. Silvio Magnozzi lavorava per un giornale romano ma, nel 1945, anche a Cremona alcuni giornali furono bloccati per articoli non proprio in linea con i dettami voluti dal governo provvisorio. Una vita difficile sicuramente, altrimenti non sarebbe vera stampa e vera informazione.

 
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