«Dovrebbe essere costruito a venti chilometri da Pozzuoli» (AreaNapoli) – .

«Dovrebbe essere costruito a venti chilometri da Pozzuoli» (AreaNapoli) – .
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Giuseppe Mastrolorenzovulcanologo e ricercatore di spicco dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), ospite fisso di canali televisivi scientifici come National Geographic e Discovery Channel, è stato intervistato da AreaNapoli sul tema della possibilità di costruire un impianto sportivo di impatto a Bagnoli, come annunciato dal presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis.

Il primo punto è stabilire la pericolosità della zona dei Campi Flegrei: « Si tratta di una grande caldera in grado di generare eruzioni decine di volte più potenti del Vesuvio, anche quella che distrusse Pompei, coinvolgerebbe – secondo l’attuale piano di emergenza – circa 500mila persone ma in base alle evidenze vulcanologiche e alle simulazioni numeriche – mie e altri esperti – potrebbe colpire l’intera popolazione residente nell’area metropolitana di Napoli. Quindi almeno 3 milioni di persone”

Se davvero insistessimo per costruire un nuovo stadio in zona rossa, quali sarebbero i criteri costruttivi da adottare?

«La struttura, per le sue caratteristiche, deve essere sicuramente antisismica, ma in pratica tutti gli stadi se ben costruiti lo sono, essendo anelli di cemento armato e acciaio, con grande elasticità, ma un impianto ai Campi Flegrei andrebbe costruito in in modo tale da non essere influenzato dall’effetto cumulativo di diverse migliaia di shock in un lungo periodo di tempo. Il problema fondamentale però è che uno stadio comporta comunque un aumento del rischio dovuto alla concentrazione di decine di migliaia di persone, con tutte le conseguenze che ne possono derivare”

E allora cosa accadrebbe se a Bagnoli si costruisse uno stadio?

«Nell’ipotesi di realizzazione di un impianto a Bagnoli, anche se ben realizzato e capace di resistere a fenomeni bradisismici, si concentrerebbe una concentrazione di oltre 100mila persone, una quantità pari agli abitanti dell’intero comprensorio di Bagnoli-Fuorigrotta, nella zona rossa dei Campi Flegrei, e in particolare in quella stretta, a causa del rischio bradisismico. Ecco perché, anche se per poche ore settimanali, si raddoppia la popolazione, nonché il numero dei veicoli parcheggiati e circolanti, e quindi si creerebbe un pericolo in caso di emergenza sismica o vulcanica per il possibile intralcio ai soccorritori ed eventuali evacuazioni. Tra l’altro si tratta anche di una zona “embedded”, con traffico spesso congestionato nelle ore di punta e quindi di difficile evacuazione, mentre Fuorigrotta è già fuori dalla zona rossa bradisismica ed è immediatamente collegata alle principali arterie stradali e autostradali. Inoltre, la giusta destinazione per l’area ex Italsider di Bagnoli è quella di un parco urbano, che tra l’altro potrebbe essere utile come area di attesa a supporto delle attività di protezione civile per l’evacuazione della popolazione in caso di crisi, anche attraverso i possibili approdi presenti in quella zona e, quindi, la costruzione dello stadio costituirebbe un ostacolo a tali attività”

Un altro fattore potrebbe essere il panico nei momenti di emergenza, ovviamente lei stesso ha riferito che gli stadi ben costruiti sono in grado di resistere ai terremoti, ma il panico può comportare grandi rischi?

«Per questo, però, è sempre opportuno chiedere la massima calma durante le scosse e gli eventuali deflussi, seguendo le procedure di evacuazione stabilite, al fine di evitare sovraffollamenti sia sugli spalti che sulle scale e possibili gravi conseguenze. In sostanza costruire uno stadio in quel quartiere è sicuramente sconsigliabile”

Lo Stadio San Paolo (oggi Maradona) resistette bene al disastroso terremoto del 1980 che però nel napoletano si manifestò in modo molto meno intenso che nelle zone epicentrali, nonché all’intera crisi bradisismica dei primi anni ’80.

«Ha resistito a tutte le fasi bradisismiche di quel periodo. Inoltre, durante le partite in cui hanno giocato Maradona, Careca e compagni, sono state rilevate le accelerazioni generate dalle fasi più intense del tifo degli spettatori sugli spalti, poiché molti abitanti del quartiere si sono spaventati per le ripetute vibrazioni. Sono stati condotti studi sulla microsismicità, evidenziando che durante le partite in trasferta si registrava una particolare calma sismica, mentre giocando nel Napoli si registrava una magnitudo fino a 2 gradi Richter o superiore, in particolare nella zona di Fuorigrotta, con epicentro lo stadio. Ciò suggerisce che il tifo abbia generato stress simili a un terremoto. Questa situazione ovviamente si è riscontrata anche nello scorso campionato”

Saliamo a bordo di un’ideale macchina del tempo e torniamo agli anni Cinquanta, insomma prima dell’aprile 1952, inizio dei lavori su “Maradona”. Avresti ritenuto opportuna la costruzione dello stadio, sulla base delle conoscenze e dei dati vulcanologici in tuo possesso all’epoca?

«C’era una conoscenza limitata del rischio vulcanico dei Campi Flegrei e, soprattutto, quella zona era considerata relativamente fuori dalla zona congestionata della città. Già in epoca fascista venne costruita la Mostra d’Oltremare, comprendente attività sportive e ricreative, mostre ed eventi vari e si ritenne un luogo adatto per la costruzione dello stadio. Oggi, alla luce delle nuove conoscenze, se si dovesse costruire un altro impianto, sarebbe più prudente realizzarlo ad esempio a nord di Napoli e dei Campi Flegrei, nel casertano, insomma fuori dalla zona ad alto rischio. Nella situazione attuale, non sarebbe stato costruito uno stadio nel mezzo di un’area urbanizzata e in un’area a rischio vulcanico e bradisismico, cosa che esiste ma potrebbe essere considerato ragionevole – come accennato in precedenza – utilizzare lo stadio già esistente o una possibile nuova struttura fuori dalla zona rossa”

Sapendo che ti sto assillando con questa domanda, secondo te esiste un’area… o meglio, meglio se me ne puoi indicare più d’una, nella zona di Napoli, oltre a Caserta, in cui costruire un nuovo stadio?

«La valutazione è di carattere urbanistico, ma per quanto mi riguarda dovrebbe essere realizzata in zone poco abitate e, soprattutto, lontano dalla zona calderica, ovviamente a nord, ad almeno una ventina di chilometri da Pozzuoli. Ad esempio – ulteriormente, come ho comunicato, nella pianura casertana – nell’Acerrano, ma è compreso nelle valutazioni urbanistiche. Per quanto riguarda il rischio vulcanico, le aree idonee dovrebbero essere a nord del bordo calderico – poiché a est c’è l’area urbana napoletana e la zona rossa vesuviana –, essenzialmente, in aree che non presentano rischi sismici e vulcanici specifici, se non quelli comuni a tutta l’area napoletana. Certo, nell’Appennino Sannio potrebbero verificarsi terremoti, ma per questo non c’è molto da fare, anche se uno stadio, in genere, non subisce danni anche in caso di forti scosse.

Ma un’arena di calcio in un’area meno densamente popolata consentirebbe un’evacuazione più sicura degli spettatori. Se, ad esempio, quella sera del 23 novembre 1980 il Napoli avesse giocato in casa (era in trasferta a Bologna, ndr), l’unico fattore di rischio sarebbe stato il panico. Anche se gli stadi possono resistere a forti terremoti, l’area napoletana, escludendo ovviamente i Campi Flegrei e il Vesuvio, non è considerata zona sismogenica per grandi terremoti, quindi le accelerazioni prodotte dai terremoti sono molto meno intense che nelle zone epicentrali appenniniche”

In conclusione, dal tuo punto di vista personale, è meglio avere un “Maradona” rinforzato o un nuovo stadio nelle zone che mi hai indicato?

«Dipende dalle risorse economiche a disposizione. Il rafforzamento dello stadio Maradona potrebbe essere una soluzione accettabile, ma considerando che si trova in zona rossa sarebbe prudente esplorare anche una prospettiva futura che minimizzi il rischio. Poiché per i Campi Flegrei, a differenza dell’area vesuviana, è stata stabilita una legge di divieto di edificazione, in teoria non si dovrebbe fare alcuna ulteriore costruzione, ma piuttosto, almeno nel lungo termine, ridurre il carico antropico e, soprattutto, evitare altre aree di eccessiva densità di popolazione”

 
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