La confessione di Wojtyla, microfoni per registrare “atti carnali”, acido fenico – .

La confessione di Wojtyla, microfoni per registrare “atti carnali”, acido fenico – .
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DiGian Guido Vecchi

Sono trascorsi venticinque anni da quando Padre Pio salì sugli altari, benedetto nel 1999 e poi, nel 2002, santo. Eppure ci sono scaffali di libri in cui la sua immagine continua ad alternarsi con i sospetti che lo hanno perseguitato per tutta la vita, anche e soprattutto all’interno della Chiesa: tutta la storia, dall’inizio

CITTÀ DEL VATICANO – Tutto sommato, il miracolo più sorprendente Padre Pio è la capacità di sfuggire ad ogni schema, di rompere allegramente ogni griglia interpretativa.

Prova ad immaginare, da un lato, un frate contadinoun francescano che da bambino non aveva potuto fare studi regolari perché lavorava la terra dei genitori a Pietrelcina, sulle colline beneventane, alla fine dell’Ottocento, e già allora si sentiva combattere con il Maleuna lotta dolorosa sostenuta per decenni da una fede granitica e truce, per alcuni arcaica o antimoderna, stimmate e bilocazioni, guarigioni e precognizioni inspiegabili, profumo di gigli o di rose e febbre a 48 gradi, dialetto e mistero.

E dall’altra parte cardinale domenicano poliglotta e cosmopolitarampollo di un’antica famiglia dell’aristocrazia boema, finissimo teologo con studi nella natia Vienna, alla Sorbona di Parigi e a Ratisbona, forse il miglior allievo di Joseph Ratzinger, uno che cita con lo stesso Tommaso d’Aquino, Kierkegaard o Wittgenstein naturalezza.

Qui, quando il cardinale Christoph von Schönborn riuscì finalmente a ritornare sul Gargano, a San Giovanni Rotondo, ricordava ancora la volta in cui a sedici anni aveva assistito ad una celebrazione di quell’uomo ormai anziano: «Non ho mai visto nessuno, né prete, né vescovo, né Papa, celebrare la Messa come faceva Padre Pio: non come rito, ma come realtà… Indimenticabile è il momento della Consacrazione: Cristo stesso offerto nelle sue mani. Per tutta la Chiesa è stato e resta un grande dono. In questa Europa un po’ indebolita nella sua vita cristiana, è una fonte alla quale ancora si beve”.

Non che adesso sia tutto tranquillo, anzi. Sono trascorsi venticinque anni da quando salì sugli altari, benedetto nel 1999 e poi, nel 2002, santo. Eppure ci sono scaffali di libri in cui l’immagine del santo più amato del Novecento, venerato da milioni di persone in tutto il mondo, continua ad alternarsi con sospetti che lo hanno perseguitato per tutta la vita, anche e soprattutto all’interno della Chiesa.

Francesco Forgione non ha avuto una vita facile. Nato nel 1887, il 25 maggio, era entrato come novizio tra i Frati Minori Cappuccini a sedici anni e ne aveva trentuno quando, il 20 settembre 1918, apparvero le stimmate che segnerà il suo corpo per mezzo secolo, suscitando devozione e disprezzo incondizionati.

Quando Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato il 2 maggio 1999, ha ricordato “le prove che dovette sopportare in conseguenza, si direbbe, dei suoi singolari carismi: nella storia della santità capita talvolta che il prescelto, per speciale permesso di Dio, sia oggetto di incomprensioni”. Wojtyla non poteva dire di più agli oltre trecentomila fedeli che riempivano piazza San Pietro, via della Conciliazione e perfino piazza San Giovanni in Laterano, anche perché molte delle “incomprensioni” erano state causate dai suoi predecessori.

Padre Pio fu indagato cinque volte dal Sant’Uffizio. È stato sottoposto a perquisizioni, interrogatori, intercettazioni telefoniche, restrizioni e divieti di celebrare messe in pubblico. Pio XI e Giovanni XXIII lo guardavano, per così dire, con sospetto. «Un falso mistico, una truffa colossale», tuonava ancora nel 1961 il domenicano francese Paul-Pierre Philippe, poi vescovo e cardinale, inviato da papa Roncalli a interrogare il vecchio frate settantaquattrenne, «uno sfortunato prete che si approfitta di sua fama di santo per ingannare le sue vittime”, al punto da scrivere nella relazione al Sant’Uffizio che si trattò della “truffa più colossale della storia della Chiesa”.

Avevano anche praticato dei buchi nei muri delle stanze dove Padre Pio riceveva le persone per posizionare microfoni e registrare “il suono dei baci”, accusandolo di “atti carnali” con i fedeli, e il vecchio frate dovette difendersi: “Io non ho mai baciato una donna in vita mia, anzi dico davanti al Signore che non ho dato baci nemmeno a mia madre”.

Papa Giovanni temeva “un immenso inganno”, una “disastro delle anime”, come annota nei diari del 1960, ma si dice che si lasciò poi convincere dal suo vecchio amico Andrea Cesarano, arcivescovo di Manfredonia, che gli spiegò come i fedeli baciassero effettivamente con devoto fervore le mani stigmatizzate del frate (“di chi è il mio guanto!”, lo sentiamo dire in una registrazione) e insomma era “tutta calunnia”. Pochi anni dopo la morte del frate, Paolo VI mise in dubbio la fama di Padre Pio con parole che erano già un riconoscimento: «Ma perché? Poiché diceva la messa con umiltà, si confessava dalla mattina alla sera, ed era il rappresentante stampato delle stimmate di Nostro Signore».

Karol Wojtyla non aveva mai avuto dubbi. Era un giovane sacerdote che studiava a Roma, quando nel 1947 si recò a San Giovanni Rotondo e si confessò a Padre Pio. Nacque la leggenda, smentita più volte da Giovanni Paolo II, che il frate avesse predetto la sua elezione a Papa e l’attentato ad Ali Agca, “non è vero nulla”. Ma per Wojtyla non era questo il punto. È curioso come la fama dei prodigi, più che da parte dei fedeli, fosse talvolta enfatizzata dai detrattori, per schernirla, o magari alimentata da chi sfruttava l’immagine del frate per affari di rotocalco o battaglie ideologiche.

Perché l’essenziale era altrovecome disse Giovanni Paolo II il giorno della sua beatificazione, attingendo alla propria esperienza personale: «Chi si recava a San Giovanni Rotondo per partecipare alla sua Messa, per chiedergli consiglio o per confessarsi, vedeva in lui un’immagine viva del Cristo sofferente e risorto» .

Tre anni dopo, il 16 giugno 2002, fu lo stesso Wojtyla a proclamarlo santo: in piazza c’era anche Matteo Pio, un bambino di nove anni che due anni prima era arrivato in condizioni disperate alla Casa Sollievo della sofferenza di San Giovanni Rotondo – l’ospedale fondato e inaugurato da Padre Pio nel 1956 -, un poche ore di vita come la diagnosi del medico, la meningite fulminante, l’arresto cardiaco, complicazioni in nove organi che dopo pochi giorni riprendono a funzionare finché il bambino si sveglia e dice «voglio il gelato»: l’inspiegabile guarigione, riconosciuta dalla Chiesa come un miracolo per intercessione dei beati, che portò alla canonizzazione.

Per i fedeli era santo da decenni. Tutto ebbe inizio in quella tarda estate del 1918, poche settimane prima della fine della Grande Guerra, nel convento di San Giovanni Rotondo, dove arrivò nel 1916 e dove sarebbe rimasto per tutta la vita. Padre Pio aveva segnato quel giorno: 20 settembre. Tre anni dopo dovette raccontarlo dettagliatamente agli inquisitori del Sant’Uffizio. Otto giorni di indagini e interrogatori del frate e dei suoi confratelli, nel giugno 1921. La messa, il tremore, la visione del Crocifisso.

«Ho sentito questa voce: ti associo alla mia Passione…E ho visto qui questi segni, da cui grondava sangue». Gli inquisitori gli chiesero di tutto: le febbri a temperature letali, i dolori e i combattimenti notturni con il diavolo, il profumo dei fiori, le bilocazioni che lo facevano stare in convento, disse, e insieme accanto al letto di un malato , “Non so come sia, né di che natura sia la cosa, né tantomeno gli do alcun peso, ma mi è capitato di avere in mente questa o quell’altra persona, questo luogo o quell’altro luogo ; Non so se la mente veniva trasportata lì o mi si presentava qualche rappresentazione del luogo o della persona, non so se ero presente con il corpo o senza corpo…”.

I fedeli avevano cominciato ad affluire sul Gargano, attratti dalla fama di santità. Le gerarchie osservate con sospetto. Un’autorità come padre Agostino Gemelli, frate minore francescano e medico, che nel 1921 aveva fondato l’Università Cattolica e l’anno prima era andato un giorno a incontrare Padre Pio, arrivò a scrivere al Sant’Uffizio che era “ uno psicopatico ignorante che induce all’automutilazione e procura artificialmente le stigmate per sfruttare la credulità delle persone”.

Anche gli inquisitori avevano chiesto informazioni al frate bottiglia di acido fenico che aveva ottenuto in farmaciagli stessi dubbi che lo storico Sergio Luzzatto avrebbe riproposto nella sua biografia del 2007. Ma già allora il frate aveva spiegato che nel convento si usava l’acido per disinfettare le siringhe, erano i mesi in cui la spagnola faceva strage, e del resto sono state sollevate obiezioni anche ai sospetti degli scettici, a cominciare dalla fatto che né l’acido fenico né la polvere di veratrina avrebbero potuto causare quel tipo di lesione, durata cinquant’anni.

Per tutto questo tempo il frate di Pietrelcina continuò a dormire pochissimo, svegliandosi nel cuore della notte per pregare e prepararsi alla Messa prima dell’alba, trascorrendo fino a sedici ore al giorno per confessare i fedeli. Lo ha definito Papa Francesco un “apostolo del confessionale”. Nel 2018, cento anni dalla comparsa delle stimmate e cinquant’anni dalla morte del frate, si reca nello stesso giorno a Pietrelcina e San Giovanni Rotondo: «Questo umile frate cappuccino stupì il mondo con la sua vita interamente dedicata alla preghiera e in ascolto paziente dei suoi fratelli, sulle cui sofferenze riversò come balsamo la carità di Cristo”.

Padre Pio non era un confessore facile, «disgraziato, andrai all’inferno!», ma la gente restava in fila tutta la notte. Il primo Papa a recarsi a San Giovanni Rotondo, nel 2008, è stato Benedetto XVI. Bisognava vedere Joseph Ratzinger, un gigante della teologia del Novecento, lo studioso che scrisse “Introduzione al cristianesimo”, mentre restava a pregare in silenzio nella cella numero 1 del convento dei Cappuccini, il luogo dove Padre Pio morì il 23 settembre 1968: un cubicolo intonacato di bianco largo quanto il letto di metallo addossato alla parete di fondo, una Madonna col Bambino sopra la testiera, un lavabo smaltato, un tavolo di legno, una sedia.

Quel giorno Benedetto XVI parlò del Getsemani e della Passione: «Alcuni Santi hanno vissuto intensamente e personalmente questa esperienza di Gesù. Padre Pio da Pietrelcina è uno di questi. Un uomo semplice, di umili origini, “afferrato da Cristo” – come scrive di sé l’apostolo Paolo – per renderlo strumento eletto della potenza perenne della sua Croce: potenza di amore per le anime, di perdono e di riconciliazione, di paternità spirituale , di solidarietà attiva con i sofferenti. Le stimmate, che lo segnarono sul suo corpo, lo unirono intimamente al Crocifisso-Risorto. Autentico seguace di san Francesco d’Assisi, fece propria, come il Poverello, l’esperienza dell’apostolo Paolo, come la descrive nelle sue Lettere: «Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me stesso”.

2 maggio 2024 (modificato il 2 maggio 2024 | 11:30)

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