Si dice “arancino” o “arancina”? Ecco la risposta dell’Accademia della Crusca – .

Si dice “arancino” o “arancina”? Ecco la risposta dell’Accademia della Crusca – .
Si dice “arancino” o “arancina”? Ecco la risposta dell’Accademia della Crusca – .

In Sicilia se menzioni la questione rischi di scatenare una guerra: è più corretto chiamare “arancino” o “arancina” la polpetta di riso farcita (con ragù o altri ingredienti), impanata e fritta? Essendo uno specialità culinaria dell’isola, inserito nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani, e poiché i siciliani sono un popolo molto orgoglioso delle proprie tradizioni, il nome corretto di questo piatto rischia di suscitare accesi dibattiti. In particolare, le due “scuole di pensiero” sono rappresentate da Catania e la Sicilia orientale con l’arancino, es Palermo e la Sicilia occidentale con l’arancina. Per risolvere la questione e, speriamo, mettere tutti d’accordo, ilAccademia della Crusca, da secoli una vera e propria autorità sulla lingua italiana. Insomma anticipiamo che entrambe le varianti sono accettabili, ma facciamo un passo alla volta.

Per prima cosa descriviamo il differenza di utilizzo tra i due nomi: in termini molto generali il termine “arancina” è usato nel palermitano e nel Sicilia occidentale; in queste zone il timballo c’è quasi sempre forma rotonda. Nel resto dell’isola, invece, in particolare in Sicilia Orientale, “arancino” è usato più frequentemente; inoltre il timballo è spesso realizzato con l’a forma conicaprobabilmente per farlo sembrare un vulcano etna.

Veniamo quindi all’origine del nome: iletimologia di “arancino/arancina” dipenderebbe da the arancione della panatura fritta del timballo o (nel caso della versione tonda della specialità) dalla diretta somiglianza con l’arancia. D’altro canto potrebbe dipendere da entrambi i fattori. Qualunque sia l’origine corretta, la prima attestazione scritta della parola dialettale “arancinu” con una “u”, è del 1857 dentro il Dizionario siciliano-italiano di Giuseppe Biundi. Attenzione però: ilarancia è definito un alimento a base di riso ma Dolce e non salato. Quindi può darsi che il timballo sia diventato salato solo in un secondo momento. Infatti, 11 anni dopo, nel 1868L’arancia è associato ad una crocchetta fatta di riso, patate o qualcos’altro all’interno Nuovo vocabolario siciliano-italiano di Traina.

Il punto di partenza individuato dall’Accademia della Crusca, quindi, è il termine “arancinu”. La cosa non deve sorprenderci, visto che nel dialetto siciliano si chiama arancia “arancia”, sempre con la “u” finale. Il termine dialettale “aranciu”, con la progressiva diffusione dell’italiano nel nostro Paese, si è trasformato in vari italiani regionali “arancia” e non in “arancione”. In molte parti d’Italia, comprese ampie zone della Sicilia (ma anche della Toscana, ad esempio), il frutto dell’arancia (la pianta) viene ancora chiamato “arancia” e non “arancia”. Per lo stesso motivo abbiamo una trasformazione parallela di “arancinu” in “arancino”, con la “o” terminale, nell’italiano regionale siciliano. La prima attestazione del termine “arancino” in un vocabolario italiano (anche se segnalato come di derivazione dialettale siciliana) si ha in 1942dentro il Dizionario moderno di Panzini. L’arancino, invece, è la forma che si è maggiormente diffusa in Italia, tanto da essere adottata anche dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.

Quindi la questione è chiusa? “Arancino” è la versione corretta del termine? Sì e no. In italiano standard, quello corretto in tutto e per tutto, lo è “arancia” il modo giusto per definire il frutto dell’arancia (l’albero). Si tratta di una distinzione e di una regola, però, che si è diffusa nel nostro Paese solo nella seconda metà del XX secolo. Detto questo, è probabile che nel palermitano e in altre aree urbane, più ricettive allo standard italiano, e in altre zone della Sicilia dove l’arancio veniva chiamato in altri modi (nel ragusano e nel siracusano “partuallu/partwallu” veniva spesso usato ), “arancione” e, di conseguenza “palla di riso” hanno prevalso come logica trasformazione dell’originario “arancinu”. Attestazioni di questo uso femminile (anche se numericamente inferiori a quelle dell’arancino) si trovano a partire dalla fine dell’Ottocento. Il primo è all’interno dell’opera I Viceré di Federico De Roberto da Catania, pubblicato in 1894.

In conclusione, quindi, l’Accademia della Crusca ammette entrambe le variantiquindi mettiamo da parte i campanilismi e godiamoci gli arancini senza più polemiche.

 
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