Sulle tracce di Napoleone in Abruzzo – .

Stampabile e PDF


L’AQUILA – “È stato.” Inizia così la celebre ode di Manzoni, scritta sul momento alla notizia della morte improvvisa di Napoleone Bonaparte il 5 maggio 1821. Un uomo che sconvolse tutti gli assetti politici d’Europa e anche d’Italia: la sua presa del potere segnò la fine della Rivoluzione con la famosa frase: Cittadini, la Rivoluzione è finita e presto inaugurò il periodo imperialista. A soli 27 anni, il giovane Napoleone iniziò la campagna d’Italia con l’intento di creare una serie di repubbliche sorelle: venne così fondata prima la Repubblica Cispadana, divenuta poi Cisalpina, quella di Genova, successivamente la Repubblica Romana nel 1798 e, a Alla fine di gennaio 1799 fu proclamata la Repubblica Partenopea o Napoletana, di cui fece parte anche l’Abruzzo. Ora non sappiamo se Napoleone abbia mai soggiornato in Abruzzo: la tradizione vuole che una stanza di Castello di Salè (Pe) avrebbe ospitato il grande generale francese. La stanza è ancora oggi occupata da un pregevole letto a baldacchino in stile impero, che fa parte del percorso di visita al piccolo Museo Borbonico ospitato nella fortezza.

La conquista francese dell’Abruzzo iniziò e si concluse nel dicembre 1798: il 6 il generale Rusca occupò la fortezza di Civitella del Tronto; il 9 i francesi occuparono Campli, l’11 entrarono a Teramo, il 16 fu la volta dell’Aquila e il 24 di Sulmona. All’Aquila i francesi si abbandonarono a barbare saccheggi, mentre le popolazioni aquilane, tranquille e pazienti, rimasero fedeli al re e alla religione, in attesa dei soccorsi. La zona dell’Aquila fu una delle più tormentate durante l’invasione francese: a farne le spese fu soprattutto il barone Alfieri Ossorio, patrizio della città e amministratore delle zone di Arischia e San Vittorino. Arischia in particolare venne attaccata, perché in quella zona si nascondevano le cosche popolari ostili ai francesi e da lì controllavano sia la strada che portava a Teramo, sia quella che portava verso Antrodoco e Rieti. Tra il 23 e il 24 dicembre caddero anche Chieti e la fortezza di Pescara, presso il cui portone principale era esposta la coccarda bianca, rossa e verde, colori della Repubblica Cisalpina che sarebbero poi divenuti quelli della bandiera italiana. Già il 28 dicembre il generale francese Duhesme riorganizzava il territorio regionale in due dipartimenti, Alto Abruzzo e Basso Abruzzo, da dividersi in più cantoni e con un Consiglio Superiore con sede a Pescara. Ma il re Ferdinando IV non rimase a guardare e si adoperò per mobilitare le masse contro l’invasione. In Abruzzo si ebbero subito numerose rivolte antifrancesi: contadini e pastori lasciarono le montagne e i campi per prendere parte alle insurrezioni contro quelli che venivano definiti i “signori giacobini”. Narra Benedetto Croce nel suo Storia del Regno di Napoli che i francesi, che avevano visto l’esercito borbonico sciogliersi quasi senza combattere, rimasero stupiti e impreparati di fronte alla nuova e ben più dura guerra nella quale si trovarono invischiati. Si diffuse ovunque la fama degli abruzzesi come combattenti insuperabili “per forza, coraggio, ferocia e tenacia, tra i più temibili d’Europa nella guerriglia”. Alla testa delle insurrezioni emersero improvvisati e audaci capi di massa: nell’aquilano Giovanni Salomone, nel teramano Donato de Donatis e nella Valle Peligna Giuseppe Pronio e Giuseppe Costantini, con gli eloquenti soprannomi di Grande Diavolo E Sciabola.

“Sappiate, o capi briganti”, scriveva Salomone dall’Aquila in una relazione al Re, “che noi siamo Amiternini e che nelle nostre vene circola ancora quel sangue che tante volte sconcertò i Romani, che trionfò sotto Braccio e che a Velletri rese al mortale il sangue d’Abruzzo”. Il 15 gennaio 1799 Salomone passò all’attacco e alla fine, dopo alterne vicende, vittorie e sconfitte, il 2 maggio la guarnigione francese abbandonò L’Aquila per recarsi a Rieti. L’effetto di questa ed altre rivolte fu che le truppe francesi abbandonarono definitivamente l’Abruzzo e la Repubblica Napoletana cessò di esistere il 14 giugno 1799, pochi mesi dopo la sua nascita.

Ma era solo l’inizio. Napoleone non si arrende e, soprattutto dopo la sconfitta di Trafalgar del 1805, intende mantenere i suoi domini sotto più stretto controllo. Nel 1806 le truppe francesi invasero nuovamente l’Abruzzo, che entrò così a far parte del Regno di Napoli, la cui corona fu assegnata prima a Giuseppe Bonaparte (1806-1808), poi a Gioacchino Murat (1808-1815). Il decennio francese, seppure breve, rappresentò per il Mezzogiorno e l’Abruzzo un’epoca di grandi trasformazioni sotto l’influenza di idee rivoluzionarie. Il territorio del regno di Napoli era diviso in 13 province e l’Abruzzo era diviso nei cosiddetti “tre Abruzzi”: Abruzzo Ulteriore prima, con capoluogo Teramo e i capoluoghi dei distretti di Teramo e Penne; Abruzzo Ulteriore secondo con capoluogo L’Aquila e con capoluoghi di circondario L’Aquila, Civita Ducale Sulmona; Abruzzo Citeriore, con capoluogo Chieti e con capoluogo Chieti in Lanciano. L’azione politica del fratello di Napoleone, Giuseppe, nei suoi due anni di regno fu caratterizzata dalla lotta contro i privilegi feudali ed ecclesiastici: una serie di leggi, emanate a breve distanza l’una dall’altra tra il 1806 e il 1807, diedero il colpo finale alla laica e complessa struttura monastico-religiosa del Regno. Gli ordini religiosi da loro seguiti la regola di San Benedetto e le loro varie affiliazioni, tra cui i Monaci Celestini, fossero da considerarsi soppressi ed i loro beni venduti o destinati alla Corona. Dopo che suo fratello, il cognato di Napoleone, Murat, completò l’opera: il decreto dell’agosto 1809 fece piazza pulita degli ordini religiosi fuggiti: domenicani, francescani, carmelitani agostiniani e molte altre congregazioni persero ogni bene materiale e ogni potere. Per esempio, nella sola città dell’Aquila furono soppresse circa 17 comunità religiose tra i quali dobbiamo citare il monastero di Santa Maria di Collemaggio, dove risiedevano i Celestini, quello di San Francesco, tenuto dai frati minori conventuali, l’oratorio di San Filippo, l’attiguo convento di Santa Maria del Riposo e il monastero di San Bernardino , retta dai Frati Minori osservanti. La fine del governo di Murat, nel marzo del 1815, fu quindi accolta con gioia in Abruzzo e vi furono manifestazioni di festa in molti comuni.

Dell’eredità del regno di Gioacchino Napoleone Murat restano Via Napoleonicache da Pettorano sul Gizio – uno dei Borghi più belli d’Italia – raggiunto il paese di Rocca Pia e poi raggiunto l’altopiano delle Cinque Miglia. Nei mesi invernali la strada napoleonica fu soggetta a violente tempeste di neve, tanto che in una di queste perì un intero reparto di soldati francesi. Il percorso, oggi sterrato ma comunque percorribile, presenta un notevole dislivello, se si tiene conto che partendo dal castello Cantelmo di Pettorano a 658 m. si raggiunge il paese di Rocca Pia a 1034 m. Questo asse viario era già conosciuto e frequentato nell’antichità a partire dal V-IV secolo a.C. dalle popolazioni italiche dei Peligni e dei Sanniti e forse era un tratto della via Minucia – il cui percorso impegna ancora gli studiosi – che conduceva a Brindisi, porta d’Oriente. Una ripresa del percorso si ebbe nel XIV secolo sotto Carlo II d’Angiò, ma fu verso la fine del XVIII secolo che il governo decise di creare una Strada Regia d’Abruzzo per rilanciare i traffici commerciali. I lavori furono eseguiti tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento e terminati sotto il regno di Gioacchino Murat, da cui il nome di via Napoleonica. Proprio sotto il cognato di Napoleone, i collegamenti tra la capitale del Regno e i paesi montani abruzzesi subirono un netto miglioramento: due volte alla settimana vi transitavano la linea postale e la diligenza.Messaggistica degli Abruzzi” gestito dalla famiglia Fiocca di Castel di Sangro. Una locanda in zona Pettorano, all’inizio della ripida salita, garantiva ristoro e cambio dei cavalli; i collegamenti potevano restare attivi anche d’inverno, quando le diligenze lasciavano i cavalli, che venivano sostituiti sulla neve e sul ghiaccio da robuste slitte trainate dagli zoccoli ferrati dei buoi. Più che dalla neve, il pericolo principale da cui difendersi era il fenomeno del brigantaggio, che rese necessario l’intervento dell’esercito tra Pettorano e Roccapia, affinché merci e persone potessero sfuggire al pericolo di imboscate.

Nella storia recente, la strada napoleonica è stata dichiarata strada provinciale e inserita tra le strade turistiche della montagna abruzzese nell’aprile del 1973. Punti di partenza sono la Taverna San Gerardo, nella parte alta del paese di Pettorano, oppure la parte bassa che si può raggiungere è raggiungibile dal primo accesso della strada statale 17, il primo che si incontra provenendo da Sulmona.

Largo in media 10 metri, ancora oggi si possono notare muretti di sostegno in pietra a secco, tratti dell’antica pavimentazione, cippi e pietre miliari ricoperte di muschio. Appena il percorso entra in Valle Rea e lascia il traffico, ci si immerge nel silenzio e nel verde, tra pascoli, boschi e cascate, con la cresta del Monte Genzana sullo sfondo. Una volta saliti a Rocca Pia, sulla via del ritorno, vale la pena alzare lo sguardo verso la cresta del Monte Morrone che impone l’attenzione, mentre in basso appaiono la valle Peligna e la città di Sulmona.


Stampabile e PDF


TAG

Cima napoleonica abruzzese


 
For Latest Updates Follow us on Google News
 

PREV 73enne intrappolato nella sua auto
NEXT Torna il Salerno Jazz & Pop Festival – .