Quinto a Torino, ma Conci parte con il piede giusto – .

TORINO – Quando si è voltato a pochi metri dalla vetta di San Vito, Nicola Conci ha avuto la percezione della fine del sogno. Quella sagoma bianca non lasciava spazio a dubbi, ma non cancellava la bellezza del suo gesto. I trentini attaccano, così come Caruso e l’indomabile Pellizzari. E per la prima volta dopo pochi anni sentì che tutto funzionava come doveva. La gamba spinge, il cuore sostiene: in queste condizioni sognare non è più vietato.

Quella forma bianca

Prima tappa del Giro d’Italia, la sconfitta di Pogacar fa sembrare tutto più grande di quanto non sia in realtà. L’UAE Emirates ha frantumato il girone e alla fine è lì a rosicchiare il terzo posto di Tadej. Lo sloveno non è riuscito a stare fermo e ha subito la furbizia e la freddezza di Narvaez, ma quando ha preso e saltato Conci la sensazione era che avrebbe fatto un boccone a tutti.

«È stato come previsto – racconta Conci – una gara difficile nella seconda parte, soprattutto quando la fuga ha cominciato ad avere un discreto vantaggio, considerando la lunghezza della tappa. Ho visto due ragazzi muoversi, uno era Honoré e l’altro Echachmann. Sono pedalatori, mi sono unito ed è nata una grande azione. Stavo molto bene. Ho visto il momento in cui c’era un piccolo spazio dietro di me. Ho accelerato per un attimo e sono riuscito a prendere un vantaggio. Fino a metà della salita finale ci ho creduto abbastanza, non nego di aver cullato un po’ il sogno.

«Poi mi sono voltato. Ho visto una sagoma bianca con i colori della Slovenia e ho capito. Certo un po’ di rammarico c’è, perché sono esploso negli ultimi cento metri di salita. Se non fossi andato su di giri in quel modo, forse sarei riuscito a rimanere tra i primi tre. Sebbene Dubito che avrei avuto le gambe per fare un buon sprint in quel momento…».

Dopo l’arrivo, un po’ di delusione, ma soprattutto la sensazione di avere buone gambe
Dopo l’arrivo, un po’ di delusione, ma soprattutto la sensazione di avere buone gambe

L’abbiamo sentito ad aprile, deluso per non aver corso le Ardenne ma motivato per finire bene il Giro. Vederlo inquadrato durante la fuga, nel box dei giornalisti all’arrivo abbiamo ragionato su quanto sembrasse predestinato da junior e sui mille intoppi degli ultimi anni. Ma finalmente si comincia a vedere un bel Conci al Giro d’Italia…

Era tempo?

Non nego che il Giro è una corsa a cui tengo fin da bambino. L’ho detto più volte: i primi quattro anni da professionista sono stati difficili. Il quinto è stato travagliato dalla storia di Gazprom e dall’anno scorso Non nascondo che ho preso una bella batosta morale, dovendomi ritirare dopo sole sei tappe. Quindi quest’anno ho mantenuto la calma, ho avuto qualche malessere influenzale. Sono caduto nei baschi, quindi non sono riuscito ad esprimermi al meglio, ma negli ultimi dieci giorni ho cominciato a sentirmi davvero bene.

Cosa serve per iniziare bene?

Sapevo di aver lavorato bene, quindi arrivo a questo Giro fiducioso di poter fare bene e con la voglia di godermelo fino in fondo. Non lo nascondo, ma uno dei miei primi obiettivi è arrivare a Roma e godermi queste tre settimane. Portare a termine un grande Giro sembra scontato, una volta diventato professionista, ma è pur sempre un sogno. Nel momento in cui raggiungi il traguardo finale ti rendi conto di aver fatto qualcosa di grandioso. Quindi ho la condizione, Cercherò di fare bene nelle diverse tappe, ma uno dei miei obiettivi resta vedere il Colosseo.

L’attacco di Conci è avvenuto nel tratto pianeggiante che ha preceduto la salita finale verso San Vito
L’attacco di Conci è avvenuto nel tratto pianeggiante che ha preceduto la salita finale verso San Vito
Sei partito per scappare?

SÌ. Ieri ho eseguito un paio di cosiddetti lavori di apertura, azioni ad alto numero di giri e in certi momenti mi chiedevo se il misuratore di potenza funzionasse, perché effettivamente stavo bene. Anche oggi ero molto nervoso e lo sentivo un po’ nelle gambe. Poi ho visto il momento, stavo bene, Ho capito che era il momento giusto e sono andato. E alla fine ne è venuta fuori una bella prestazione.

Che sensazione provi quando vedi arrivare Pogacar? Molti probabilmente lo sperimenteranno nelle prossime tre settimane…

Onestamente, non ero così sorpreso. Sentivo di avere 20 secondi sul gruppo piccolo e 25 su quello dietro. Fino a poco prima della salita avevamo un distacco maggiore rispetto al corpo principale, quindi immaginavo che avessero aperto il gas. Se c’era un corridore che mi aspettavo di vedere per primo era lui e così è stato.

Sembrava che litigaste per un po’ mentre correvate…

C’era la sensazione di partire con i freni non tirati, ma non a tutta velocità. Tutti sapevano che anche se fossimo arrivati ​​insieme e avessimo lottato per la tappa, avremmo dovuto lottare tra noi in salita, quindi giustamente tutti hanno cercato di salvarsi. Restano la bella sensazione e l’orgoglio di aver fatto una mossa intelligente.

Quindi è stata un’azione deliberata?

Onestamente stavo già accelerando da qualche minuto, poi frenando. Ho accelerato e frenato, perché alla fine tutti guardavano giustamente Tadej e lui ormai aveva solo Maika a tirare. Sapevo che se ci fossero stati attacchi, alla fine sarebbe toccato a Rafal contrastare gli elementi in fuga. E conseguentemente Sapevo che c’era la possibilità di andare lontano. E così ho provato. Anche io e gli altri…

 
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