la storia di Hamza, arrivato a Trento “per inseguire un sogno” – .

TRENTO. Lascia il tuo paese, la tua famiglia, per cercare un futuro miglioreperché sono costretti da “dinamiche più grandi” o perché sfuggire alla guerra o alla povertà. Ma forse anche, soprattutto per chi è più giovane, per seguire il percorso di un sogno professionale che non sarebbe possibile nella loro terra.

Sono tante le storie di migranti che, giovani o anziani, si ritrovano in una Paese a loro sconosciuto e – pur con grandi aspettative e le migliori intenzioni – scontrarsi contro uno barriera fatta di difficoltà di tutti i tipi: da quelli essenziali come trovare un tetto sotto cui ripararsi o un lavoro con cui garantirsi il sostentamentoa quelli meno “immediati” ma certamente non secondari come il poterdiventare parte del tessuto sociale localeritagliare spazi per la vita quotidiana “normale”.

Spesso è proprio questo il muro con cui devono fare i conti di insensibilitàdal chiusura e, peggio ancora, il indifferenza e ad aggiungere a questi fattori, già di per sé ostacoli difficilmente superabili, si aggiungono anche fattori burocratici, come i tempi di attesa necessari per ottenere una risposta alla richiestarichiesta di richiesta di asiloil che può richiedere, se tutto va bene, mesi o addirittura anni.

È il caso di Hamza, vent’anni, originario del Marocco e arrivato a Trento l’estate scorsaper la precisione a giugno, dopo quasi le quattro mesi di viaggio e camminare lungo il tristemente noto “Rotta Balcanica”.

Dopo i primi momenti di “grande difficoltà”, è riuscito a trovare lavoro nel settore della ristorazione, come cameriere in un locale del centro. Nonostante lo stipendio, però, il difficoltà maggiore quello che incontri è riuscire a trovare un alloggio in cui soggiornare: dopo aver dormito per un periodo all’aperto, per strada e in rifugi di fortuna, e per alcune settimane nei dormitori allestiti in città nella stagione invernale, ormai da più di un mese trascorre le notti all’ostello della città pagando quotidianamente “la fortuna di avere un tetto sopra la testa, seppure temporaneo, alla fine della giornata”.

Lo incontriamo a Centro Sociale Bruno dove va a frequentare, insieme a tante altre persone che vivono la sua stessa situazione, ad es Corsi di italiano a cura di LiberaLaParolaun progetto indipendente che, oltre ad insegnare la lingua, mira a crearne una condivisione dello spazio sulle pratiche di accoglienza e sul diritto dei migranti a partecipare attivamente ai processi di costruzione della società.

Per raccontare la sua storia, spiega, è necessario fare un passo indietro: più precisamente a quando dentro di sé ha fatto la scelta di lasciare il suo Paese e la sua famiglia.

“In Marocco ho iniziato a studiare all’università, frequentando un corso di lingua – inizia a raccontare Hamza – ma poi per necessità ho deciso di iniziare a lavorare, trovando occupazione Casablanca come animatrice in un villaggio turistico“.

E proprio in quel frangente, incontrando numerose persone provenienti da altri paesi, ad Hamza si apre una vera e propria finestra sul mondo e il desiderio di “trova il posto più adatto ai tuoi sogni”.

“Nel corso degli anni l’ho sempre fatto sofferto un modo di vivere una mentalità che considero chiusa per vari motivi – precisa il giovane – e così ho preso la decisione di intraprendere la rischio di andarsenelasciando i miei cari, perché penso che a soli vent’anni una persona abbia il diritto di provare a costruirsi un futuro”.

L’espressione del suo viso cambia improvvisamente quando decide di iniziare a raccontarcelo il viaggio che lo ha portato ad arrivare in Italiache di fatto si trasformò in una vera e propria corsa ad ostacoli, lungo la “rotta balcanica”: “Sono partito insieme ad alcuni compagni e, per la prima parte del percorso, abbiamo viaggiato in aereo verso la Turchia. Una volta atterrati, abbiamo deciso di proseguire a piedi e con mezzi di fortuna fino al Bulgaria“.

Dopo un primo tentativo fallito di attraversare il confinealcune persone nel gruppo, incluso Hamzace la fanno: “A quel punto ci siamo diretti verso la Serbiaun po’ a piedi e un po’ pagando i viaggi in macchina a persone che erano lì appositamente, e in nove giorni siamo arrivati ​​alla frontiera”.

La preoccupazione, fino a quel momento, era stata tanta poiché, come ci spiega Hamza“succede spesso che lungo il percorso si verifichino violenze e furti ai danni dei migranti, e spesso tutte le proprietà vengono rubate”.

Passando per ilUngheriapoi arriva il gruppo Austria dove per qualche giorno trova rifugio in un dormitorio, decidendo poi di partire.

“Mio l’obiettivo era arrivare in Italia e più precisamente a Trentoperché conoscevo una persona che vive qui, e da Insbruck Ho viaggiato in autobus, poi ho preso il treno per Brennero“, spiega il giovane che racconta come gli sembrava tutto quando arrivò in città “tutto nuovo e strano”.

“Il primo periodo è stato il più difficile poiché non avevo dei riferimenti concreti sul territorio – spiega Hamza – e mi sono ritrovato a passare le notti per strada, o in qualche rifugio di emergenza. Ho quindi approfittato del servizio offerto da dormitori di emergenza per la stagione invernaleriuscendo con il passare dei mesi ad imparare un po’ di italiano e trovando anche un lavoro in città per mantenermi.”

Hamza riesce a presentarsi anche ad agosto, attraverso il Contatore Cinformi di Trento, il domanda di richiesta di protezione internazionalema al momento lo è ancora in attesa di una risposta e, in questo “limbo”, le difficoltà sono tante.

Alla luce del suo status attuale, spiega, “trovare un alloggio stabile è molto difficilepoiché sono poche le persone disposte ad affittare un immobile a un richiedente asilo, anche con un lavoro regolare, e gli affitti sono ancora molto alti e decisamente inaccessibili per un single”.

«Ecco perché sto dormendo fuori in questo momento‘ostello in città, vicino alla stazione – precisa il giovane – condividere la stanza con altre persone per poter ammortizzare le spese”.

Un ultimo pensiero, prima di salutarci, Hamza lo vuole gettare verso il futuro in cui, nonostante le tante difficoltà che incontra quotidianamente, vuole ancora credere: “Sono giovane e mi piacerebbe avere la possibilità di fare tante esperienze, anche lavorative, e qui a Trento mi trovo molto bene, è una città piccola e a misura d’uomo. Naturalmente mi manca la mia famiglia, anche se li sento abbastanza regolarmente, e un giorno anch’io vorrei tornare nel mio paese, ma poterlo fare in condizioni di vita accettabili”.

 
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