Ex patrono del Livorno. Gli affari di Spinelli, tra porto e calcio – .

Ex patrono del Livorno. Gli affari di Spinelli, tra porto e calcio – .
Ex patrono del Livorno. Gli affari di Spinelli, tra porto e calcio – .

dell’Antico Alessandro

LIVORNO

Quando arrivò qui era Sciu Aldo, in genovese forte. Poi a Livorno, dove i nomi (e talvolta anche di più) durano quanto un gatto sull’Aurelia, è diventato giallone per via del suo impermeabile di cadmio che indossava come portafortuna durante le partite. Andò avanti per circa vent’anni – ogni riferimento è puramente casuale – e il suo rapporto con il popolo amaranto si deteriorò progressivamente. I ‘crediti’ con cui si è presentato nella città dei Quattro Mori non erano male, a dire il vero. Con il Genoa di Aguilera, Skuravy, Ruotolo e Torrente, allenato da Osvaldo Bagnoli, arriva alla finale di Coppa UEFA. Poi un’uscita tutt’altro che idilliaca e, dopo qualche tempo, l’approdo a Livorno.

Sì, sto sbarcando. Perché Spinelli era un presidente di calcio per passione, per così dire, visto che la sua attività principale era quella di imprenditore portuale: Spinelli Group, movimentazione merci. Quale risorsa migliore di un altro porto per ripristinare la tua verginità e prolungare la vita della tua attività?

Ma non sempre l’abbraccio della città rossa è stato dei più affettuosi, soprattutto mentre si passeggiava. Come quegli amori che iniziano con una grande infatuazione e poi finiscono più o meno con il lancio dei piatti.

Certo, Aldo Spinelli ha salvato il Livorno da un altro fallimento e lo ha risollevato dall’anonimato della Serie C (ora è in D), riportandolo in Serie A dopo più di cinquant’anni. Lo ha fatto incassando colpo su colpo, consolidando la posizione di un Igor Protti non più giovanissimo ma capace di trascinare a suon di gol la squadra fino alla Seconda Divisione.

Poi è stato un sogno dopo l’altro: i veri fratelli livornesi Cristiano e Alessandro Lucarelli, convinti a vestire la maglia amaranto anche grazie ai buoni uffici di Galante. E l’allenatore Donadoni, la scoperta di Chiellini e di tanti altri giovani, perfino la Coppa Uefa che a queste latitudini si era vista solo in tv. Decisiva l’amicizia con Luciano Moggi, con Moratti, con Berlusconi e Galliani, che mandavano giocatori in prestito al Livorno. Riuscì perfino a convincere l’allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che era molto livornese anche se non sembrava, ad assistere ad una partita allo stadio.

Ma Spinelli era interessato al porto. Quella era la vera torta che desiderava. È lì, tra gru e portacontainer, che ruotava l’attività milionaria della famiglia. Per lui il calcio era un giochino in cui però non si guadagna più quanto guadagnavano i presidenti del passato. E i tempi, come sappiamo, quando cambiano e non stai al passo, ti travolgono.

Lamberti, Cosimi, Nogarin, infine Salvetti, quattro sindaci si sono sentiti chiedere con grande insistenza sempre la stessa cosa: “Investo nel calcio, ma in cambio dammi più spazio in porto”, per intenderci. D’altronde, come emerso dalle intercettazioni di questa inchiesta, «bisogna lavorare su cose grandi», avrebbe detto. In conclusione: non è esattamente quello che chiamereste un sano principio d’amore.

Nessuno ha raccolto (o ha abboccato). La passione tra lui e la città è andata verso i titoli di coda. Nessuno ha mai spinto perché mettesse effettivamente le mani sulle pedane come avrebbe voluto, che non è nemmeno di sinistra. O forse non ha mai fatto abbastanza per meritare pienamente la fiducia dei livornesi. Che sanno amare. Ma anche mandarti al diavolo con la forza di un colpo da sud-ovest.

 
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