«Ho pensato di partire, ma l’affetto della gente me lo ha impedito» – .

«Ho pensato di partire, ma l’affetto della gente me lo ha impedito» – .
«Ho pensato di partire, ma l’affetto della gente me lo ha impedito» – .

Anche quando non ci sono danni?
«Nemmeno, perché possono portare a emulazioni, queste colle, le vernici… Mi spaventa davvero».
Fa il lavoro che sognava. Un momento indimenticabile?
«Traggo forza dalle piccole cose, mi piace girare per le aule, a volte capita che c’è un gruppo di studenti e li sento dire: “Quello è il direttore, abbiamo visto le Passeggiate!”».
Cosa sono le passeggiate?
«Una volta al mese conduco una “Passeggiata con il Direttore” dopo l’orario di chiusura con le stanze vuote. Questo mi emoziona: l’ultima volta c’erano due ragazzi che venivano da Palermo per darselo”.
Lei è un raro esempio di studioso che è anche un buon manager. Puoi spiegare in modo semplice come si finanzia un museo?
«Per farvi capire, su un budget, il nostro, di 17 milioni di euro, il fondo di dotazione, cioè il contributo di tutti i soci della fondazione, è di 800mila euro. La differenza la fanno i biglietti, i libri acquistati, gli eventi, le mostre itineranti, la didattica, le raccolte fondi, i fondi europei che riusciamo a raccogliere… Queste attività poliedriche sono il puzzle che costituisce la nostra sicurezza economica”.
Cosa stai preparando per il 200esimo anniversario?
«Tante cose, tra cui una ristrutturazione importante che aggiungerà 1.000 metri quadrati, e stiamo creando una piazza che sarà offerta a tutti: si potrà entrare per leggere un libro, bere un caffè. Verrà costruito anche un giardino egiziano”.
Torino non sembra soffrire di overtourism, ma è vero che lo scopritore di Tutankhamon, Howard Carter, subì folle di turisti già nel 1922, durante i suoi scavi?
«Sì, ho appena scritto un libro su questa storia (Alla ricerca di Tutankhamon, Franco Cosimo Panini, ndr). Dopo la Prima Guerra Mondiale, l’Europa viveva una sorta di trauma collettivo, ad esempio in Francia due terzi dei giovani tra i 16 e i 26 anni non c’erano più, e molti di loro non avevano mai una tomba. Proprio in quel periodo, quando in quasi ogni famiglia c’era una vedova e una madre che aveva perso un figlio, viene ritrovata una tomba in Egitto. Il sottosuolo che nasconde gioielli, il mito di tutti in archeologia. E, dentro il primo sarcofago d’oro massiccio, c’è il corpo di un ragazzo che aveva 18 anni, la stessa età di tanti che non c’erano più”.
È nato così il mito di Tutankhamon?
«Questo ha creato una vera e propria Tut-mania. Tutti volevano andare in Egitto. L’archeologo Carter non ha potuto lavorare, è uscito con i reperti circondato da una folla insopportabile.
Anche il Museo Egizio ha problemi di overtourism: adesso per evitare code si richiede la prenotazione e dopo il Covid ho dimezzato la capienza massima da 12 a 6mila persone al giorno. Seguiamo la politica del Louvre: non contano tanto gli ingressi quanto lavorare sulla qualità della visita”.
A Giulio Regeni è intitolata una sala del Museo. I vostri rapporti con l’Egitto hanno mai avuto difficoltà?
«Assolutamente no, perché credo che il dialogo e la cultura insegnino che qualsiasi domanda può essere posta. L’urbanità dei toni ci ha sempre permesso di avere ottimi rapporti. È un Paese che per me è casa”.
Lo so, non ti piace parlarne, ma cosa ne pensi dell’attacco che hai subito da parte di Giorgia Meloni e della Lega, ora che è passato un po’ di tempo?
«Mi ha fatto riflettere. Ho la sindrome dell’impostore, mi interrogo molto. Vorrei che il museo fosse un luogo pubblico di dialogo: se non si è capito un’iniziativa nata per essere inclusiva, evidentemente ho sbagliato a comunicare”.
Sul serio?
“Certo, uno dei problemi della nostra società, così polarizzata, è che tutti ci circondiamo di persone che la pensano come noi, dobbiamo invece cercare il dialogo con gli altri”.
Allora la Meloni ha continuato il dialogo da premier?
“NO”.
L’aveva invitata a visitare il museo…
“Spero che un giorno possa accadere.”
Rinnoviamo questo appello?
“Assolutamente. Penso che il Primo Ministro abbia problemi molto più importanti del Museo Egizio, ma se un giorno potesse regalarmi cinque minuti di dialogo sarebbe per me un bellissimo momento di crescita. Per capire dal suo punto di vista cosa ho sbagliato, perché, ripeto, penso che quando lei si polarizza, qualcosa è andato storto”.
Hai mai avuto paura che potessero “cacciarti” come dicevano?
“Più che temuto, entrambe le volte ho pensato seriamente se fosse giunto il momento di partire”.
Veramente?
“SÌ. Se un regista diventa polarizzante, allora qualcosa non va. Entrambi gli episodi mi hanno causato una profonda sofferenza”.
Per fortuna ha cambiato idea se la troviamo qui.
“Al momento. Siamo tutti pro tempore”.
Cosa l’ha fermata?
«L’affetto delle persone. Nel settembre del 2023, dopo quell’attacco, ho ricevuto 8.600 email e 10mila messaggi”.
Ha ricevuto solidarietà anche dal mondo accademico.
“Sì, ma come sappiamo chi soffre della sindrome dell’impostore può ricevere 10 complimenti e una critica, ma quella critica lo fa soffrire terribilmente”.
Ultima domanda, infantile, è vero che parli dieci lingue?
“Sono lingue antiche, per lo più le leggo.”

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