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Per quanti anni Venezia potrà ancora contare sul MOSE? – .

Per quanti anni Venezia potrà ancora contare sul MOSE? – .
Per quanti anni Venezia potrà ancora contare sul MOSE? – .

Il Mose è prezioso, ma non è per sempre. E se Venezia è considerata un patrimonio universale di inestimabile valore, è bene cominciare a pensare a soluzioni per il futuro: quando cioè il livello del mare si innalzerà a tal punto da rendere inutilizzabile l’attuale sistema di dighe mobili che proteggono la città ​dall’acqua. Come già osservato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, “Venezia è un chiaro esempio di come l’intensità e la frequenza dei fenomeni estremi siano in aumento, sintomo di una tragedia che oggi è solo all’inizio. A lungo termine l’unica soluzione è combattere il cambiamento climatico, solo così possiamo combattere l’alta marea”.

Innanzitutto un punto fermo. Come chiarisce un recente studio pubblicato dall’Università Ca’ Foscari (Vantaggi e oneri: performance economica e prospettive future del sistema di protezione dalle inondazioni di Venezia), in ogni possibile scenario futuro i benefici garantiti dal MOSE sono enormemente superiori ai costi dell’investimento e ad altre perdite economiche, come quelle subite dal porto. In sostanza, senza un sistema di protezione, le inondazioni devasterebbero la città, e lo faranno sempre più spesso con il passare degli anni, creando danni incalcolabili.

L’aumento delle chiusure

L’aumento delle chiusure pone però sfide alla sostenibilità a medio e lungo termine delle infrastrutture, che rischiano sostanzialmente di diventare inutilizzabili ben prima della fine del secolo. Secondo la ricerca, se il Mose venisse attivato con previsioni di marea di 110 centimetri al centro mare, nell’ultimo quarto di secolo si potrebbero superare i 50 giorni consecutivi di chiusura della laguna. A quel punto, anche se l’infrastruttura fosse tecnicamente in grado di sostenere un tale carico di lavoro, un utilizzo così intenso diventerebbe comunque troppo costoso e avrebbe un impatto eccessivo sull’ambiente. In definitiva, il MOSE potrebbe risultare eccessivamente stressato tra il 2060 (nello scenario climatico peggiore) e il 2070 (in quello migliore, cioè nell’ipotesi di un efficace contenimento dei cambiamenti climatici).

Non c’è una “data di scadenza” precisa, ma il rischio è che sia significativamente più vicina di quella ipotizzata da chi ha progettato il Mose (il sito ufficiale precisa che l’opera può proteggere Venezia e la laguna da maree alte fino a 3 metri e un aumento del livello del mare fino a 60 centimetri nei prossimi 100 anni). ”Molto dipende da quanto riusciremo a contrastare il cambiamento climatico”, spiega Carlo Giupponi, professore ordinario di Economia ambientale all’Università Ca’ Foscari e coordinatore dello studio citato. Il divario, infatti, è piuttosto ampio: “Se saremo bravi il mare potrebbe alzarsi di 20-30 centimetri alla fine del secolo”, mentre nell’ipotesi più pessimistica potrebbe alzarsi anche di 70 centimetri. A ciò si aggiunge il fenomeno della subsidenza, ovvero il progressivo sprofondamento della città, che attualmente viene quantificato in 3-4 millimetri l’anno.

Dopo il Mose

Sono scenari a lungo termine, ma se consideriamo che ci sono voluti 50 anni per arrivare alla realizzazione del MOSE, è ora di muoversi. “Tra altri 40-50 anni dovremo aver realizzato ciò che si abbina al Mose o lo sostituisce – avverte Giupponi – ed è necessario definire e sperimentare adesso nuove strategie per fronteggiare l’innalzamento del livello del mare, quando i lavori non sarà più sufficiente.” Lo studio propone alcune soluzioni generali in questo senso: da un lato, lavorare ulteriormente sul sollevamento delle sponde della città, per evitare inondazioni con maree fino a 130 centimetri; dall’altro pompare l’acqua del mare nel sottosuolo, a centinaia di metri di profondità, per contrastare la subsidenza e sollevare la città.

E poi ci sono i “rimedi estremi”: separare nettamente mare e laguna, simile a quanto avviene in Olanda, con dighe protettive. Una strategia che porterebbe a uno sconvolgimento del sistema lagunare, che a sua volta andrebbe contrastato: “Possiamo immaginare una laguna che diventi un sistema tecnologico di chiuse, pompe e dighe – ipotizza Giupponi – con bypass che consentano l’ingresso dell’acqua di mare per mantenere la salinità e la deviazione di alcuni fiumi”. Oltre a questo, ovviamente lo spostamento del porto in mare aperto: un terminal offshore che, peraltro, è già nei piani dell’Autorità portuale.

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Il sistema lagunare

Per quanto riguarda l’impatto del MOSE sull’ecosistema lagunare il dibattito è in corso. Si tratta di un sistema in funzione da un tempo relativamente breve e non esistono ancora studi concreti a riguardo, ma è chiaro che l’effetto degli ascensori sarà più evidente all’aumentare della loro frequenza. Quando entrano in funzione le dighe, il flusso tra laguna e mare viene interrotto, e questo ha delle conseguenze: basti pensare che il sistema fognario di Venezia si basa in parte su un meccanismo di scambio idrico, con le acque reflue trasportate dalle correnti. .

Più a lungo la laguna rimane chiusa, maggiore è il rischio che l’ecosistema venga compromesso attraverso un maggiore sviluppo di macroalghe, con conseguente mancanza di ossigeno e morte dei pesci. Da questo punto di vista va però ricordato che il Mose non è “solo Mose”: il piano generale degli interventi comprende molte altre opere, tra cui quelle dedicate alla tutela e alla ricostruzione degli habitat lagunari. Finora, ad esempio, sono stati creati 1.600 ettari di nuove distese fangose ​​e saline e ricalibrati 200 chilometri di canali. “Valutiamo le opere compensative anche in termini economici – dice Giupponi – ad esempio le barene e le praterie di fanerogame svolgono importanti servizi in termini di sequestro del carbonio, e in questo sono anche più efficienti di una foresta”.

Come sarà il paesaggio

Recenti ricerche dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del Cnr di Padova ribadiscono che la morfologia della laguna è minacciata, infatti, dall’innalzamento del mare e dal contemporaneo abbassamento delle terre emerse. “Prevediamo – spiega Luigi Tosi, direttore della ricerca del Cnr-Igg – che entro il 2050 le morfologie lagunari, attualmente situate tra 25 e 50 cm sul livello del mare, si ridurranno di 16 km quadrati, e quelle tra 0 e 25 cm di altitudine 18 chilometri quadrati. Questa perdita di eterogeneità morfologica avrà un impatto negativo sui preziosi benefici ecologici che l’ambiente lagunare apporta”. Le barriere mobili del Mose hanno un impatto negativo perché “riducono l’apporto di sedimenti alle aree emerse come le barene: senza nuovi sedimenti queste aree non potranno crescere in altezza e rischieranno di scomparire”. Tra i rischi più evidenti, conferma la ricercatrice Cristina Da Lio, “ci sono la perdita dell’importante meccanismo di assorbimento della Co2, la minaccia ai cicli vitali delle specie lagunari e il pericolo di un sovraccarico di nutrienti dannosi per l’equilibrio dell’ecosistema”.

Possiamo però guardare al futuro con fiducia: Venezia ha una tale rilevanza internazionale che probabilmente potrà contare sugli investimenti necessari per trovare soluzioni. “Condividiamo i risultati ottenuti con il nostro studio – conclude Giupponi – nella speranza di stimolare la riflessione da parte di chi ha potere decisionale”.

 
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