L’ex direttore de L’Espresso Luigi Vicinanza è il nuovo sindaco di Castellammare di Stabia, votando dopo lo scioglimento per camorra – .

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Roma, 10 giugno. (Adnkronos Salute) – “Questa terapia è in grado, nei pazienti operati, di ritardare la progressione della malattia, aumentandone quindi la sopravvivenza. Parliamo di giovani: trentenni, quarantenni, cinquantenni non fumatori, donne, mariti, con famiglia, con figli. L’assunzione di una terapia orale mirata e quotidiana per 2 anni dopo l’intervento migliora la quantità, ma anche la qualità complessiva della vita di questi pazienti e delle loro famiglie”. Così Filippo de Marinis, direttore della Divisione di Oncologia Toracica dell’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) di Milano e presidente dell’Aiot (Associazione Italiana di Oncologia Toracica), ha commentato all’Adnkronos il via libera della Commissione europea all’ampliamento dell’indicazione di alectinib come prima e unica terapia adiuvante a bersaglio molecolare, dopo l’intervento chirurgico, nel carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) Alk-positivo in stadio iniziale. Il farmaco è infatti già approvato per la forma metastatica.

Lo studio Alina, che ha portato a questa approvazione in Europa, “è decisamente importante – spiega de Marinis – Pubblicato nell’aprile di quest’anno sul New England Journal of Medicine, prestigiosa rivista scientifica”, risponde al problema dei “pazienti che hanno adenocarcinoma in stadio iniziale” e dimostra che “la malattia recidiva più tardi” rispetto a coloro “che ricevono chemioterapia”, allungando così l’aspettativa di vita. Si tratta di «un trattamento specifico che inibisce l’alterazione del gene Alk, che viene individuato prima o dopo l’intervento. In questo tipo di tumore, la presenza dell’alterazione genetica costituisce un fattore prognosticamente negativo per la sopravvivenza del paziente, a meno che non si possa invertire”, cioè trasformare “questo dato negativo in una situazione predittivamente positiva attraverso l’uso di farmaci selettivi costruiti contro” un bersaglio specifico, il gene Alk alterato, “per bloccare i meccanismi di progressione del tumore”.

Nel dettaglio “rispetto alla chemioterapia standard che segue l’intervento chirurgico per quattro cicli, cioè per 2 mesi – sottolinea il presidente dell’Aiot – i 2 anni di cura in compresse, domiciliare, con alectinib, che inibisce il riarrangiamento del gene Alk, decisamente importanti Si ottengono risultati con un abbassamento del rischio di recidiva della malattia di oltre il 74%”, con un miglioramento anche della qualità della vita. “Ad oggi – prosegue l’oncologo – disponiamo di dati riguardanti la cosiddetta progression free survival, cioè la sopravvivenza libera da progressione (Pfs), cioè il tempo che intercorre da quando inizia il trattamento fino a quando si verifica una recidiva”. Si tratta di un “vantaggio incommensurabile: questi dati si tradurranno sicuramente in un aumento della sopravvivenza globale”, dato che non sono ancora disponibili.

“Questa terapia biologica inibitoria selettiva – aggiunge de Marinis – non ha lo stesso impatto negativo della chemioterapia. Lo vediamo da circa dieci anni, da quando sono arrivate le terapie mirate”. Rispetto alla chemioterapia che colpisce più cellule, la terapia a bersaglio molecolare, inibendo un gene malfunzionante perché riarrangiato, “è come se bloccasse un meccanismo della singola cellula tumorale che è supportata da quel gene – precisa – Abbiamo quindi un approccio completamente diverso, con aspetti di tollerabilità completamente diversi e tutto a vantaggio della terapia biologica inibitoria. Per questo migliora non solo la quantità di vita, ma anche la qualità, tenendo conto che parliamo di giovani in maggioranza non fumatori”.

Nella ricerca e sviluppo di alectinib “siamo partiti dalla malattia metastatica: quando facciamo una diagnosi di malattia diffusa supportata dal gene Alk, alectinib è lo standard di cura”. È stato quindi testato in stadi precoci della patologia, “in pazienti che si recavano dal chirurgo – ribadisce l’oncologo – per farsi asportare l’adenocarcinoma che, con il tempo, in alcuni casi, è però ritornato, dove non sarebbe dovuto ritornare, a causa di logica legata essenzialmente al tumore”, cioè alla presenza del gene Alk alterato. “L’identificazione del gene attraverso un test genetico che viene effettuato sul tumore, prima o dopo l’intervento chirurgico, permette di identificare quei pazienti che possono beneficiare di un trattamento di 2 anni di pillole da assumere quotidianamente a casa, per ritardarne la guarigione recidiva della patologia” e avere una sopravvivenza migliore e più lunga, “che è ancora in fase di valutazione”.

Un altro fattore a favore di questo approccio terapeutico è che “rispetto ad altri test genetici, quello che deve individuare il riarrangiamento del gene Alk – chiarisce de Marinis – può essere individuato attraverso tre diversi test. Per quanto riguarda la possibilità di utilizzo del farmaco è sufficiente la valutazione immunoistochimica” che viene effettuata “nell’ambito del test diagnostico per l’adenocarcinoma: la positività consente di individuare il riarrangiamento del gene Alk, non è necessario passare a esami più complessi diagnosi”. In ogni caso, “la collaborazione tra le diverse figure professionali coinvolte nella cura del tumore del polmone è fondamentale – conclude l’oncologo – affinché il paziente possa entrare in un percorso di speranza che gli permetta di vivere la sua quotidianità con un percorso personalizzato che lo coinvolga. e lo rende protagonista di questo cammino di vita”.

 
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