la presentazione del volume di Bardelli ad Ancona ci ha proiettato nell’era dei Piceni – .

la presentazione del volume di Bardelli ad Ancona ci ha proiettato nell’era dei Piceni – .
la presentazione del volume di Bardelli ad Ancona ci ha proiettato nell’era dei Piceni – .

La presentazione ad Ancona del volume “Il Circolo delle Fibule di Sirolo-Numana”, a cura dell’archeologo Giacomo Bardelli, ha proiettato il pubblico anconetano indietro nel tempo. Lo riportò all’epoca dei Piceni, alla cui civiltà appartengono i reperti provenienti dalle aree archeologiche alle pendici del Conero. Sono trascorsi 50 anni da quando il personale della Soprintendenza Archeologica delle Marche, guidato da Delia Lollini, condusse gli scavi di quella necropoli, il cui nome è dovuto alla sua conformazione. Si tratta infatti di un fossato circolare, del diametro di 23 metri, che contiene 9 tombe e 10 defunti.

I reperti

Le circa duemila fibule, le antiche fibule, rinvenute nelle fosse, ne motivarono il nome. Nell’Auditorium di Palazzo Ferretti ad Ancona, sede del Museo Archeologico Nazionale delle Marche, ne ha parlato l’autore dello studio, disponibile anche online in open source. «Nel 2015 ho iniziato a lavorare – ha esordito Giacomo Bardelli – sull’immenso materiale rinvenuto, conservato nei magazzini del museo. E ho avuto la fortuna di poter usufruire di un’ottima documentazione, curata dagli archeologi che all’epoca organizzarono e conservarono i reperti. Ma anche del lavoro dei giovani restauratori, che hanno saputo ricostruire gran parte degli oggetti e degli utensili”.

Manufatti in bronzo, ambra, ceramica, osso e pasta vitrea costituivano, insieme alle fibule, i lussuosi corredi funerari di popolazioni vissute tra la fine del VII e l’inizio del V secolo. A. C. Il ricercatore, che ha svolto il suo studio nell’ambito di un progetto post-dottorato, finanziato dal Museo Romano-Germanico di Magonza, ha illustrato la caratteristica saliente delle tombe: la straordinaria quantità e diversità delle fibule. «Nelle tombe delle donne, ma anche degli uomini. Il fatto che fossero posti a forma di corona, sopra le teste dei defunti, è da ascrivere ad un rituale locale, così come la forma dell’area sepolcrale, delimitata da un fossato circolare, riempito di cocci coerenti di ceramica. tra loro in settori alternati”.

Fondamentale perché la dottoressa Bardelli giungesse a questa conclusione è stato un taccuino, sul quale la Lollini aveva poi annotato le sue osservazioni. Molti tra il pubblico hanno rivissuto le emozioni di 50 anni fa, partecipando alla storia. Tra questi, l’archeologo Maurizio Landolfi che, a suo tempo, affiancò il sovrintendente, e l’artista Augusto Salati che, da giovane progettista, documentò con carta e matita la forma e la disposizione delle tombe.

 
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