«Un nuovo modello è possibile. Anche a Verona” – .

È stata senza dubbio una delle sorprese delle elezioni europee degli ultimi giorni. Il risultato di Alleanza dei Verdi e della Sinistra, che si è attestato al 6,8% su scala nazionale – grazie anche al voto di tanti giovani – ha dato ragione a Bonelli e Fratoianni e alle loro scelte. Una campagna elettorale che si è concentrata su alcuni nomi importanti (come quelli di Mimmo Lucano, nuovo sindaco di Riace, e Ignazio Marino) e sulla controversa candidatura di Ilaria Salis, che però ha trovato il favore di migliaia di persone.

A Verona AVS ha ottenuto oltre 23mila voti (6,16%), di cui solo 8mila raccolti dal candidato Jessica Cuginigiornalista di Nigrizia e consigliere comunale.

Cugini, il vostro partito ha ottenuto un buon risultato, tra i più positivi di questa tornata elettorale. Qual è il suo commento?

«Sì, è vero, abbiamo ottenuto un buon risultato, ma per chi ha fatto campagna elettorale si percepiva, al di là dei sondaggi, che sarebbe andata bene. C’era voglia di partecipare, di far sentire la propria voce. Ho riscontrato un grande entusiasmo e credo che questo si sia visto anche nel voto dei giovani, sia quelli che vivono qui sia quelli lontani da casa, che hanno deciso di sfruttare questa opportunità, comprendendone l’importanza. È solo il primo passo. È un buon risultato ma ci ha sorpreso solo fino a un certo punto”.

Molti hanno attribuito questo risultato all’“effetto Salis-Lucano”. Secondo voi è stato davvero così o c’è qualcosa di più?

«Credo che abbia contribuito. Ma non solo Salis e Lucano, ma anche Grassadonia, Marino e, nel mio piccolo, a Verona anche Cugini. Credo che, in particolare, abbia contribuito a far sì che portassimo in campagna elettorale le nostre storie, i nostri percorsi, le nostre battaglie. Salis è stata molto criticata, ma la sua battaglia è stata una battaglia di bandiera. Il fatto, ad esempio, di aprire il dibattito su un tema spinoso come quello delle carceri, di cui abbiamo parlato anche a livello nazionale, è stato importante. Non è un caso che oggi non si possa entrare nelle carceri, così come non si può entrare nei CIE e nei CAS. In genere c’è qualcosa di non detto che deve essere smascherato. In Italia esiste una giustizia sempre e solo punitiva. E poi c’è anche il tema della criminalità ideologica, di chi scende in piazza a protestare e viene incarcerato. E questo è un problema che per fortuna la gente ha capito”.

Nel centrosinistra ha fatto bene anche il Pd, mentre hanno fallito clamorosamente sia Azione di Calenda che gli Stati Uniti d’Europa del duo Bonino-Renzi. Come te lo sei spiegato?

«Sono contento del risultato del Partito democratico di Schlein. Penso che il Paese abbia bisogno dell’idea di svoltare a sinistra. In un momento in cui il fascismo, un certo linguaggio violento, il Vannacci, gli attacchi ai consultori e alle famiglie arcobaleno rappresentano la risposta di chi vuole avere la possibilità di credere che ci sia ancora, da qualche parte, uno zoccolo duro nel centro -Sinistra. Ciò ha in qualche modo sconvolto coloro che pensavano di poter adottare una politica del “un piede e due scarpe”. In Italia si tende a scegliere l’originale. A destra si sceglie Meloni e a sinistra si sceglie Pd e Avs. Non c’è spazio per i cloni o per chi non ha un’identità chiara».

A livello personale ha ottenuto ottomila voti. Un risultato difficile da immaginare alla vigilia della partita. Cosa ha colpito gli elettori, secondo te, della tua proposta?

«Credo che la credibilità della proposta abbia dato i suoi frutti. Abbiamo parlato della guerra, delle questioni sociali, del diritto al salario minimo. E credo che gli ottomila voti siano frutto di questo tipo di coerenza».

Il voto arrivato dall’estero (e composto in gran parte da giovani e giovanissimi) è andato quasi interamente alle coalizioni di centrosinistra. Si conferma, ancora una volta, una fascia giovanile più propensa a messaggi progressisti di giustizia e di attenzione alla pace e all’ambiente, mentre l’elettorato più anziano ha confermato le proprie tendenze conservatrici. Cosa si può fare per scardinare questo schema e attrarre voti anche da parte degli elettori più anziani, che – anche per ragioni demografiche – avranno un peso sempre maggiore alle prossime elezioni?

Jessica Cugini con Roberto Salis

«Il voto dei giovani è stata una grande soddisfazione. Ci parla di pace, di ambiente, di giustizia. Non sono questioni banali, ma forse non sono state espresse con altrettanta fermezza dagli altri partiti. Ho partecipato a molte assemblee negli istituti. I giovani avevano bisogno di capire. C’è una frase che amo moltissimo, di Berlinguer, che dice che abbiamo bisogno di loro, dei giovani, e se loro sanno rispondere possiamo salvarci tutti. Importante è anche l’incitamento Gramsciano “educatevi, agitatevi e organizzatevi”. Il modo migliore per rimuovere gli elettori più anziani e disillusi deve iniziare da lì.

Da questi ragazzi che hanno votato e che devono capire che le battaglie sono trasversali e vanno portate avanti tutti insieme. Il fascismo ha sempre avuto paura delle battaglie che si svolgevano all’interno delle fabbriche ma che coinvolgevano anche gli studenti universitari. Ciò, in passato, significava che la sinistra cresceva. Oggi dobbiamo rendere transnazionali le battaglie. Dobbiamo riportare al voto i disillusi e credo che possiamo farlo mettendo insieme più questioni”.

Soprattutto l’estrema destra ha avuto un exploit in Francia e Germania, così come in paesi meno importanti come l’Austria, ma per il resto hanno retto le realtà più europeiste, come in Spagna e Italia. La campagna elettorale, su questo fronte, è stata particolarmente dura… quali saranno ora i prossimi passi per sconfiggere questa piaga nazionalista-estremista?

«C’era molta preoccupazione. È vero che c’è un aumento della destra, ma alla fine non era così temibile e grande come si temeva. Naturalmente, Francia e Germania sono più preoccupanti di altre parti. C’è una piaga nazionalista ed estremista che deve essere combattuta. Dobbiamo mettere in rete tutte le forze antifasciste europee. È l’unico modo che abbiamo per mantenere alta la capacità di risposta a quest’ondata. Ma dell’Europa si è detto molto poco. Si parlava di mettere il nome di Giorgia sulla scheda elettorale o della decima di Vannacci. Non dobbiamo lasciarci intrappolare e stare al loro gioco. Dobbiamo invece riportare al centro i problemi reali”.

Mimmo Lucano e la sua modella Riace hanno fatto breccia in molti cuori. Lei è anche consigliere del Comune di Verona: pensa che sia possibile istituire quel tipo di modello in una città come Verona?

«Forse si potrebbe fare anche qui. Ma Riace è un piccolo paese, Verona una città medio-grande. Ma è il vento che può riportarci qui. A Verona abbiamo tante persone che non trovano un posto dove vivere, abbiamo il Laboratorio Paratodos, abbiamo un’occupazione in corso. Spero che la nostra città possa diventare uno spazio dove trovare un nuovo modello: uno spazio di convivenza, un albergo sociale. Abbiamo molti immobili chiusi e inutilizzati. Chiedo da tempo alla mia amministrazione una risposta reale in questo senso. Chiedo una modifica delle regole comunali. Non voglio più il DASPO. Un modello è possibile solo se la politica lo vuole davvero. Spero che il risultato della nostra alleanza in questa città significhi che c’è una parte della società che vuole un altro tipo di modello”.

Jessica Cugini con Nicola Vendola

Non è possibile arginare un fenomeno complesso come l’immigrazione, che va invece gestito con regole e progetti europei che coinvolgano tutti i Paesi membri. Cosa è necessario fare su questo problema?

«Intanto ripartire dal patto europeo, che è miserabile. Esternalizzare i confini, stringere patti con Libia e Albania non è la soluzione. Le persone non possono essere pensate come pacchi da spostare. Dobbiamo riconoscere i diritti degli altri. Al momento non esiste una via regolare per queste persone per raggiungere l’Italia e l’Europa. Dobbiamo ripristinare questo modo regolare di muoversi. Ce lo dice la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”.

Questione Ucraina: siete contrari all’invio di armi a Zelenskyj, il quale – senza questo tipo di aiuti – avrebbe già perso una guerra che nel frattempo è impantanata in una fase di stallo. A livello diplomatico, quale potrebbe essere la chiave per uscire da questa situazione?

«Sul piano diplomatico si tratta innanzitutto di un cessate il fuoco e del ritiro delle truppe russe dal suolo ucraino, da un lato, e di una conferenza multilaterale e di pace al più presto possibile, dall’altro. Devi sederti attorno a un tavolo. Sono passati più di due anni da quando abbiamo iniziato a dirlo. È aumentato il numero dei morti, ma in Ucraina crescono anche i numeri di chi diserta.

La chiave diplomatica è necessaria. Le guerre non si vincono più sul campo. È spaventoso che Stoltemberg e Macron chiedano l’uso delle armi della NATO sul territorio russo. L’Europa deve rivendicare un ruolo di pace, sulla scia di quanto deciso a Ventotene, quando si pensava al continente unito proprio per garantire la pace, più che per questioni economiche. O ritroviamo quei valori o siamo destinati a soccombere”.

Le elezioni americane di novembre potrebbero dare un’ulteriore scossa a questo tipo di visione?

«Entrambi i candidati fanno paura, perché sono guerrafondai, indipendentemente dal partito politico che rappresentano. E questo mette ancora una volta al centro una necessaria revisione degli equilibri internazionali. Solo un’Europa forte può farlo. Il fatto che le elezioni non ci siano state shock porta a pensare che si potrebbe raggiungere un riequilibrio diplomatico nei confronti degli Stati Uniti”.

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